Ancora dati su infortuni e malattie professionali: INAIL, IV Bollettino trimestrale (gennaio-dicembre 2021) e ISTAT, Indagine sulle Forze lavoro (2020)
INAIL: IV Bollettino trimestrale (gennaio-dicembre 2021)
Abbiamo la scorsa settimana esaminato il resoconto del Progetto mappe di rischio e i relativi dati proposti nella Fact sheet pubblicata dalla Sovrintendenza sanitaria dell’INAIL: documento interessante che permette, con riferimento al numero degli addetti, superando il dato relativo ai numeri assoluti delle denunce, di capire un po’ meglio i settori e i territori in cui l’indice di frequenza delle malattie professionali è davvero più elevato: obiettivo saper meglio indirizzare e programmare azioni di prevenzione.
È di questi giorni la pubblicazione del IV Bollettino trimestrale dell’INAIL relativo alle denunce di infortuni e malattie professionali nel periodo gennaio-dicembre 2021: ne diamo di seguito una sintesi ribadendo tuttavia come tale fonte di dati risulti di interesse esclusivamente per un’astratta conoscenza del dato numerico tra l’altro assolutamente inadeguato a descrivere le reali condizioni di rischio di territori e attività, non facendo alcun riferimento né agli addetti né alle ore lavorate.
Periodo compreso tra gennaio e dicembre 2021
Denunce di infortunio: 555.236, lo 0,16% in più rispetto al 2020.
- In aumento le denunce degli uomini (+10,63)
- In diminuzione le denunce delle donne (-14,19)
Denunce di infortunio con esito mortale: 1.221, il 3,86% in meno rispetto al 2020 (1.270)
- In diminuzione sia le denunce che riguardano le donne (-8,70) che quelle degli uomini (-3,27)
Denunce di infortunio per regione
- Maggior numero di denunce rispetto al 2020 in: Emilia Romagna (+6.250), Veneto (+3.990), Toscana (+2.261), Sicilia (+1.504), Lazio (+1.322), Umbria (+1.024), Friuli Venezia Giulia (+797), Calabria (+735), Provincia autonoma di Bolzano (+628), Abruzzo (+625), Marche (+592), Basilicata (+273), Molise (+228) e Sardegna (+108).
- Diminuzioni in: Lombardia (-8.509), Piemonte (-7.816), Campania (-1.684), Provincia autonoma di Trento (-834), Valle d’Aosta (-370), Liguria (-126) e Puglia (-102).
Denunce di infortunio modalità di accadimento (in occasione di lavoro o in itinere)
Dei 555.236 casi rilevati nel 2021:
- 474.847 riguardano infortuni avvenuti in occasione di lavoro, tali denunce, in diminuzione del 3,51% rispetto al 2020, rappresentano l’85,52% del totale
- 80.389 sono gli infortuni in itinere che sono in aumento del 29,21% e rappresentano il 14,48% del totale.
Denunce di infortunio con esito mortale per regione
- Maggior numero di denunce rispetto al 2020 in: Veneto (+19 casi), Puglia (+18), Friuli Venezia Giulia (+16), Umbria (+15), Campania (+14), Basilicata (+12), Lazio (+11), Abruzzo (+6), Provincia autonoma di Bolzano (+5), Provincia autonoma di Trento, Molise (+3), Valle d’Aosta (+2).
- Diminuzioni rispetto al 2020 in: Lombardia (-92), Calabria (-18), Sicilia (-16), Marche (-14), Piemonte (-12), Liguria (-10), Emilia Romagna (-9), Sardegna (-2). Mente in Toscana si sono rilevate 63 denunce di infortunio con esito mortale, come nel 2020.
Denunce di infortunio mortale modalità di accadimento (in occasione di lavoro o in itinere)
Dei 1.221 casi rilevati nel 2021 (in diminuzione del 3,86% rispetto all’anno precedente):
- 973 riguardano gli infortuni in occasione di lavoro, tali denunce in diminuzione del 7,86%, rappresentano il 79,69% del totale
- 248 gli infortuni in itinere, tali denunce in aumento del 15,89%, rappresentano il 20,31% del totale.
Denunce di malattie professionali
Denunce di malattie professionali: 55.288, il 22,80% in più rispetto al 2020 (45.023):
- 2.829 denunce in più per le femmine (da 12.072 a 14.901, in aumento del 23,43%)
- 7.436 in più per i maschi (da 32.951 a 40.378, in aumento del 22,57%).
Denunce di malattie professionali per regione
Incrementi nelle singole regioni: Emilia Romagna (+1.442), Puglia (+1.396), Toscana (+1.294), Marche (+1.174), Lazio (+672), Veneto (+663), Umbria (+534), Abruzzo (+487), Calabria (+458), Piemonte (+398), Lombardia (+382), Friuli Venezia Giulia (+281), Campania (+180), Basilicata (+177), Liguria (+166), Sardegna (+162), Sicilia (+150), Provincia autonoma di Bolzano (+89), Molise (+84), Provincia autonoma di Trento (+69), Valle d’Aosta (+7).
Fonte “Open data” INAIL
ISTAT – Indagine sulle Forze lavoro (2020)
L’ISTAT ha appena pubblicato i risultati di una rilevazione condotta nel 2020 nell’ambito dell’Indagine continua sulle Forze di Lavoro. Tale indagine prevede, secondo il Regolamento comunitario, l’inserimento nel questionario standard di un “modulo ad hoc”, diverso ogni anno, per approfondire un particolare aspetto del mercato del lavoro. Nel 2020, la tematica affrontata è stata “Salute e sicurezza sul lavoro”.
L’indagine realizzata mediante tecnica mista CAPI [1] e CATI [2] è stata realizzata su un campione di 60.000 famiglie e 116.000 individui in 1.269 Comuni distribuiti in tutte le province del territorio nazionale: la prima intervista viene condotta in presenza mentre le successive sono condotte telefonicamente (questo si è verificato solo nel primo trimestre poiché successivamente ci si è dovuti limitare alle interviste telefoniche causa le restrizioni imposte per l’emergenza sanitaria).
L’indagine, che ha interessato individui di età compresa fra i 16 e i 74 anni, mirava a raccogliere informazioni relativamente a:
- elementi oggettivi forniti dal racconto degli interessati in merito a infortuni, accaduti durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, e sui problemi di salute fisica e psichica correlati al lavoro
- informazioni sulla percezione dell’esposizione ai fattori di rischio per la salute fisica o psicologica sul luogo di lavoro.
Il modulo
Le tre sezioni:
- la prima è volta a fornire una stima degli infortuni sul lavoro, per tipologia, ovvero se si è trattato di un incidente stradale o meno, le caratteristiche del lavoro in cui è avvenuto l’infortunio e per quanto tempo un lavoratore è stato assente a causa dell’infortunio stesso
- la seconda è volta a rilevare i problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa, la tipologia di tali problemi di salute, se limitano le attività quotidiane dei lavoratori, le caratteristiche del lavoro correlato al problema di salute e l’eventuale durata dell’assenza dal lavoro
- la terza parte esamina l’esposizione a fattori di rischio per la salute, sia fisica sia psicologica, sul luogo di lavoro.
Infortuni
Nel 2020, sono 366mila le persone che dichiarano di aver subito – nei dodici mesi precedenti l’intervista – almeno un infortunio sul luogo di lavoro:
- si tratta dell’1,4% di coloro che nel periodo considerato hanno svolto un’attività lavorativa (circa 25 milioni 544mila individui, tra i quali, 22 milioni 827mila risultano occupati anche al momento dell’intervista)
- se il valore viene calcolato sulla popolazione tra i 15 e i 64 anni (così da permettere il confronto con i dati degli altri paesi europei) la quota sale a 1,5% contro il 2,4% della media europea.
- un dato in diminuzione se si considerano le precedenti indagini del 2007 e del 2013: va comunque tenuto conto che nel 2020, oltre tre milioni di persone non sono state esposte al rischio infortuni in quanto assenti dal lavoro a causa delle misure governative contro la pandemia di SARS-CoV-23.
I dati ISTAT confermano i dati di fonte INAIL che nel 2020 hanno registrato una diminuzione del numero di denunce. Le denunce rilevate dall’Ente assicurativo sono tuttavia più numerose: 506mila. L’INAIL infatti considera gli infortuni e non le persone infortunate (la stessa persona può subire più infortuni) e tra gli infortuni sul lavoro considera anche quelli collegati all’infezione da Covid-19 se contratta in ambito professionale (per un totale di oltre 130mila casi). [3]
Chi sono gli infortunati?
- Per l’84,9% lavoratori dipendenti
- Il 14,9% svolge un’attività autonoma
- Gli operai rappresentano la categoria di lavoratori più esposta al rischio: sono infatti circa la metà degli infortunati (164mila lavoratori) e hanno il tasso più elevato (2,0%)
- Mentre quello più basso si registra tra i dirigenti e i quadri (0,6%), per quanto riguarda i lavoratori dipendenti
- Per i lavoratori autonomi il tasso più basso si riscontra tra gli imprenditori e i liberi professionisti (0,2%)
- Circa un quarto degli infortuni ha interessato i lavoratori dell’Industria
- Incidenze più elevate del fenomeno si registrano però tra i lavoratori della Sanità (3,0%), dell’Agricoltura (2,4%), delle Costruzioni (2,2%) e del Trasporto e magazzinaggio (2,0%).
- Operai e lavoratori della sanità i più esposti al rischio di infortunio, i lavoratori del settore della Sanità per effetto della pandemia hanno addirittura aumentato la loro esposizione al rischio, non solo hanno il tasso più alto ma sono anche gli unici a mostrare un tasso di infortunio più elevato rispetto al 2013.
- Mentre gli altri settori, a causa del ridotto numero di ore lavorate, presentano una riduzione del rischio di infortunio con riduzioni che vanno dal 30/45 % (Trasporto e magazzinaggio, Costruzioni, Agricoltura e Industria) sino al 50% (Alberghi e ristoranti e i Servizi collettivi e personali).
- Il tasso di infortunio dei lavoratori stranieri è più alto rispetto a quello degli italiani in alcuni settori (Costruzioni 3,3% contro 1,9%, Sanità 4,5% contro 2,9%). Nell’Industria al contrario, il rischio di infortunio per gli italiani (1,8%) è tre volte quello degli stranieri (0,6%).
Chi ha problemi di salute?
- Le persone occupate che hanno dichiarato un problema di salute lavoro-correlato sono un milione 294mila, tuttavia per il 53,4%, per un totale di circa 691mila occupati, non vi è stato impatto sulle assenze dal lavoro,128mila (il 9,9%) sono invece stati assenti per più di un mese.
- Le giornate di assenza sono associate prevalentemente alle malattie infettive, ai problemi di stomaco, fegato, reni e apparato digerente, mentre i disturbi alla testa e alla vista, all’udito e lo stress solo in tre casi su 10 hanno comportato assenze.
- I lavoratori in proprio sono la categoria che lamenta maggiormente problemi di salute causati o aggravati dal proprio lavoro (7,1% di tutti i lavoratori in proprio), seguiti dagli operai (5,8%) e dagli imprenditori e liberi professionisti (5,2%). Nonostante tra gli impiegati la quota di coloro che dichiarano problemi di salute lavoro-correlati sia più bassa (5%), questi rappresentano quasi un terzo degli occupati che soffrono di tali problemi, quota seconda solo a quella degli operai (38,2%).
- Il 5,2% (per un totale di un milione 896mila) di coloro che fra 16 e 74 anni lavorano o hanno avuto almeno un’esperienza di lavoro nel corso della propria vita, dichiara di aver sofferto nei 12 mesi precedenti l’intervista di malattie o problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa (infortuni esclusi). Il valore, se calcolato sulla popolazione tra 15 e 64 anni, è pari al 5,4% ed è quasi la metà della media europea (10,3%).
- Più problemi di salute per gli uomini: come per gli infortuni, la maggioranza di coloro che hanno problemi di salute lavoro-correlati sono più uomini (5,3%) che donne (5,1%).
- Gli italiani che soffrono di problemi di salute connessi all’attività lavorativa sono più numerosi degli stranieri (5,4% contro 3,7.
- Tra coloro che lamentano problemi di salute lavoro-correlati, 337mila persone (il 17,8%) ne dichiarano almeno due, la multi-problematicità affligge più frequentemente le donne.
- Il 65,0% di quanti soffrono di problemi di salute dichiara un problema osseo, articolare o muscolare che rappresenta la tipologia più diffusa e anche in aumento rispetto al 2013 (era il 59%); nel dettaglio si tratta di problemi alla schiena in oltre un terzo dei casi (35,6%) e di problemi agli arti, sia superiori (19,5%), sia inferiori (10%).
- Il 13,7% di quanti soffrono di problemi di salute dichiara di avere problemi di natura psicologica come lo stress, la depressione e l’ansietà, seguono i problemi respiratori (5,2%), il mal di testa e i problemi alla vista (3,7%), i problemi cardiovascolari (3,6%) e i disturbi all’udito (2,1%). Il restante 6,8% accusa problemi allo stomaco o all’apparato digerente, alla cute, oppure lamenta infezioni e simili.
- Il 47,1% di coloro che soffrono di problemi alla schiena sono cittadini stranieri, rispetto agli italiani che sono il 34,8%.
- Sette stranieri su 10 segnalano problemi di tipo osseo, articolare o muscolare, per gli italiani abbiamo sei su 10.
- I problemi osteo-muscolari, eccezion fatta per quelli alla schiena, sono più diffusi tra le donne (31,4%, contro 27,8% degli uomini).
- I problemi cardiovascolari, di udito e, in misura più limitata, per problemi respiratori, di schiena o legati a stomaco, fegato, reni e apparato digerente sono denunciati maggiormente dagli uomini.
- I giovani (di età compresa tra i 25 e i 34 anni) più spesso delle persone in altre fasce d’età accusano problemi di stress, depressione o ansia (26,4%), problemi secondi solo a quelli legati alla schiena (31,2%)
- 192mila persone dichiarano di non lavorare a causa di un problema di salute causato o aggravato dall’attività lavorativa, tra questi circa 134mila ritengono che per il medesimo motivo non potranno tornare a lavorare in futuro. I principali problemi di salute che impediscono di tornare a lavorare sono legati alla schiena (31,7% dei casi), agli arti inferiori (18%) e a problemi cardiocircolatori (15%).
- I settori maggiormente interessati sono: la Sanità (soffrono di problemi di salute nell’8,6% dei casi, in crescita rispetto al 2013), seguono Agricoltura, silvicoltura e pesca (8,2%) e Costruzioni (7,0%).
- Nonostante l’incidenza di chi soffre problemi di salute lavoro-correlati tra gli occupati dell’Industria in senso stretto sia del 4,9%, questi rappresentano quasi un quinto (il 18,1%, per un totale di 227mila persone) del totale degli occupati con problemi di salute, superando quindi in valore assoluto sia gli occupati della Sanità (12,7%; 160mila) sia quelli del Commercio (11,9%,150mila).
L’esposizione a fattori di rischio fisico
Secondo l’indagine condotta nel 2020:
- sono oltre 16 milioni (il 70,2%) gli occupati che percepiscono almeno un fattore di rischio per la salute, fisica o psicologica, sul luogo di lavoro
- di cui 14 milioni 253mila (62,2%) avvertono la presenza di almeno un fattore di rischio fisico,
- mentre otto milioni 942mila lavoratori (39,0%) uno di rischio psicologico.
Considerando la fascia di età compresa fra i 15 e i 64 anni, il dato sull’esposizione al rischio per la salute fisica è pari al 62,4%, in linea con quello medio europeo (62,3%), per la salute psicologica è invece pari al 37,6%, più basso della media europea (44,6%).
Considerando le problematiche di genere e dei lavoratori immigrati:
- gli uomini più spesso delle donne dichiarano di essere esposti a rischi per la salute fisica (65,2% contro 58,1%), senza differenze di età
- mentre le donne più frequentemente lamentano rischi per la salute psicologica (40,9% contro 37,7%), ancora una volta senza differenze in termini di età
- solo tra gli stranieri gli uomini si sentono più esposti delle donne anche rispetto alla salute psicologica (30,6% contro 27,5%)
- le donne straniere occupate mostrano valori di percezione di rischio inferiori anche a quelli delle donne italiane, -16,1 punti percentuali per la salute fisica e -14,9 punti per la salute psicologica (differenze più consistenti di quelle rilevate tra gli uomini, pari rispettivamente a -7,5 e -7,9 punti)
- gli occupati stranieri denunciano una minore esposizione a fattori di rischio per la salute, sia fisica (52,3% contro 63,3%), sia psicologica (29,3% contro 40,1%).
Ma quali sono i principali fattori di ischio indicati dagli intervISTATi?
I primi tre:
- movimenti ripetitivi della mano e del braccio (32,2%),
- posizioni dolorose o stancanti (31,2%)
- disturbi visivi (22,0%)
cui fanno seguito:
- il sollevamento o spostamento di carichi pesanti (17,5%)
- cadere, scivolare o inciampare (17,0%)
- polveri, gas, esalazioni così come l’uso di attrezzi manuali o meccanici rappresentano un fattore di rischio per la salute fisica per circa il 13% degli occupati.
L’esposizione viene diversamente percepita da uomini e donne e si conferma, anche in questo ambito, la più elevata percezione tra gli uomini rispetto alle donne con l’unica eccezione dello sforzo della vista, lamentato dal 23,9% delle lavoratrici e dal 20,6% dei lavoratori. Differenze ancor più significative tra lavoratori italiani e stranieri.
Differenze di genere nella percezione dei rischi
Uomini | Donne |
– assumere posizioni dolorose o stancanti (32,9%) – movimenti ripetitivi della mano o del braccio (32,8%), – sollevamento o spostamento dei carichi pesanti (21,6%) |
– i movimenti ripetitivi sono al primo posto (31,4%), – seguiti dalle posizioni dolorose o stancanti (28,9%), – lo sforzo della vista è il terzo fattore più citato. |
Differenze tra lavoratori italiani e stranieri nella percezione del rischio
I lavoratori stranieri si sentono esposti a rischi associati a lavori di tipo manuale, quali: – posizioni dolorose o stancanti (30,1%) – movimenti ripetitivi (27,2%) – sollevamento o spostamento di carichi pesanti (26,1%).Mentre avvertono un basso rischio per la vista. |
Le categorie maggiormente esposte a rischio di tipo fisico :
- il 39,2% degli operai e il 37,5% dei lavoratori in proprio dichiarano rischi associati ai movimenti ripetitivi della mano e del braccio (fattore cui i lavoratori si sentono più esposti (32,2%)
- in particolare, per i movimenti ripetitivi la percezione è elevata in Agricoltura (49,5%) e nelle Costruzioni (45,8%), seguiti dall’Industria e dagli Alberghi e ristoranti (entrambi 36,5%)
- sempre i lavoratori in proprio (40,4%) e gli operai (39,7%) sono i più esposti al rischio di posizioni dolorose e stancanti (31,2%)
- in particolare per le posizioni dolorose e stancanti le categorie maggiormente interessate sono: l’Agricoltura (52,7%) e le Costruzioni (50,9%), Trasporto e Magazzinaggio (39,8%)
- il sollevamento dei carichi pesanti (17,5%) e il rischio di scivolare, cadere o inciampare (17,0%) sono altri due fattori citati soprattutto da operai (rispettivamente 28,3% e 25,1%) e lavoratori in proprio (27,0% e 21,8%)
- il rischio di danneggiare la vista è avvertito in media dal 22% dei lavoratori, in particolare dirigenti e quadri (38,8%), impiegati (32,7%), imprenditori e liberi professionisti (32,7%); particolarmente elevata è la quota tra i lavoratori del settore dei Servizi di informazione e comunicazione (49,2%), delle Attività finanziarie e assicurative (45,4%) e dell’Amministrazione pubblica (38,6%)
- infine, oltre un terzo (34,6%) degli operatori del settore sanitario denuncia “altri fattori di rischio per la salute fisica” con particolare riferimento al rischio di infezioni da Covid19.
Esposizione a rischio psicologico
Il quadro fornito dall’indagine ISTAT viene completato dalle informazioni raccolte tra gli intervISTATi in merito ai fattori di rischio per la salute psicologica:
- il 39,0% dei lavoratori percepisce tale fattore di rischio
- il carico di lavoro eccessivo o le tempistiche di lavoro pressanti rappresentano il fattore prevalente, sia per gli uomini sia per le donne (20,4%).
- sono i lavoratori nelle fasce di età centrali i più esposti (soprattutto 45-54enni con il 22,9%),
- ma anche i residenti al Nord (21,3%)
- e i cittadini italiani che lo avvertono nel 21,5% dei casi contro il 10,8% degli stranieri
- circa un terzo degli occupati (32%) nella Sanità e nelle Attività finanziarie e assicurative avverte questa tipologia di rischio
- seguono i lavoratori dei Servizi di informazione e comunicazione (26,9%), dell’Amministrazione pubblica (24,3%) e dell’Istruzione (23,8%)
- i più esposti sono inoltre i dirigenti e i quadri (34,6%), gli imprenditori e i liberi professionisti (27,1%), gli impiegati (23,4%).
Dati, quelli forniti dall’indagine ISTAT, che anche ad un primo esame sembrano contraddire quanto emerge dalle valutazioni del rischio stress lavoro correlato attuate in questi anni nelle aziende, dove il problema sembra di fatto non esistere. Ovviamente è questa una affermazione che richiederebbe conferma mediante i risultati del Monitoraggio, previsto dalle Indicazioni della Commissione consultiva e mai attuato.
Ancora una volta interessanti le diversità di percezione secondo il genere, tenendo conto che le differenze più marcate nella percezione di uomini e donne si riscontrano per le posizioni dirigenziali, tra le quali le donne denunciano una maggiore esposizione a carico di lavoro eccessivo o tempistiche di lavoro pressanti (+6,0 punti percentuali); tra gli imprenditori e i liberi professionisti sono invece gli uomini a essere più esposti (+3,2 punti).
Differenze di genere caratterizzano infine:
- il settore dell’Istruzione (l’esposizione delle donne è di +6,4 punti percentuali rispetto a quella degli uomini)
- e i lavoratori stranieri, tra i quali gli uomini risentono più delle donne del carico eccessivo (+2,8 punti).
Tra i fattori di rischio evidenziati oltre il carico di lavoro eccessivo o le tempistiche di lavoro pressanti, troviamo:
- al secondo posto il dover lavorare con persone difficili da trattare, quali pazienti, clienti, studenti o utenti vari (17,7%): lo denuncia il 20,6% delle lavoratrici e il 15,6% dei lavoratori. La problematica è particolarmente sentita dai dirigenti e quadri (27,9%), da imprenditori e liberi professionisti (24,8%) e dagli impiegati (22.2%). Ancora una volta, il settore più a rischio è la Sanità (il 38,7% dei lavoratori lo percepisce), seguito dall’Istruzione (25,0%) e dalla Pubblica amministrazione e difesa (24,8%)
- al terzo posto si trova il rischio di perdere il lavoro (10,8%), un’insicurezza che mina il benessere psicologico soprattutto degli stranieri (16,4% contro 10,2% degli italiani), dei più giovani (15,4%) e dei collaboratori (25,1%). Il settore più esposto è quello degli Alberghi e ristoranti (18,2%)
- in quarta posizione si trova la scarsa comunicazione e collaborazione all’interno dell’organizzazione, particolarmente avvertite dalle donne (11,3% contro 8,7% degli uomini), tra le quali è addirittura più diffuso del rischio di perdere il lavoro. Questo fattore è maggiormente percepito dagli italiani (10,4% rispetto al 4,1% dei lavoratori stranieri), i residenti del Nord (11,2%), i dirigenti e quadri (18,2%), gli impiegati (14,0%), i lavoratori del settore sanitario (17,8%), delle Attività finanziarie (14,0%) e della Pubblica amministrazione e difesa (13,4%).
Manifestazioni di prepotenza o vessazione: percezione e soggetti maggiormente a rischio
Le Manifestazioni di prepotenza o vessazione così come l’esposizione a minacce o violenze, sono avvertite da una quota contenuta, seppur rilevante, di lavoratori: si tratta di poco meno di un milione di occupati nel caso di prepotenza o vessazione (4,1%) e di circa 554mila lavoratori in quello di minacce o violenze fisiche (2,4%).
Sono le donne a dichiarare più frequentemente di essere esposte a fenomeni di prepotenza o vessazione (5,0% contro 3,5% degli uomini) mentre per le minacce o le violenze fisiche la distanza di genere si attenua (2,6% delle donne e 2,2% degli uomini).
I rischi di prepotenza o vessazione sembrano essere percepiti in misura maggiore da chi occupa posizioni dirigenziali (7,1%) o impiegatizie (5,7%), soprattutto per la componente femminile: la quota di chi dichiara l’esposizione al fattore di rischio sale al 9,0% tra le dirigenti, al 5,9% fra le impiegate e al 5,3% fra le imprenditrici e le libere professioniste.
Fatta eccezione per il settore della Pubblica amministrazione, dove il sottogruppo della difesa gioca un ruolo importante (percepiti fenomeni di prepotenza dal 10,2% dei maschi), in tutti gli altri la componente femminile è la più esposta, in particolare nei settori della Sanità (11,2%), dei Trasporti e magazzinaggio (9,4%), e di Alberghi e ristorazione (4,5%).
La situazione in termini di posizioni professionali e settori economici è simile anche per il fattore di rischio rappresentato da minacce o violenze fisiche: la percezione è maggiore tra i dirigenti e gli impiegati (4,3% e 3,6%) e i settori con valori più alti sono quelli della Pubblica amministrazione e difesa, dove sale al 9,1% (anche in questo caso la percezione è più consistente tra gli uomini, 10,2%, rispetto alle donne, 7,3%), della Sanità (8,0%) e dei Trasporti e magazzinaggio (5,3%).
Sia per il fattore prepotenza o vessazione sia per l’esposizione a minacce o violenze, la percezione degli stranieri è inferiore a quella degli italiani (con scarti, rispettivamente, di 2,4 e 1,7 punti percentuali); sono soprattutto le occupate straniere a sentirsi meno esposte rispetto alle occupate italiane (-3,1 e -2,0 punti percentuali).
NOTE
[1] Computer Assisted Personal Interview
[2] Computer Assisted Telephone Interview
[3] Il modulo ad hoc ISTAT su salute e sicurezza è stato sviluppato prima della pandemia e per questo tale evento non è stato possibile inserirlo tra gli infortuni.