Cassazione Penale, Sez. 4, 14 giugno 2017, n. 29731

Schiacciamento della mano durante la sostituzione del tappeto di una macchina rotativa. DVR e mancata formazione. Responsabilità amministrativa dell’impresa per aver risparmiato tempo.


Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: GIANNITI PASQUALE
Data Udienza: 08/03/2017

Fatto

1. Il 22 settembre 2009 G.C. rimaneva vittima di un infortunio mentre era intento alle operazioni di sostituzione del tappeto della macchina rotativa Carletti CRL, situata nella linea di produzione denominata “biscotti Orlandi” dello stabilimento di San Michele di Ravenna della DECO Industrie.
Secondo quanto si legge nella sentenza di primo grado (e come risultava dai rilievi fotografici acquisiti all’udienza del 27 gennaio 2014), il lavoratore doveva, cambiare lo stampo e sostituirlo con un altro. Per effettuare detta manovra, in primo luogo, doveva essere sollevato di circa 10/15 cm. il rullo di stampa, utilizzando un paranco; quindi, doveva essere sfilato il tappeto di stampa usurato e lo stesso doveva essere sostituito con un altro; infine, doveva essere riabbassato il rullo nella sua sede. Per effettuare il sollevamento del rullo veniva utilizzata come imbragatura una corda, la quale, durante il sollevamento, improvvisamente cedeva, facendo cadere il rullo; il G.C., che aveva la mano sotto il rullo, rimaneva schiacciato, riportando la sub-amputazione, con frattura, di due dita della mano destra, con una prognosi iniziale di 40 giorni ed una durata effettiva della malattia di 6 mesi.
2. In relazione a tale infortunio venivano tratti a giudizio DP.G., quale legale rappresentante della DECO Industrie s.c.p.a. (e, quindi, di datore di lavoro del lavoratore infortunatosi), nonché la stessa DECO, per rispondere rispettivamente del delitto di lesioni colpose e della violazione amministrativa di cui a seguire.
3. Il Tribunale di Ravenna con sentenza 18/7/2014 emessa ad esito di articolata istruzione dibattimentale (nel corso della quale venivano assunte “plurime testimonianze” ed acquisita “copiosa documentazione”: cfr, relativa sentenza p. 1):
a) riteneva DP.G. responsabile del reato p. e p. dall’art. 590 commi 1, 2 e 3 c.p., in relazione all’art. 583 comma 1 n. 1 c.p., per aver cagionato, nella sua qualità di amministratore delegato della DECO Industrie s.c.p.a., per colpa generica e specifica, a G.C., dipendente della società con mansioni di manutentore, lesioni personali gravi (e, precisamente, la sub amputazione con frattura del II e del III dito della mano destra), dalle quali era derivata una malattia e comunque un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiore a giorni 40; nonché
b) dichiarava la responsabilità amministrativa della DECO Industrie s.c.p.a. ex art. 25 septies, comma 3, d. lgs. 231/01, in relazione al reato commesso dal DP.G., nell’interesse obiettivo e comunque a vantaggio della predetta società, avendo quest’ultima quanto meno ottenuto, dalle condotte del predetto, una riduzione dei costi lavorazione e, conseguentemente maggiori utili rispetto a quelli realizzabili attraverso il rispetto della normativa antinfortunistica. Colpa d’organizzazione consistita nella mancata adozione, in relazione alla specifica ipotesi delittuosa in esame, di un modello di organizzazione e gestione e, conseguentemente, nella mancata assicurazione di un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici previsti dalla normativa in materia di salute e sicurezza e, in modo particolare, dall’art. 30 d.lgs. 81/08.
4. Avverso la sentenza del Tribunale di Ravenna veniva interposto appello nell’interesse sia del DP.G. che della Società Deco, appelli che vengono qui ripercorsi in relazione alle declaratorie di inammissibilità di seguito effettuate.
4.1. L’imputato: con il primo motivo di appello, richiamava l’attenzione sul fatto che la sostituzione non era stata svolta da un lavoratore qualunque, ma da una squadra di due manutentori esperti (l’infortunato G.C. ed il di lui collega T.), che avevano a disposizione non solo la corda impiegata ma anche altre corde e catene. Con il secondo e con il terzo motivo – dopo aver premesso che la corda impiegata era stata gettata (non per trascuratezza o addirittura per finalità di occultamento, ma) perché l’ASL effettuò il primo accertamento 2 anni dopo l’incidente; e che gli operatori della ASL, contrariamente a quanto affermato nella sentenza di primo grado, non constatato le omissioni, ma soltanto formulato giudizi – osservava che nessuna delle norme richiamate nel capo di imputazione gli imponeva di effettuare le specifiche condotte di cui era contestata l’omissione; e che, d’altra parte, agli operatori della manutenzione era messo a disposizione l’ampio manuale della macchina, con tutte le specifiche utili alla sostituzione o alla semplice pulizia di ogni componente, e vi era la formazione in merito al sollevamento di carichi. Con il quarto motivo deduceva che il giudice di primo grado aveva selezionato e frazionato le affermazioni di tre testi da lui citati, mentre dall’audizione degli stessi era emerso che l’operazione in esame era abituale, svolta da due manutentori esperti, formati sul campo mediante la visione di una dimostrazione da parte di un collega più anziano; e, d’altra parte, l’idoneità degli strumenti impiegati era stata valutata in 20 anni di esecuzione di quella manovra, senza che mai si fosse rilevata una minima problematica, ed in azienda vi fosse un trascorso di grande attenzione alla sicurezza. Con il quinto motivo osservava come dall’esame del consulente ing. F. fosse emersa l’adeguatezza della corda impiegata rispetto al carico e il livello di professionalità ed esperienza degli addetti, tale da poterli definire idonei a fare loro stessi formazione ad altri, e quindi capaci certamente di valutare
l’adeguatezza di uno strumento di quel tipo. Con il sesto motivo evidenziava l’inutilità di alcune precisazioni contenute nella sentenza. Con il settimo motivo metteva in dubbio la sussistenza del nesso causale tra le omissioni e l’evento lesivo: nulla provava che se i manutentori fossero stati specificamente formati avrebbero utilizzato strumenti diversi e più sicuri della corda impiegata, evitando così l’incidente; pertanto, non era certo che l’evento fosse stato causato da una condotta riprovevole dell’imputato. Con l’ottavo e ultimo motivo domandava la prevalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante, con le conseguenze del caso in assenza di querela.
4.2. D’altra parte, la società appellante DECO riproponeva gli argomenti già addotti nell’interesse di DP.G., ma con l’ottavo motivo di gravame lamentava l’errata applicazione delle sanzioni interdittive nei confronti della società.
4.3. In vista dell’udienza d’appello venivano depositati motivi aggiunti nell’interesse del DP.G., il quale con il primo (motivo 1 bis) si ricollegava a quanto già affermato con il secondo motivo di gravame, denunciando la violazione o l’erronea applicazione dell’art. 2087 c.c., in relazione: all’art. 28 comma 2 d. lgs n. 81/08, nonché in relazione all’art 71 comma 7 d. lgs. n. 81/08; mentre con il secondo motivo (motivo 2 bis) veniva richiesta la declaratoria di non punibilità ex art 131 bis c.p. per la modesta gravita del fatto e la non abitualità dello stesso.
Analoghi motivi aggiunti analoghi venivano depositati anche nell’interesse della DECO Industrie s.c.p.a.
5. La Corte di appello di Bologna con la impugnata sentenza, in punto di affermazione di responsabilità, ha integralmente confermato la sentenza 18/7/2014 del Tribunale di Ravenna.
In punto di trattamento sanzionatorio, la Corte ha confermato quanto disposto nei confronti dell’imputato DP.G. (che, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un mese di reclusione); mentre, quanto al trattamento disposto nei confronti della società, ha confermato la condanna della stessa alla sanzione amministrativa di 25.800 euro, e, in modifica di quanto statuito nella sentenza di primo grado, ha revocato la sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 d. lgvo n. 231/2001.
Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto condivisibile l’argomento relativo all’assenza del presupposto per l’applicazione delle sanzioni interdittive. Ciò in quanto il profitto conseguito dalla DECO Industrie per mezzo delle omissioni in contestazione, considerata anche la sporadicità con cui l’operazione veniva eseguita (due o tre volte l’anno), non era stato tale da potersi ricomprendere nella nozione di “profitto di rilevante entità” di cui all’art. 13 d. lgs. n. 231/01.
6. Avverso la sentenza della Corte territoriale, tramite difensore di fiducia, propongono ricorso l’imputato DP.G. e la società DECO Industrie.
7. Il ricorso presentato nell’interesse del DP.G. è affidato a 6 motivi di doglianza.
7.1. Nel primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in punto di avvenuta individuazione nella sua persona dell’autore della condotta omissiva contestata.
Il ricorrente si lamenta che la Corte territoriale aveva tenuto conto della sua qualifica di datore di lavoro, ma non aveva considerato che la valutazione del rischio e l’obbligo di formazione dei dipendenti gravava (non su di lui, ma) sul delegato A.G..
7.2. Nel secondo denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuto nesso causale tra detta condotta e l’evento lesivo.
Il ricorrente, dopo aver rilevato che lo stato della corda non aveva mai formato oggetto di esame in sede processuale e che l’ispezione era avvenuta dopo oltre due anni dall’infortunio, si lamenta che la Corte di merito aveva attribuito la causa dell’evento alla mancata valutazione del rischio specifico ed alla mancanza di una adeguata formazione (che avrebbe dovuto consentire al lavoratore di valutare l’idoneità della corda rispetto al carico da sollevare), ma non aveva argomentato sulla sussistenza del nesso causale tra la presunta omissione e l’evento. Secondo il ricorrente, il certificato di prova prodotto dal teste F. nel corso dell’esame era indicativo della adeguatezza in astratto di una corda del tipo e della misura di quella utilizzata. D’altra parte, la valutazione avrebbe dovuto essere fatta mediante i canoni della prognosi postuma, con giudizio ex ante circa la probabilità dell’evento fondata sugli elementi presenti al momento della commissione dei fatto. Sul punto la Corte avrebbe confuso la prevedibilità ed evitabilità dell’evento con l’efficacia eziologica del comportamento omissivo.
7.3. Nel terzo denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta omessa valutazione del rischio circa l’attività nel corso della quale si era verificato l’evento.
Il ricorrente – dopo aver rilevato che l’attività, nell’ambito del quale era accaduto l’infortunio, rappresenta ordinaria opera di manutenzione – deduce che dalla documentazione in atti (DVR e documenti complementari) emergerebbe la contraddittorietà della motivazione in merito alle violazioni di legge contestate
(art. 2087 c.c., art. 28 comma 2 lettere a), b) e d) del d. lgs. n. 81/2008 e 71 comma 7 dello stesso d. lgs.)
7.4. Nel quarto denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta mancanza di formazione del lavoratore infortunato.
Secondo il ricorrente, anche con riguardo a detta seconda ritenuta causa delle lesioni personali per cui si è proceduto, vi sarebbe contrasto tra il contenuto informativo degli atti processuali e le premesse dell’argomentazione della Corte territoriale; ed, in particolare, la documentazione prodotta dal suo difensore il 23/11/2011 sarebbe stata travisata.
7.5. Nel quinto denuncia violazione dell’art. 133 c.p. in punto di commisurazione della pena quanto alla scelta della pena detentiva.
Il ricorrente si lamenta che la Corte: da un lato, avrebbe utilizzato il medesimo elemento (cioè la durata della malattia della persona offesa) sia ai fini della contestazione dell’aggravante che ai fini della scelta della pena detentiva; dall’altro, avrebbe fatto riferimento alla non lieve entità del grado della colpa, senza alcuna indagine al riguardo.
7.6. Nel sesto denuncia violazione dell’art. 131 bis laddove la Corte non avrebbe preso in considerazione il motivo di appello aggiunto.
8. Il ricorso presentato nell’interesse della DECO è a sua volta affidato a 6 motivi di ricorso.
8.1. Nel primo la società ricorrente denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta colpa d’organizzazione.
In particolare, la Deco si lamenta che la Corte territoriale: a) avrebbe travisato la testimonianza di C. che aveva fatto riferimento al modello organizzativo adottato l’11 settembre 2004 e che era vigente al momento del fatto; b) non avrebbe considerato la politica aziendale, che era orientata alla massima tutela della salute dei lavoratori, come emergeva dai documenti richiamati nei motivi successivi; c) non avrebbe tenuto conto che il suddetto modello organizzativo era stato aggiornato in considerazione dei nuovi reati presupposto inseriti dal cda il 18/12/2009.
8.2. Nel secondo denuncia vizio di motivazione ed erronea applicazione dell’art. 5 d. lgs. n. 231 del 2001 in punto di erronea individuazione del DP.G. quale soggetto responsabile e di conseguente ritenuta sussistenza del legame soggettivo, presupposto dal citato art. 5.
8.3. Negli ulteriori motivi di ricorso si ripercorrono argomentazioni svolte nel ricorso presentato nell’interesse del DP.G.. E così: nel terzo si denuncia vizio di motivazione in punto di avvenuta individuazione nel DP.G. dell’autore della condotta omissiva del reato presupposto, riprendendo il primo motivo del ricorso presentato dall’imputato; nel quarto si denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del nesso causale del reato presupposto, riprendendo il secondo motivo del ricorso presentato dal DP.G.; nel quinto si denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta omessa valutazione del rischio, riprendendo il terzo motivo del ricorso presentato dall’imputato; nel sesto si denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta omessa formazione del lavoratore infortunato, riprendendo il quarto motivo del ricorso presentato dal DP.G..
9. In vista dell’odierna udienza, sempre tramite difensore di fiducia, la società DECO propone 4 nuovi motivi in relazione ai primi 4 motivi di ricorso, nei quali denuncia vizio di motivazione laddove la Corte territoriale:
a) avrebbe ritenuto la colpa d’organizzazione, senza considerare: il verbale del Cda 18/3/2008, che era stato consegnato all’Ausl di Ravenna il 23/11/2011; la seduta di formazione dedicata ai manutentori ed agli operatori che si era svolta il 18/5/2008; la distribuzione ai lavoratori nel 2012 di un opuscolo in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro;
b) avrebbe agganciato la responsabilità della società alla commissione del reato attribuito all’amministratore delegato DP.G., senza considerare che questi aveva rilasciato delega al Sig. A.G., che l’aveva accettata, risultando così l’unico destinatario degli obblighi di sicurezza e titolare della posizione di garanzia;
c) avrebbe ritenuto la condotta omissiva del DP.G., senza considerare che la valutazione del rischio era stata regolarmente effettuata nel DVR, sottoscritto dal DP.G. il 31/12/2008 e senza considerare che, a seguito della intervenuta delega, sul DP.G. gravava solo un obbligo di vigilanza sull’esercizio della intervenuta delega;
d) avrebbe affermato il nesso causale, senza considerare: da un lato, che lo strumento dalla cui rottura era dipesa la lesione non era stato ritrovato in sede di ispezione in quanto dalla data dell’infortunio erano decorsi oltre due anni; e l’accertatore O. non aveva potuto escludere che l’inadeguatezza della corda potesse derivare da una non idoneità originaria della stessa, non percepibile; e, dall’altro, non essendo emersa la ragione della rottura della corda, non avrebbero potuto essere affermati i presupposti della responsabilità dell’ente (e cioè l’interesse e/o il vantaggio che la società avrebbe tratto dalla mancata adozione della misura preventiva necessaria), tanto più che: il valore della corda era insignificante; l’operazione si svolgeva solo due o tre volte l’anno; gli addetti all’operazione avevano ampia discrezionalità di spesa in ordine all’acquisto di presidi ritenuti necessari; il ricorso ad una fune diversa non avrebbe determinato alcun allungamento dei tempi di produzione.

Diritto

1. I ricorsi non sono fondati.
2. Inammissibili sono il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse del DP.G. ed il terzo motivo del ricorso presentato nell’interesse della DECO, nonché il secondo motivo nuovo presentato da quest’ultima.
Nella sentenza di primo grado era stato affermato che l’omessa valutazione dei possibili rischi connessi alla particolare attività lavorativa per cui è processo (e quindi la mancata previsione di procedure e misure di prevenzione e sicurezza) era condotta che andava imputata al datore di lavoro, anche in presenza della figura di un responsabile della sicurezza, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (peraltro puntualmente richiamata in sentenza), la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti soltanto se tali eventi siano il frutto di disfunzioni occasionali (e non anche nel caso in cui siano determinati da difetti strutturali aziendali o del processo produttivo, come per l’appunto nel caso di specie). E, d’altra parte, per espressa previsione di legge (art. 17 d. lgvo n. 81/2008) la redazione del documento di valutazione rischi è compito specifico del datore di lavoro, e, in quanto tale, insuscettibile di formare oggetto di delega.
Orbene, dalla intestazione della sentenza impugnata (oltre che dal tenore degli atti di appello e dei relativi motivi aggiunti, in atti) emerge che la questione della delega non ha formato oggetto di uno specifico motivo di doglianza davanti alla Corte di appello.
Ne consegue che i motivi in esame devono essere dichiarati inammissibili, proprio perché formulati per la prima volta nel presente giudizio di legittimità.
3. Non fondati sono poi il terzo ed il quarto motivo del ricorso presentato nell’interesse del DP.G. ed il quinto e sesto motivo del ricorso presentato dalla Deco, nonché il terzo motivo nuovo della Deco, tutti concernenti la condotta colposa contestata al DP.G..
3.1. Può essere utile premettere che, nel capo di imputazione, al DP.G. è stata contestata, oltre alla colpa generica, l’inosservanza delle norme antinfortunistiche; e, in particolare:
– dell’art. 2087 c.c., poiché aveva omesso di valutare adeguatamente i rischi specifici per l’incolumità dei lavoratori insiti nelle attrezzature per il sollevamento presenti in azienda e di predispone misure di prevenzione e protezione idonee ad evitarne la concretizzazione, nonché procedure per l’attuazione delle stesse ed adeguata formazione, informazione ed addestramento del personale addetto;
– dell’art. 28 comma 2 lettere a), b) e d) D.Lgs. 81/08, poiché, nel predisposto Documento di Valutazione dei Rischi (di seguito DVR): a) aveva omesso di valutare il rischio derivante dalle operazioni di manutenzione in generale, così trascurando completamente quelle di sostituzione del tappeto della macchina rotativa; b) aveva omesso di indicare le misure di prevenzione e protezione da attuare in relazione alle operazioni di manutenzione in generale e, in modo particolare, per quelle di sostituzione del suddetto tappeto; c) aveva omesso di individuare le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare in relazione alle operazioni di manutenzione in generale e, in modo particolare, per quelle di sostituzione del tappeto;
– dell’art. 71 comma 7 d. lgs. n. 81/08, perché, nonostante le attrezzature presenti in azienda per il sollevamento di carichi e l’effettuazione di lavori di manutenzione richiedessero per il loro impiego conoscenze e responsabilità particolari, visti i rischi specifici per l’incolumità dei lavoratori, non aveva adottato le misure necessarie affinché l’uso di dette attrezzature fosse riservato a lavoratori con una formazione ed un addestramento adeguati e le operazioni di riparazione e manutenzione fossero lasciate esclusivamente al personale qualificato in maniera specifica per svolgere detti compiti.
3.2. Orbene, il Tribunale di Ravenna, nella sentenza di primo grado – dopo aver ricostruito le modalità del sinistro sopra riportate – ha osservato che, dopo l’infortunio, la corda utilizzata per il sollevamento del rullo era stata gettata, ragion per cui, quando due anni dopo la ASL effettuò le indagini, non fu possibile accertare se la rottura era derivata dall’usura oppure da un difetto di origine.
Pur tuttavia, gli operatori ASL ebbero modo di constatare che il datore di lavoro: a) non aveva valutato il rischio derivante da quella operazione specifica di sostituzione del tappeto (operazione che era peraltro di ordinaria manutenzione, venendo effettuata più volte l’anno); b) non aveva individuato nel documento di valutazione dei rischi alcuna misura di prevenzione e neppure le relative procedure di attuazione (ad esempio, stabilendo che per quella determinata operazione si dovesse fare ricorso ad uno specifico tipo di imbragatura); c) non aveva fornito alcuna formazione ai lavoratori addetti all’operazione (i quali, quindi, non erano stati specificamente preventivamente informati né del tipo di procedura da adottare nè degli attrezzi da utilizzare: in azienda in effetti erano presenti più tipi di braghe, corde, catene; e, pertanto, l’addetto avrebbe dovuto essere messo in grado di sapere quale imbragatura fosse idonea).
Tanto premesso, il Giudice di primo grado ha preso in esame l’assunto difensivo, secondo il quale l’azienda aveva in realtà previsto nel DVR il rischio specifico relativo alla operazione di manutenzione per cui è processo; ma l’ha disatteso, osservando che: a) l’unico DVR che portava una data certa precedente l’infortunio non prevedeva il rischio specifico derivante dalle operazioni di sollevamento del rullo dalla macchina rotativa Cadetti CRL; b) fra la documentazione che l’azienda aveva inviato alla ASL, vi erano anche fotocopie di manuali di istruzione di varie aziende, ma si trattava di documenti che o non avevano data certa anteriore all’infortunio oppure contenevano indicazioni del tutto generiche e non riferite espressamente allo specifico macchinario e all’operazione nel corso della quale il G.C. si era infortunato. L’azienda, dunque, non aveva valutato quel rischio e non aveva conseguentemente valutato le misure e le procedure di prevenzione e di protezione per evitarlo e neppure aveva informato e formato i lavoratori dei rischi specifici di tale lavorazione.
Il Giudice di primo grado ha preso in esame il contenuto delle deposizioni rese dai testimoni N.F., T. A. e D.V., osservando che dalle stesse era emerso che, per effettuare la sostituzione, veniva utilizzata da tempo sempre la stessa corda – benché in azienda fossero presenti anche altre corde, alcune catene e qualche fascia o cinghia – poiché era ritenuta delle dimensioni giuste per passare nel piccolo spazio nel quale andava effettuata l’imbragatura. I testi avevano inoltre precisato che: a) le modalità operative erano indicate esclusivamente nel “libro di macchina”, tenuto in officina a disposizione di chi ritenesse necessario consultarlo; b) detto libro illustrava soltanto come smontare e rimontare il rullo (e non anche che cosa utilizzare per sollevarlo); c) non venivano effettuati corsi a riguardo e la formazione avveniva di fatto “sul campo “.
Dopo l’infortunio, invece, i lavoratori avevano partecipato a corsi specifici sulla scelta e l’utilizzo delle diverse imbragature; inoltre, per il cambio del rullo della rotativa Carletti, erano state adottate (non più corde, ma) fasce di colore diverso a seconda del peso da sollevare, in modo da consentire, anche ad occhio, di individuare dal colore quella più idonea e in modo da rendere più agevole rispetto ad una corda, grazie alla loro conformazione, la verifica dello stato di usura. Era emerso, in aggiunta, che la fascia utilizzata in seguito era molto più grossa della precedente corda; e, quindi, era più complicato e lungo effettuare quel lavoro.
Il Tribunale infine ha preso in esame l’assunto difensivo (fondato soprattutto sull’esame del consulente tecnico di parte) secondo il quale la corda utilizzata per effettuare l’operazione sarebbe stata idonea ed i lavoratori avrebbero avuto la precisa disposizione di avvertire i responsabili in caso di usura di qualche attrezzo. Ma ha osservato che: a) la questione sulla capacità di portata della corda che era stata utilizzata non aveva in realtà particolare rilevanza, essendo evidente che l’infortunio si era verificato perché era stato utilizzato un mezzo di sollevamento divenuto in quel momento inadeguato; b) all’imputato era contestato il fatto che l’utilizzo del mezzo di sollevamento era rimesso alla piena discrezionalità dei lavoratori – i quali, non formati in ordine ai possibili rischi, utilizzavano la corda, anziché gli altri mezzi a disposizione, perché più facile da inserire sotto il rullo e senza operare alcuna preventiva valutazione di idoneità rispetto al carico da sollevare e allo stato di usura. E i lavoratori si comportavano così perché da venti anni erano soliti lavorare in quel modo, perché nessuno li aveva preventivamente informati e formati in ordine ai possibili rischi insiti in quell’operazione e, quindi, alla necessità di adottare strumenti di lavoro che fossero idonei, per capacità intrinseca ed efficienza.
3.3. E la Corte territoriale, nell’esaminare le doglianze difensive concernenti i profili di colpa contestati, ha rilevato:
-quanto alle constatazioni degli operatori della ASL, che il primo giudice aveva correttamente ritenuto in sentenza che “…gli operatori della ASL constatarono che il datore di lavoro non aveva valutato il rischio derivante da quella operazione specifica di sostituzione del tappeto …, non individuando nel documento di valutazione dei rischi alcuna misura di prevenzione né le relative procedure di attuazione, … che inoltre non era stata fornita alcuna formazione ai lavoratori addetti all’operazione …”; ciò in quanto le circostanze oggetto della constatazione (ossia la mancanza di elementi da cui emergessero una valutazione del rischio specifico e l’assunzione delle menzionate misure specifiche per evitarne la concretizzazione) erano state accertate in maniera oggettiva, tanto che nello stesso atto d’appello si era affermato che “la difesa dell’imputato, infatti, non ha contestato che non vi fosse nel DVR quello specifico relativo a tale operazione di manutenzione” (p. 11); secondo la difesa il primo giudice si era limitato a prendere atto di un mero parere di un solo accertatore, riguardo alia necessaria specificità delle valutazioni da effettuare, di cui si era constatata l’assenza, mentre avrebbe dovuto essere affermata la sufficienza di previsioni e tutele di portata generale; ma la Corte ha ritenuto detto assunto non condivisibile: a) sia perché l’art. 28 d. lgs. 81/08 precisa infatti che il DVR deve contenere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, con la conseguenza che, per garantire un’adeguata valutazione di ogni rischio, non è sufficiente una relazione del tutto generica, ma è invece necessaria una valutazione che, seppur sinteticamente, prenda in considerazione in maniera specifica ogni potenziale rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori (solo in questo modo, infatti, è possibile apprestare tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie per garantire pienamente la sicurezza); b) sia perché l’art. 71 comma 7 cit. d. lgs. prevede espressamente alcuni obblighi per il datore di lavoro a fronte dei “rischi specifici” delle attrezzature; e ciò costituisce un’ulteriore conferma della necessaria specificità della valutazione dei rischi;
-quanto alla qualifica del G.C. e del T., che: a) si trattava di due lavoratori che non avevano ricevuto una formazione mediante un corso specifico riguardo all’operazione, ma che svolgevano la sostituzione utilizzando la corda più facile da inserire nel piccolo spazio, così come avevano visto fare “sul campo” osservando un collega più anziano; b) una formazione di questo tipo non rendeva pienamente consapevoli dei possibili rischi e delle cautele da adottare per eseguirla in totale sicurezza, non garantendo pertanto una adeguata valutazione nella scelta del mezzo idoneo; c) a ciò non poteva peraltro sopperire né la presenza del libro di macchina a disposizione dei lavoratori – che non precisava quale strumento utilizzare per sollevare il rullo – né tantomeno l’abitualità dell’azione – in quanto la meccanica e acritica reiterazione nel tempo di una condotta non era di certo sufficiente a rendere esperto il soggetto che la compiva; d) a fronte delle considerazioni che precedono, sfumava il fatto che i due lavoratori avessero a disposizione anche altre corde e catene con cui avrebbero potuto effettuare il sollevamento: il rimprovero nei confronti del DP.G. si sostanziava nell’aver lasciato, senza aver operato una idonea valutazione dei rischi dell’operazione, la scelta tra i suddetti strumenti a dei soggetti non adeguatamente formati e che, pertanto, non disponevano delle necessarie conoscenze per assumere la decisione in maniera del tutto consapevole;
-quanto alla valutazione del rischio ed alla pretesa adeguatezza di indicazioni per relationem, che: a) nemmeno nella documentazione del costruttore della macchina era adeguatamente presa in considerazione la specifica operazione in cui si era verificato l’incidente, non precisandosi infatti quale strumento utilizzare per sollevare il rullo: ciò rendeva del tutto privo di fondamento la doglianza difensiva; b) l’indicazione nel DVR di un manuale – nel quale non era nemmeno idoneamente considerata l’operazione specifica e al quale non aveva comunque fatto seguito né la predisposizione di misure di prevenzione e protezione idonee, né un’adeguata formazione del personale addetto – di certo non poteva essere intesa come corretta esecuzione dei citati obblighi gravanti sul datore di lavoro a garanzia della sicurezza.
3.4. In definitiva, la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv. 216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure rilevabili in sede di legittimità, oltre che coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. N. 20129 del 10/03/2016, Serafica ed altro, Rv. 267253), secondo la quale il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’Interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
4. Non fondati sono il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse del DP.G. ed il quarto motivo del ricorso presentato nell’interesse della Deco, nonché il quarto motivo nuovo di quest’ultima, tutti concernenti il nesso causale tra la condotta contestata e l’evento lesivo verificatosi.
4.1. In linea generale, è indubbio che l’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatismo rispetto all’addebito di responsabilità e si impone la verifica, in concreto, della violazione da parte dell’imputato non solo della regola cautelare (generica o specifica), ma anche della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd. “concretizzazione” del rischio).
L’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare, cioè, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (ciò che si risolve nell’accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare sia essa generica o specifica, ma anche se l’autore della stessa potesse prevedere, con giudizio “ex ante” quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.
In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio, che la regola stessa mirava a prevenire; e se l’evento dannoso fosse o meno prevedibile, da parte dell’imputato (Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
4.2. Al riguardo, il Giudice di primo grado ha rilevato che, se i lavoratori fossero stati adeguatamente formati si sarebbero preoccupati di svolgere tale verifica d’idoneità e non avrebbero, conseguentemente, utilizzato la suddetta corda solo perché da tempo la utilizzavano o perché si trattava dell’imbragatura più comoda da utilizzare, ma si sarebbero preoccupati di verificare l’idoneità dell’imbragatura da utilizzare, sia in relazione allo stato di manutenzione e di usura che in relazione alla sua capacità di portata.
E la Corte territoriale ha osservato che: a) non sussisteva alcun dubbio riguardo al fatto che la corda fosse, al momento dell’incidente, uno strumento inadeguato per svolgere quella specifica operazione di sostituzione, come risultava dal fatto che la stessa aveva ceduto; b) non era condivisibile l’argomento difensivo, secondo cui non vi sarebbe stata prova che svolgere quella stessa operazione con un altro strumento sarebbe stato meno rischioso, in quanto, nel caso specifico, vi era stato (non un mero rischio, ma) un pericolo che si era concretizzato in un danno, per cui condividere la tesi della difesa sarebbe equivalso ad affermare che non esistevano strumenti che consentissero di svolgere in sicurezza l’operazione di sollevare il rullo e, quindi, evitare l’incidente; c) un dubbio poteva, se mai, esserci sulla causa della inadeguatezza della corda, in quanto l’inadeguatezza poteva essere derivata da una inidoneità originaria rispetto al carico da sollevare, dall’usura della corda o da una combinazione delle suddette due cause; ma in ogni caso l’inadeguatezza del mezzo al momento del fatto era risultata provata, come pure era rimasta provata la circostanza che i lavoratori non avrebbero impiegato tale strumento se fossero stati formati in maniera idonea (ed erano questi i punti rilevanti); d) se il rischio specifico fosse stato preso in considerazione e se i lavoratori fossero stati adeguatamente formati, questi si sarebbero preoccupati di svolgere una preventiva valutazione di idoneità della corda rispetto al carico da sollevare e allo stato di usura della stessa e non avrebbero, conseguentemente, utilizzato una corda inidonea.
La Corte di merito si è interrogata se il comportamento del lavoratore infortunato G.C. e del di lui collega T., se non abnorme, abbia in qualche modo concorso a cagionare il fatto. E – dopo aver premesso che il riferimento a un possibile concorso si trovava esclusivamente nel capo di imputazione (e non invece, come asserito nell’atto di appello, nella motivazione del giudice di prime cure, che pertanto appariva in piena sintonia con il dispositivo); e dopo aver osservato che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, in tema di causalità, l’eventuale colpa del lavoratore concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro, esime quest’ultimo dalle sue responsabilità soltanto allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore – ha ritenuto che, nel caso di specie, non solo la condotta dei due lavoratori non era stata abnorme, ma nemmeno era ravvisabile un concorso di colpa, non potendosi muovere rimproveri ai due soggetti che avevano svolto l’operazione, i quali non erano stati adeguatamente resi edotti dei rischi e non erano stati idoneamente formati, e, pertanto, non avevano avuto le conoscenze necessarie per rendersi conto dell’inadeguatezza dello strumento impiegato. Tale ricostruzione, peraltro, è stata correttamente ritenuta in linea con l’art. 20 comma 1 d. lgs. 81/08 che, trattando degli obblighi dei lavoratori, dispone che “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
La Corte di merito si è anche fatta carico di sottoporre a disamina le circostanze riferite dai testi dedotti dalla difesa in primo grado. E, quanto alle circostanze riferite dai testi N., T. e D., ha osservato che: a) nella motivazione della sentenza di primo grado, non vi era stata nessuna distorsione o alterazione del loro contenuto, ma semplicemente ne erano stati sottolineati i passaggi di maggiore rilievo ai fini dell’accertamento della responsabilità penale del DP.G.; b) anche gli aspetti delle testimonianze su cui la difesa aveva posto particolare attenzione (quali l’abitualità dell’operazione e l’asserita esperienza dei due lavoratori) non erano stati trascurati, ma erano stati ritenuti non determinanti ai fini del decidere. Quanto poi alle circostanze riferite dagli altri testi dedotti dalla difesa, la Corte ha osservato che: a) l’applicazione di un modello organizzativo e il trascorso di grande attenzione alla sicurezza (C.) non facevano certo venir meno le contestate e accertate omissioni in cui si sostanziava la colpa del DP.G.; b) la libertà di spesa data ai lavoratori (che ben avrebbero potuto comprare un’altra corda o quel che serviva senza ricorrere ad autorizzazioni se la corda fosse risultata non più idonea: A.G.) a ben poco rilevava se i lavoratori non avevano ricevuto una formazione che consentisse loro di valutare adeguatamente l’idoneità dello strumento; c) la mancata osservazione di segni di usura, riferita dal RSPP, che dopo l’incidente vide la corda impiegata, non era, per i motivi in precedenza esposti, una circostanza idonea a mettere in discussione l’inadeguatezza della corda al momento dell’incidente; d) a fronte di tali circostanze, sfumava la rilevanza delle valutazioni del consulente ing. F. circa l’adeguatezza della corda impiegata e l’esperienza del G.C. e del T..
4.3. In definitiva, entrambi i giudici di merito, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato, si sono attenuti ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità: rispetto all’odierno ricorrente, il verificarsi dell’infortunio ha costituito l’indubbia concretizzazione del rischio, alla cui prevenzione era preordinata la normativa dallo stesso violata. Inoltre, la Corte di merito ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la valutazione espressa dal primo giudice, sviluppando un percorso argomentativo che non presenta aporie di ordine logico e che risulta perciò immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità.
5. Non fondato, se non inammissibile, è il quinto motivo di ricorso presentato nell’interesse del DP.G..
5.1. Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, 4/7/2003 n. 36382, Dell’Anna ed altri, n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”: Sez. 6, sent. N. 9120 del 2/7/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
5.2. Detta evenienza che non ricorre nel caso di specie, nel quale il Tribunale di Ravenna ha riconosciuto al DP.G. le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante in considerazione della di lui incensuratezza, nonché del comportamento dallo stesso tenuto dopo il fatto («revisione delle procedure, sostituzione delle attrezzature, rielaborazione del documento di valutazione del rischio»: p.4) ed ha condannato l’imputato alla pena detentiva (condizionalmente sospesa) di mesi 1 di reclusione, in considerazione della durata della malattia subita dall’infortunato.
E la Corte territoriale – dopo aver confermato ¡1 giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante, risultando, all’esito di un’attenta comparazione, equivalenti gli elementi di disvalore considerati dall’aggravante e quelli positivi che consentivano la concessione delle attenuanti generiche (incensuratezza e comportamento successivo al fatto) – ha altresì confermato la scelta della pena detentiva in considerazione della gravità del danno nei confronti della persona offesa (essendosi peraltro protratta la malattia per la durata di 6 mesi e quindi ben oltre la soglia di 40 giorni il cui superamento è sufficiente ad integrare la contestata aggravante), nonché in considerazione della non lieve entità del grado della colpa.
6. Inammissibile è il sesto motivo del ricorso presentato nell’interesse del DP.G., concernente la mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p.p.
Come è noto, detta disposizione ha introdotto un nuovo istituto di diritto sostanziale, la causa di esclusione della punibilità per la speciale tenuità del fatto di reato, per il cui riconoscimento è richiesto un apprezzamento di merito, volto a riscontrare la sussistenza dei presupposti applicativi richiesti dalla norma (pena edittale, modalità e particolare tenuità della condotta, esiguità del danno) cosicché presuppone una analisi di merito, suscettibile di esame in sede di impugnazione esclusivamente in ordine alla coerenza e completezza dell’argomentazione adottata.
Orbene, la Corte di merito ha ritenuto non accoglibile la richiesta di declaratoria di non punibilità formulata in appello (con il motivo 2 bis), “vista la non modesta gravità del fatto, data l’entità delle conseguenze cagionate alla persona offesa”.
Trattasi di valutazione di merito, che in quanto congruamente motivata, è insindacabile nella presente sede processuale.
7. Inammissibili sono infine il primo ed il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse della società DECO, nonché il primo motivo nuovo presentato da quest’ultima, che qui si trattano congiuntamente in quanto tutti concernenti la contestata colpa di organizzazione ed i presupposti applicativi dell’art. 5 del d. lgs. n. 231 del 2001.
Nella sentenza di primo grado era stata affermata la responsabilità amministrativa della DECO, proprio perché il DP.G. aveva commesso il reato colposo a lui contestato nell’interesse obiettivo e comunque a vantaggio della società, avendo questa quantomeno ottenuto una riduzione dei costi di lavorazione e, conseguentemente, maggiori utili di quelli realizzabili rispettando la normativa antinfortunistica. Secondo il Giudice di primo grado, invero, la mancata previsione nel DVR dello specifico rischio in esame e quindi dell’utilizzo di altri mezzi di imbragatura (che a detta degli operai erano molto più “brigosi” da utilizzare) aveva consentito all’azienda di operare più celermente (e quindi di risparmiare tempo): tale modalità operativa si era così dimostrata oggettivamente vantaggiosa per l’ente.
Orbene, anche rispetto ai motivi in esame, è sufficiente rilevare che dalla intestazione della sentenza impugnata (oltre che dal tenore degli atti di appello e dei relativi motivi aggiunti, in atti) emerge che la questione della colpa di organizzazione e dei presupposti applicativi dell’art. 5 del d. lgs. n. 231 del 2001 non hanno formato oggetto di uno specifico motivo di doglianza davanti alla Corte di appello.
Ne consegue che anche i motivi qui in esame devono essere dichiarati inammissibili.
8. In definitiva, entrambi i ricorsi, in quanto aventi ad oggetto motivi infondati o inammissibili, vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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