Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 maggio 2017, n. 12561

Come risulta dagli atti, l’infortunio in oggetto è avvenuto allorché il lavoratore, adibito all’utilizzo con radiocomando di un carroponte per la movimentazione da un reparto all’altro di pesantissimi grigliati, dopo aver completamente sfilato ganci e catene, dava con impeto una spinta alle catene per allontanarle dal grigliato metallico. Così, dando le spalle al manufatto metallico, agiva sui pulsanti del radiocomando del carroponte azionando contemporaneamente la risalita del gancio e lo spostamento all’indietro del carroponte con l’intenzione di riporlo nel punto dove lo aveva in precedenza prelevato. In tale circostanza egli veniva colpito da un grigliato subendo le lesioni che hanno comportato l’amputazione della gamba sinistra.
In base all’art. 2087 c.c. ed all’art. 7 del d.lgs. 626/1994 (nella versione vigente alla data dell’Infortunio, il 22.6.2007), il committente, che affida lavori all’interno della propria dell’azienda ad imprese appaltatrici, ha l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale delle stesse imprese appaltatrici in relazione ai lavori affidati in appalto; di fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto; di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori (informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze).
E’ evidente pertanto che nel caso di specie il committente, il quale aveva appaltato lavori da svolgersi all’interno della propria impresa con utilizzo di proprie macchine pericolose, sottoponeva i lavoratori dell’impresa appaltatrice ad un elevato rischio inerente il proprio processo produttivo; ed era perciò chiamato a rispondere dell’omessa informazione e formazione dei medesimi lavoratori adibiti alla mansione (movimentazione di materiali con conduzione di carriponte) ai sensi dell’art. 21 e 22  d.lgs.626/1994 (Cass. 21694/2011). E’ stato pure già affermato da questa Corte (Cass. 798/2017) nella causa relativa al risarcimento del danno spettante proprio al lavoratore infortunato che “Ai sensi tanto dell’art. 2087 c.c. quanto dell’art. 7 d.lgs. n. 626/94 (applicabile ratione temporis all’infortunio in esame), che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall’uso di macchinari pericolosi (cfr., ex aliis, Cass. n. 21694/11; Cass. n.19494/09)”.
Se è vero che la effettiva formazione è costituita da una pluralità di momenti e da un insieme di obblighi che si integrano, rappresentando piuttosto un processo formativo, non è vero tuttavia che esista un modello di formazione domestica, fai da te, alternativa a quella prevista dalla legge nella sua scansione dinamica e funzionale.
Infine, quanto al comportamento abnorme del lavoratore, la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non soltanto dai rischi derivanti da accidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse avventatezze, negligenze e disattenzioni, purché normalmente connesse all’attività lavorativa, cioè non abnormi e non esorbitanti dal procedimento di lavoro. Pertanto, al di fuori di quest’ultima ipotesi, in caso di infortunio sul lavoro originato dalla assenza o dall’inidoneità delle misure antinfortunistiche nessuna efficienza causale, neppure concorrente, può essere attribuita ai comportamenti, sia pure disaccorti o maldestri, del lavoratore infortunato che abbiano dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondursi alla mancanza di quelle cautele che, se adottate sarebbero valse a neutralizzare anche il rischio di siffatti comportamenti.


Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: RIVERSO ROBERTO
Data pubblicazione: 18/05/2017

Fatto

Con decreto ex art. 99 l. fallimentare, depositato il 26.5.2011, il Tribunale di Bassano del Grappa rigettava l’opposizione avverso il provvedimento con cui il giudice delegato aveva rigettato la domanda svolta dall’INAIL di ammissione al passivo del fallimento F.lli B. srl allo scopo di recuperare le prestazioni previdenziali erogate all’operaio carpentiere L.S. in seguito ad un grave infortunio sul lavoro per complessivi € 372.403,14.
Il primo giudice aveva respinto la domanda dell’INAIL sul rilievo dell’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra la società F.lli B. srl ed il lavoratore L.S.; ed il tribunale confermava nel provvedimento in oggetto che al momento del sinistro l’infortunato era dipendente della società croata MGF e lavorava presso la F.lli B. in forza di un contratto di appalto stipulato tra le due imprese avente ad oggetto “la costruzione e l’assemblaggio secondo i disegni in Vs possesso”. Il contrario assunto formulato dall’INAIL non era quindi fondato ed era del tutto indimostrato, ancorché fosse provato che i titolari delle due imprese coinvolte fossero i medesimi; inoltre, nonostante il Servizio di Prevenzione avesse ravvisato una responsabilità a carico della F.lli B., per non aver impartito un’adeguata informazione e formazione nell’uso del carroponte, secondo i giudici, nella dinamica del sinistro nessuna responsabilità poteva essere ravvisata a carico della F.lli B. nel grave infortunio occorso al L.S., in quanto questi era un lavoratore esperto per aver lavorato alcuni mesi e per essere stato istruito dai propri colleghi.
Avverso detta sentenza l’INAIL propone ricorso affidando le proprie censure a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva. L’Inail ha depositato memoria ai sensi dell’art 378 c.p.c.

Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso l’INAIL deduce la violazione e falsa applicazione degli art.10 e 11 d.P.R. n.1124/1965, dell’art. 7 d.lgs.276/1994 (ndr. 626/1994), degli artt. 21 e 22 dlgs.626/1994, dell’ art. 2087 c.c. (art. 360 n.3 c.p.c.) per non aver ritenuto esperibile l’azione di regresso anche nei confronti del terzo corresponsabile dell’infortunio.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2087 c.c (art. 360 ,co. 1 n. 3 c.p.c.) per aver ravvisato un comportamento anomalo di rilievo esclusivo in capo alla vittima nonostante l’accertata negligenza del committente.
3. I motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per evidente connessione, sono fondati.
4. Anzitutto va ricordato che secondo l’interpretazione, oramai risalente e consolidata, degli artt. 10 e 11 del DPR fornita dalla giurisprudenza di questa Corte, l’azione di regresso dell’INAIL è una speciale azione, di natura contrattuale (Cass. sent. 10529/2008, 16141/2007) che compete all’INAIL iure proprio “nei confronti delle persone civilmente responsabili”, in presenza di un fatto reato perseguibile ex officio, autonomamente accertabile dal giudice civile.
5. Giova ricordare anzitutto che a seguito della sentenza n.22 del 1967 la Corte Costituzionale – ampliando l’area della responsabilità civile indiretta del datore e segnatamente ricomprendendovi il fatto illecito di qualunque suo dipendente – ha corrispondentemente esteso anche l’ambito dell’azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro (Cass. 7 febbraio 1992, n. 11336.)
6. Per quanto riguarda invece i terzi rileva la sentenza 16 aprile 1997, n. 3288 con la quale le Sezioni Unite, superando il contrario arresto formulato sempre a Sezioni Unite con la sentenza 1267/1952, hanno esteso l’ambito soggettivo dell’azione di regresso dell’INAIL a soggetti diversi dal datore di lavoro, statuendo che nei confronti dei compagni di lavoro o dei preposti responsabili dell’infortunio sul lavoro, l’INAIL non può esercitare la comune azione di surroga ex art. 1916 c.c., ma soltanto l’azione di regresso, ove ricorrano i presupposti di cui all’articolo 10 del T.U.
7. Con detta sentenza, la Corte ha significativamente precisato che l’interpretazione più corretta degli articoli 10 e 11 del T.U. è quella secondo la quale all’INAIL è attribuita l’azione di regresso nei confronti di tutti coloro i quali, nell’ambito del rapporto di lavoro, o, più precisamente, nell’ambito del rischio tutelato, abbiano commesso fatti astrattamente configurabili come reati perseguibili di ufficio dai quali sia derivato il danno.
8. La Corte ha motivato la decisione rilevando che questa interpretazione è “del tutto coerente con i fini generali di prevenzione che presiedono alla disciplina, non sottraendo i diretti responsabili del danno all’integrità o alla salute del lavoratore, all’azione di rivalsa dell’Istituto che, almeno per certi aspetti, ha efficacia monitoria persino maggiore dell’eventuale azione spiegata dall’interessato o dai suoi aventi causa, ed anzi costituendo una ulteriore remora alla inosservanza delle norme poste a prevenzione degli infortuni. ”
9. In seguito alla predetta pronuncia la giurisprudenza di questa Corte ha esteso il medesimo principio dai dipendenti del datore di lavoro ad altri soggetti terzi rispetto all’obbligo assicurativo; come i soci ed gli amministratori (Cass.11426/2006), i soggetti chiamati a collaborare “a vario titolo nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza, a prescindere dal titolo contrattuale e dalla tipologia lavorativa che li lega al datore di lavoro” (Cass.6212/2008), l’appaltante o il subappaltante (Cass. 9065/2006, 24935/2015).
10. In tal modo questa Corte ha ricollegato l’ambito di operatività dell’azione di regresso con la sussistenza del c.d. debito di sicurezza il quale sussiste nei confronti di tutti coloro che in ragione dell’attività svolta siano gravati di specifici obblighi di prevenzione nei confronti dei lavoratori soggetti a rischio.
11. Si tratta di una condizione che deve essere quindi riconosciuta anche nel presente caso, in cui la F.lli B. si presenta come committente (o appaltante) nell’ambito di un contratto di appalto stipulato per la costruzione e l’assemblaggio di un impianto per la movimentazione materiale.
12. Talché non ha alcun rilievo, ai fini dell’assoggettamento della stessa impresa all’azione di regresso dell’INAIL, accertare se il lavoratore infortunato fosse o meno dipendente della società oppure della sua collegata croata.
13. Altresì fondate sono le ulteriori censure con le quali l’INAIL critica le affermazioni del provvedimento impugnato con le quali si assolve l’impresa committente dagli addebiti di colpa accertati dal Servizio di Prevenzione dell’Asl, segnatamente per la mancata adeguata “formazione ed informazione sul corretto uso del carroponte atteso che l’infortunato non aveva partecipato ad alcun corso sulla movimentazione e l’uso dei mezzi di sollevamento e che tutto gli sarebbe stato insegnato da altri colleghi di lavoro in funzione delle necessità d’uso del carroponte.”
14. Per i giudici di merito, invece, tali addebiti si risolverebbero in una petizione di principio desunti dal mero fatto che si fosse verificato l’infortunio; per i quali, neppure poteva escludersi che l’istruzione impartita dai colleghi di lavoro al lavoratore fosse stata comunque adeguata; o che fosse stato il medesimo lavoratore a discostarsi arbitrariamente dalle istruzioni impartitegli dai colleghi.
15. Occorre premettere che come risulta dagli atti l’infortunio in oggetto è avvenuto allorché il lavoratore era adibito all’utilizzo con radiocomando di un carroponte per la movimentazione da un reparto all’altro di pesantissimi grigliati, spostandoli dall’ingresso del capannone al reparto saldatura, ubicato al lato opposto dell’accesso carraio.
16. L’infortunio è avvenuto allorché il lavoratore “dopo aver completamente sfilato ganci e catene dava con impeto una spinta alle catene per allontanarle dal grigliato metallico.
Contestualmente, dando le spalle al manufatto metallico, agiva sui pulsanti del radiocomando del carroponte azionando contemporaneamente la risalita del gancio e lo spostamento all’indietro del carroponte con l’intenzione di riporlo nel punto dove lo aveva in precedenza prelevato”. In tale circostanza il lavoratore sarebbe stato colpito da un grigliato subendo le lesioni che hanno comportato l’amputazione della gamba sinistra.
17. Ciò posto, le tesi formulate dai giudici di merito si rivelano, sotto più aspetti, in radicale contrasto con i principi che governano l’applicazione delle regole in materia di obbligazione di sicurezza; le quali si rivolgono anche al committente appaltante.
18. In primo luogo perché, in base all’art. 2087 c.c. ed all’art. 7 del d.lgs. 626/1994 (nella versione vigente alla data dell’Infortunio, il 22.6.2007), il committente, che affida lavori all’interno della propria dell’azienda ad imprese appaltatrici, aveva l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale delle stesse imprese appaltatrici in relazione ai lavori affidati in appalto; di fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto; di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori (informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze).
19. E’ evidente pertanto che nel caso di specie il committente, il quale aveva appaltato lavori da svolgersi all’interno della propria impresa con utilizzo di proprie macchine pericolose, sottoponeva i lavoratori dell’impresa appaltatrice ad un elevato rischio inerente il proprio processo produttivo; ed era perciò chiamato a rispondere (a prescindere dell’illiceità stessa dell’appalto, che qui non è stata dedotta) dell’omessa informazione e formazione dei medesimi lavoratori adibiti alla mansione (movimentazione di materiali con conduzione di carriponte) ai sensi dell’art. 21 e 22  d.lgs.626/1994 (Cass.21694/2011). E’ stato pure già affermato da questa Corte (Cass. 798/2017) nella causa relativa al risarcimento del danno spettante proprio al lavoratore infortunato che “Ai sensi tanto dell’art. 2087 c.c. quanto dell’art. 7 d.lgs. n. 626/94 (applicabile ratione temporis all’infortunio in esame), che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall’uso di macchinari pericolosi (cfr., ex aliis, Cass. n. 21694/11; Cass. n. 19494/09)”.
20. Da questi stessi obblighi il provvedimento impugnato ha invece inopinatamente assolto il committente in quanto il lavoratore sarebbe stato ugualmente informato ed informato tramite l’addestramento con personale più esperto.
21. Sono stati confusi in tal modo distinti obblighi prevenzionali incombenti sul soggetto obbligato in materia di informazione, formazione, addestramento (e vigilanza) del lavoratore; e più in generale è stato eluso il principio d’inderogabilità ed indisponibilità degli obblighi e delle misure prevenzionali prescritte dall’ordinamento allo scopo di apprestare un sistema organizzativo idoneo a farsi carico in modo integrale di ogni esigenza di sicurezza, nei termini richiesti dalla legge.
22. Ed infatti, se è vero che la effettiva formazione è costituita da una pluralità di momenti e da un insieme di obblighi che si integrano, rappresentando piuttosto un processo formativo; non è vero tuttavia che esista un modello di formazione domestica, fai da te, alternativa a quella prevista dalla legge nella sua scansione dinamica e funzionale.
23. Non può perciò bastare che il datore assolva in modo parziale, soltanto ad alcuni dei predetti obblighi, siccome egli è invece obbligato ad osservarli tutti e per intero, e nell’ordine logico e cronologico voluto dalla legge.
I vari momenti formativi possono integrarsi, e non vanno intesi in senso formale, ma non può affermarsi che un obbligo possa essere sostituito da un altro (neppure in senso puramente logico o cronologico); perché ciò indebolisce il sistema che è alla base della norma inderogabile, non favorisce la responsabilizzazione del lavoratore nella conoscenza e nella gestione dei rischi; ed integra anzi un modello di per sé pericoloso perché induce ignoranza e comportamenti di sottovalutazione e superficialità.
24. Si tratta perciò di momenti diversi; essendo anche logicamente evidente che non possa esservi addestramento all’uso sicuro della mansione senza una preliminare attività di informazione e formazione.
25. Va poi considerato che nella vicenda si esamina, il lavoro in questione (movimentare, caricare e scaricare dei pesanti manufatti in grigliato) deve essere ritenuto un lavoro altamente pericoloso (per sé e per gli altri); proprio per questo la legge imponeva, ed impone, una specifica cura nell’attività di informazione e formazione del lavoratore adibito alla mansione; nei vari momenti in cui essa si articola in base alla legge, nessuno escluso.
26. Va pertanto riaffermato anzitutto che la formazione a norma dell’art. 22 del d.lgs. 626 deve avvenire in occasione dell’adibizione alle attrezzature di lavoro; e deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi ovvero all’insorgenza di nuovi rischi; essa deve essere sufficiente ed adeguata e deve avvenire durante l’orario di lavoro, in collaborazione con gli organismi paritetici di cui all’art. 20 (costituiti tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, con funzioni di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori).
27. Si tratta di un modello di prevenzione ineludibile, che non è rimesso alla discrezionalità del datore; tanto più quando si tratta di formazione all’utilizzo di mezzi pericolosi, come i carriponte; e che non può essere sostituito dall’addestramento con affiancamento sul campo: senz’altro utile ma non alternativo alla informazione o alla formazione; come peraltro riconosciuto, più volte dalla giurisprudenza (Cass.pen. 20272/2006).
28. Del pari evidente è il nesso tra le regole cautelari violate ed il fatto sopravvenuto, considerato il fine delle norme e la tipologia dell’evento, che appartiene in concreto al novero di quelli che le regole violate miravano a prevenire con la necessaria formazione e informazione. Privo di fondamento appare quindi il rilievo secondo cui nel caso in esame non sarebbe stato provato che l’infortunio si sia verificato per la violazione delle regole cautelari addebitate.
29. Anche in relazione alla affermata colpa esclusiva del lavoratore la sentenza impugnata (nella quale si sostiene pure che “l’uomo per sua natura è limitato ed imperfetto”) viola i principi consolidati della materia per come declinati da questa Corte.
Anzitutto perché in materia vige il principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l’addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio, giacché al datore di lavoro, che è “garante” anche della correttezza dell’agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest’ultimo il rispetto delle regole di cautela (Cassazione 2010, n.32357).
30. In secondo luogo perché (Cass. n.1716/2012) la responsabilità dell’imprenditore è esclusa solo in caso di dolo o di rischio elettivo del lavoratore, ossia di rischio generato da un’attività estranea alle mansioni lavorative o esorbitante da esse in modo irrazionale. L’esonero della responsabilità del datore di lavoro si verifica solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri “dell’abnormità, dell’inopinabilità, dell’esorbitanza” rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute, o “dell’atipicità e dell’eccezionaiità”. La semplice irrazionalità della condotta, quando sia controllabile in anticipo, invece, non vale ad esonerare il datore di lavoro.
31. In questa prospettiva, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli utilizzando gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Cass. Sezione 4, 5 giugno 2008, Stefanacci).
32. Mentre altra ipotesi paradigmatica di interruzione del nesso causale è quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro (come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un’altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore; ovvero nel caso in cui il lavoratore, pur nello svolgimento delle mansioni proprie, abbia assunto un atteggiamento radicalmente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenze comportamentali; cfr., tra le altre Cass. Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pedone).
33. Niente di simile è riscontrabile nel comportamento del lavoratore infortunato il quale, per come ricostruito dal provvedimento impugnato, si era girato ed aveva volto le spalle alla griglia ed al carroponte che stava manovrando. Si tratta di un comportamento, al più di disattenzione, attinente alla mansione ed alla lavorazione che egli stava eseguendo e che anzi proprio il rispetto di tutte le regole precauzionali (che il datore aveva l’obbligo di osservare) avevano il compito di neutralizzare e di prevenire (efficacemente, in tal senso, Cass. sezione IV, 21 ottobre 2008, Petrillo).
34. D’altra parte, come già detto (cfr. Cass., sez. lav., n. 1523, 8/02/93), la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non soltanto dai rischi derivanti da accidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse avventatezze, negligenze e disattenzioni, purché normalmente connesse all’attività lavorativa, cioè non abnormi e non esorbitanti dal procedimento di lavoro. Pertanto, al di fuori di quest’ultima ipotesi, in caso di infortunio sul lavoro originato dalla assenza o dall’inidoneità delle misure antinfortunistiche nessuna efficienza causale, neppure concorrente, può essere attribuita ai comportamenti, sia pure disaccorti o maldestri, del lavoratore infortunato che abbiano dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondursi alla mancanza di quelle cautele che, se adottate sarebbero valse a neutralizzare anche il rischio di siffatti comportamenti; giusto un principio risalente e consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6504/1990; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 3455/2004; Cass. sez. lav. 25.02.2011 n. 4656).
35. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di accogliere il ricorso, di cassare il provvedimento impugnato e di rinviare la causa ad altro giudice il quale nella decisione della causa si atterrà ai principi sopra affermati.
Il giudice del rinvio provvederà alle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 cod. proc. civ.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia , anche per le spese, al Tribunale di Vicenza in diversa composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 8.2.2017.

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