articolo di Gabriella Galli
tratto da: Progetto Reducing Stress at Work – Rapporto finale
Per accedere alla documentazione: http://www.uil.it/internazionale/rest-work.asp?menu=1//ww
Dal 1989 i datori di lavoro europei nel rispetto della Direttiva Quadro devono attuare la valutazione di tutti i rischi e disporre le misure di prevenzione relative, inoltre l’Accordo Quadro sullo stress legato alla attività lavorativa (2004) rappresenta un impegno delle parti firmatarie ad applicarne i contenuti specifici al contesto nazionale.
Ciononostante significative differenze (1) permangono nella legislazione e nelle prassi degli Stati membri, anche a causa dei diversi sistemi di relazione tra le parti, e il recepimento dell’Accordo del 2004 è avvenuto a macchia di leopardo. Mentre poco note sono le modalità di applicazione dell’Accordo e le prassi di carattere preventivo nelle Pmi, che costituiscono la parte più significativa delle imprese europee.
Tenendo conto di tali problematiche otto Paesi europei (Francia, Grecia, Italia, Lituania, Portogallo, Romania, Spagna, Ungheria) in partnership (2) hanno ritenuto di sviluppare nei loro territori il progetto Reducing stress at work (capofila la Uil) – in collaborazione con Enti di ricerca nazionali – realizzando un’alleanza strategica tra le parti interessate (datori di lavoro e loro associazioni, Rappresentanti dei lavoratori, lavoratori e loro organizzazioni sindacali) finalizzata a condurre un’indagine quantitativa e qualitativa sulle misure, le disposizioni e le politiche attuate in merito allo stress lavoro-correlato, coniugando una preliminare indagine desk con l’indagine sul campo realizzata mediante questionari e focus group.
Obblighi legislativi, applicabilità dell’Accordo europeo
A più di dieci anni dalla emanazione dell’Accordo Quadro (2004), l’indagine preliminare condotta nell’ambito del progetto e volta ad indagare il quadro delle disposizioni legislative e di recepimento, conferma le “significative differenze” nella legislazione e nelle prassi degli Stati membri: 3 Paesi su 8 non hanno ancora recepito l’Accordo europeo, mentre in uno di essi lo si applica solo ai settori le cui organizzazioni di riferimento hanno firmato l’Accordo stesso. Mentre 6 paesi su 8 prevedono un riferimento allo stress nel loro quadro giuridico di tutela dai rischi connessi al lavoro, più o meno esplicitamente.
Questo stato di cose ci fa interrogare se:
ormai i tempi non siano maturi per trasformare l’Accordo quadro in una disposizione legislativa e quindi in una direttiva figlia della Direttiva Quadro 89/391
Tale disposizione permetterebbe di rendere omogenea in tutta la comunità europea la tutela di lavoratori e lavoratrici nei confronti di questo specifico rischio. Siamo tuttavia consapevoli che questo atto, seppur di grande aiuto alla crescita di attenzione negli Stati membri nei confronti di questo rischio emergente e dilagante, non è la soluzione a tutti i problemi di gestione del rischio stress.
Tematiche emergenti
Alcuni temi interessanti, relativi alle politiche nazionali così come alle principali difficoltà che si presentano nella gestione dello stress, sono emersi già nella preliminare analisi desk, rese disponibili dalle attività di monitoraggio realizzate in alcuni Paesi partner da soggetti istituzionali, dai sindacati o da enti di ricerca. Tra questi:
- lo stress viene preso sempre più in considerazione nella valutazione dei rischi ma a seguito della valutazione per lo più risulta l’assenza di tale rischio;
- rare sono le misure preventive attuate;
- scarso il coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti in particolare nelle micro e piccole imprese;
- mentre si evidenzia, quale fattore particolarmente critico, la disattenzione, ampiamente diffusa nei Paesi coinvolti (fatte alcune eccezioni), nei confronti dell’esigenza di supporto delle Pmi nella valutazione e gestione dello stress.
È tuttavia l’indagine sul campo, realizzata medianti i questionari e i focus group, che ci ha fornito un quadro molto più chiaro e dettagliato della realtà degli 8 paesi in cui si è svolta la ricerca, ne emergono aspetti ancora fortemente critici nella gestione concreta a livello aziendale:
- la valutazione del rischio stress è per i lavoratori (42%) un’attività ignota o di cui sanno che non è stata effettuata (40%), dato quest’ultimo confermato anche da RLS e DL;
- per le misure di prevenzione adottate quasi il 50% dei lavoratori non ne è a conoscenza;
- del coinvolgimento dei lavoratori, il 46,9% non sa di cosa si stia parlando;
- gli Rls dichiarano di essere stati coinvolti nel 27% dei casi solo nella fase finale;
- mentre gli Rls coinvolti nell’intero processo di valutazione sono il 15%;
- le iniziative di sensibilizzazione hanno riguardato nel 51,6% dei casi distribuzione di libretti e depliant;
- la formazione specifica nei confronti dello stress nell’82% dei casi non è stata effettuata, secondo i lavoratori.
Messaggi davvero significativi sono inoltre emersi nel corso dei focus group, svolti in tutti i Paesi partner. Il libero scambio di opinioni e punti di vista ha permesso ai partecipanti di descrivere le specificità delle micro e piccole imprese e centrare le questioni fornendo linee di indirizzo su cui agire per dare un contributo reale alla prevenzione del rischio stress in particolare nelle micro e piccole imprese.
“Tenere conto delle specificità della micro e piccola impresa non necessariamente significa semplificare il messaggio ma è necessario precisarlo tenendo conto delle peculiarità.”
“Nelle imprese con meno di 10 dipendenti, la dimensione affettiva è molto importante, il che significa che convivendo si riesce a risolvere più facilmente le difficoltà, tuttavia, la forte componente affettiva può favorire le molestie.”
“Il dialogo, spesso informale nelle Pmi, è una prima risposta.”
“Eventi gravi sono così destabilizzanti in una micro o piccola impresa che possono mettere in crisi ogni ulteriore azione di prevenzione in particolare per i rischi psicosociali.”
“Nelle piccole aziende è il datore di lavoro che crea l’ambiente di lavoro, e il suo atteggiamento può indurre paura di discutere di stress lavoro-correlato. D’altra parte i dipendenti potrebbero essere troppo riluttanti ad affrontare l’argomento in quanto potrebbe pensare che non c’è alcun spazio per il cambiamento.”
“È quindi sul datore di lavoro che bisogna puntare prioritariamente in termini di crescita delle conoscenze e di consapevolezza.”
“I rischi psicosociali sono sottovalutati o mal interpretati attribuendo spesso maggiore importanza ai conflitti interpersonali piuttosto che a problemi legati all’organizzazione del lavoro.”
“I datori di lavoro spesso non sono consapevoli della portata dei rischi psicosociali e non conoscono gli strumenti esistenti per affrontarli.”
“Difficoltà nell’accesso alla formazione e all’informazione per le micro e piccole imprese.”
“Il riconoscimento del problema è ancora troppo debole nelle imprese per questo è necessario che le autorità nazionali e territoriali così come gli altri organi competenti, comprese strutture create dalle parti sociali (es. in Italia gli Organismi paritetici), adottino un approccio di consulenza verso i datori di lavoro. Essi dovrebbero promuovere la consapevolezza sui rischi di stress lavoro-correlato e accompagnare i datori di lavoro nell’identificazione dei fattori di rischio e nella pianificazione delle misure necessarie per affrontarlo.”
“Migliorare ed estendere l’assistenza sia dei servizi che di natura economica alle micro e piccole imprese.”
“Finanziamenti per le imprese.”
“Disponibilità di strumenti di autovalutazione on line.”
Sottolineiamo con forza il ruolo chiave dell’imprenditore nell’introdurre maggiormente la prevenzione nelle micro e piccole d’imprese. Imprenditore, per il quale questo tuttavia è soltanto uno dei suoi molteplici ruoli e spesso questo incarico non è considerato tra i prioritari il che costituisce una difficoltà quando si tratta di fargli adottare la sicurezza e la salute del personale nel modo più ampio possibile.
Il supporto all’imprenditore e alla impresa di queste dimensioni, ampiamente invocato nel dibattito sviluppatosi all’interno dei focus group tra gli esponenti delle parti sociali e gli esperti, deve rispettare alcuni criteri che ne garantiscano l’efficacia.
- Un approccio efficace alle Pmi implica una reale presa in considerazione delle loro specificità quando si lancia un messaggio di prevenzione.
- Un messaggio efficace implica l’impostazione di un rapporto interpersonale forte, nel cui ambito si realizzeranno gli scambi necessari a creare un clima di fiducia
ovvero: “Fare prevenzione con” questo è il principio perché si attivi quella condivisione sui temi della prevenzione nel territorio – tra imprenditori e loro Associazioni, lavoratori/loro rappresentanti e Organizzazioni sindacali – che può promuovere la crescita di una comunità responsabilizzata e consapevole in cui i singoli imprenditori possano ritrovare una condizione motivante al “cambiamento di atteggiamento”, una sorta di “impegno pubblico” che va ben al di la degli obblighi e delle disposizioni di legge e del timore delle relative sanzioni. - Per quanto riguarda le argomentazioni, si dovrà insistere sugli elementi positivi, quali la possibilità di ridurre le assenze per malattia, le prospettive di miglioramento d’immagine dell’azienda ed il benessere dei lavoratori. E’ invece necessario trattare con accortezza gli argomenti negativi, ed in particolare quelli che insistono sui costi degli infortuni sul lavoro, (una PMI può benissimo esserne colpita, ma, di media, essa ha un infortunio ogni quattordici anni, quindi non può ragionare sull’esperienza).
- Bisogna proporre servizi di supporto che seguano nel tempo l’azienda, servizi personalizzati, che tengano conto delle specificità dell’azienda e del suo responsabile.
Ovvero: Il coinvolgimento diretto delle aziende in una fase di informazione e assistenza è l’elemento che permette di attuare una gradualità dell’intervento, “scaglionando le azioni” anche questo è tra i suggerimenti del citato studio dell’Inrs. Gli incontri di approfondimento o di formazione in cui le aziende vengono preventivamente coinvolte rappresentano situazioni del tipo “Inserimento in un gruppo di pari” poiché, come dicono i ricercatori francesi “quelli che si assomigliano sono più propensi a modificare il loro punto di vista rispetto a una questione…riprenderanno in considerazione il loro modo di pensare e faranno un’analisi dei loro pregressi comportamenti spontanei”.
Ovvero: Cura nel tempo e affiancamento alle aziende costante delle aziende che rappresenta una delle più efficaci strategie di supporto. Per migliorare la “cultura della sicurezza” aziendale/dell’imprenditore e modificare i comportamenti di tutti i soggetti che costituiscono questa unità economica e di vita le azioni intraprese vanno “distribuite nel tempo, organizzandosi adeguatamente per assicurare la continuità del rapporto”. Considerando come i cambiamenti comportamentali hanno bisogno di rinforzi e condivisione: “Dal momento che si tratta di stabilire dei cambiamenti duraturi nell’azienda, difficilmente si può sperare di ottenere dei risultati con un intervento estemporaneo. L’azione… deve idealmente iscriversi in una strategia e nella continuità nel tempo. Il contatto va mantenuto in un modo o nell’altro… Il messaggio andrà ripetuto sotto altre forme, oppure verrà ripetuto con comunicazioni gradualmente arricchite di contenuti”.
NOTE
(1) European Commission 2011, Guarinoni et al, 2013
(2) L’elenco dei partner e piuttosto lungo, avendo partecipato in tutto 17 organizzazioni oltre la Uil, per conoscerlo accedere al sito http://www.uil.it/internazionale/rest-work.asp?menu=1//ww