Interazione uomo-macchina: l’uso scorretto può essere ragionevolmente prevedibile?
L’INAIL ha pubblicato nel mese in corso un’interessante Scheda tecnica [1] relativa all’interazione uomo-macchina che presenta indicazioni finalizzate a identificare il nesso tra prestazioni cognitive e comportamenti critici per la sicurezza:
Questo lavoro ha messo a fuoco gli stati cognitivi a cui sono ascrivibili comportamenti involontari, usi scorretti o ragionevolmente prevedibili…
L’introduzione e la relativamente ampia diffusione delle macchine tecnologicamente avanzate (tecnologie abilitanti) ha cambiato radicalmente i processi produttivi, riducendo alcuni rischi (rischi di natura meccanica), ma introducendone o aumentandone altri (dovuti a eccessivo o scarso carico mentale). Inoltre i rischi connessi all’utilizzo delle macchine erano fino ad ora affrontati per mezzo di dispositivi volti a ridurre al minimo il contatto uomo macchina l’inverso della situazione attuale dove “l’interazione non solo è inevitabile ma la ragione stessa del sistema uomo-macchina”.
Le caratteristiche quindi delle nuove tecnologie impongono un’attenzione importante ai comportamenti umani, alla loro valutazione, alla loro prevedibilità e sicuramente, vorremmo sottolineare, ai nessi con il complesso del sistema organizzativo aziendale.
Per ottenere la stima dei comportamenti umani in relazione alle condizioni di sicurezza i ricercatori suggeriscono di procedere all’individuazione dei
costrutti cognitivi coinvolti (processi attentivi) e ai relativi antecedenti (ciò che li innesca) che possono favorire comportamenti associabili ad usi scorretti e progettare per evitare tali costrutti.
È noto in letteratura scientifica [3] che comportamenti scorretti o involontari durante l’interazione uomo-macchina possono verificarsi in situazioni di discomfort del lavoratore. E’ quindi necessario, a fini preventivi, un approccio antropocentrico il quale implica che in fase di progettazione della macchina si tenga conto delle possibili cause di strain cognitivo durante l’esecuzione dei compiti, prevedendo l’uso scorretto dell’attrezzatura piuttosto che stimarne la possibilità e intervenire a valle. Obiettivo centrale quindi identificare quali possono essere gli elementi cognitivi legati alle condizioni di disconfort che possono dar luogo a comportamenti insicuri.
Le Norme tecniche sopra richiamate, che si occupano del rapporto tra lavoratore e attrezzatura, hanno un approccio che si focalizza prioritariamente sull’uso e funzionamento della macchina. Fattori quali la fatica fisica e mentale del lavoratore, vengono modestamente considerati, senza esaltare l’importanza del ruolo che tali fattori svolgono. La progettazione (delle attrezzature e del lavoro) deve quindi applicare un nuovo approccio, un approccio proattivo, vale a dire
predisporre a monte le condizioni della zona di comfort lavorativa in cui il rischio di errore è ridotto al minimo.
I ricercatori fanno riferimento alle attuali conoscenze in neuroergonomia e psicologia cognitiva [4], che permettono di
misurare lo stress o l’affaticamento cognitivo direttamente dalla reazione fisiologica [5] durante lo svolgimento di un’attività e quindi anche stimare il rischio di commettere un errore durante l’interazione con la macchina, in funzione della richiesta cognitiva del sistema che si sta progettando.
Il lavoro di ricerca presentato nella Scheda tecnica, con riferimento a specifici studi scientifici, ha individuato:
- i principali stati cognitivi (antecedenti e comportamenti conseguenti) fuori dalla condizione di comfort
- e per ciascuno, gli errori possibili correlati tra quelli che vengono portati ad esempio nella Norma UNI EN ISO 12100 come comportamento involontario del lavoratore o uso scorretto ragionevolmente prevedibile della macchina.
Quali sono le condizioni che possono sovraccaricare un operatore, portandolo a mettere in atto comportamenti rischiosi/scorretti?
Saper rispondere a questa domanda comporta la possibilità di accedere alla conoscenza dei fattori causali dei comportamenti rischiosi e, di conseguenza, alla possibilità di intervenire con misure a monte.
Il punto di partenza è trovare quindi una relazione di causa ed effetto, tra i fattori antecedenti un depauperamento cognitivo, il depauperamento stesso, e le conseguenze che possono derivarne in termini di errori.
La Scheda riassume nella figura che segue [6]
i principali stati di depauperamento cognitivo (con effetti sui processi attentivi) che concorrono alla manifestazione di comportamenti causa di incidenti tipicamente addebitati ad ‘errore umano:
I ricercatori suggeriscono quindi che, sulla base dei fattori individuati, è possibile
progettare a monte un sistema di interazione che favorisca una condizione di comfort cognitivo per il lavoratore, consentendogli così di avere una performance alta e un comportamento più sicuro (consapevole e attento).
La tematica è sicuramente importante e di interesse le indicazioni che emergono dalla ricerca dell’INAIL, ciò detto il concentrare l’analisi sui comportamenti individuali, con metodi anche di carattere strumentale, implica elementi di criticità che vanno considerati tra cui in particolare:
- i dati che emergono dall’analisi strumentale potrebbero essere utilizzati a danno del lavoratore mettendo a rischio il rapporto di lavoro o quantomeno provocare delle criticità se l’iniziativa non è accompagnata da verifica/controllo del Rls/sindacato e da una chiara informazione del lavoratore e quindi dal suo consenso
- l’indagine aziendale va poi diretta verso una verifica delle generali condizioni organizzative aziendali e della loro coerenza con le misure di tutela della salute e della sicurezza (tempi, pause, condizioni ambientali, procedure, ripetitività, autonomia, ecc.).
NOTE
[1] Interazione uomo-macchina. L’uso scorretto può essere ragionevolmente prevedibile?, INAIL ottobre 2024
[2] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Una strategia europea per le tecnologie abilitanti – un ponte verso la crescita e l’occupazione /* com/2012/0341 final.
[3] Si veda la Bibliografia della Scheda tecnica.
[4] La psicologia cognitiva, anche detta cognitivismo, è una branca della psicologia applicata allo studio dei processi cognitivi, teorizzata a partire dagli anni 1960, che ha come obiettivo lo studio dei processi mentali mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, elaborate, memorizzate e recuperate (Wikipedia).
[5] Ad esempio l’elettroencefalografia (EEG) è la misurazione dell’attività elettrica del cervello attraverso l’applicazione sullo scalpo di un certo numero di elettrodi. Nel campo della neuroergonomia, questo strumento consente di ottenere delle indicazioni importanti circa il livello attentivo dell’individuo e il suo carico cognitivo, una misura di quanto il cervello è impegnato in un determinato momento, ad esempio a causa di un eccesso di informazioni, spesso ridondanti e inutili.
[6] Scheda tecnica, fig.2.