Continua l’attenzione che i magistrati pongono a carico dell’attività del Medico Competente. È noto che da tempo l’attività del Medico Competente viene sempre più considerata come importante ai fini del miglioramento continuo del benessere dei lavoratori. Un ruolo che non è più confinato alla mera sorveglianza sanitaria e agli accertamenti di idoneità, ma che valorizza il suo apporto scientifico anche nella valutazione dei rischi e alla promozione della salute.
Alcuni mesi fa è stato pubblicato il contenuto di una sentenza della Cassazione Penale (Cass. Penale, Sez. III, 9 Agosto 2018 n. 38402) proprio centrata sul tema della , previsto dall’art. 25 c.1 lett. a) del testo Unico e sanzionato dall’art.58. Stiamo quindi parlando di violazioni alla collaborazione che si sono verificate dopo l’introduzione del nuovo testo del 2008, anzi per essere ancora più precisi con le correzioni apportate dal successivo decreto 106 del 2009.
La sentenza non introduce rilevanti novità: piuttosto ribadisce, con ancora maggiore forza e chiarezza ciò che precedenti sentenze, citate nel dispositivo, e in particolare la sentenza del 2013 n. 1856 della Cassazione, già hanno dichiarato. Infatti in quest’ultima sentenza la Suprema Corte stabiliva che
l’obbligo di collaborazione col Datore di Lavoro cui è tenuto il medico competente… non presuppone necessariamente una sollecitazione da parte dello stesso Datore di lavoro, ma comprende anche un’attività propositiva e di informazione.
In sostanza il medico competente consapevole dei propri obblighi di collaborazione non deve, per attivarsi, attendere la sollecitazione del Datore di lavoro, ma agire di propria iniziativa, semplicemente adempiendo quanto la norma gli assegna come ruolo.
La sentenza del 2018 ricorda, sulla scia di quanto finora detto, che nel procedere alla valutazione dei rischi il Datore di lavoro: “deve necessariamente essere coadiuvato da soggetti quali, appunto il medico competente, portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell’obbligo” previsto a suo carico. È dunque fatto obbligo al medico di prestare questa collaborazione “il cui adempimento può essere opportunamente documentato” ovviamente nell’ambito della specifica qualificazione professionale.
Già da queste prime frasi capiamo bene il ruolo del Medico Competente e di quanto spesso questa collaborazione, nella realtà, venga meno. Con la silente ignavia del Datore di lavoro il quale spende dei soldi per retribuire una figura professionale che non svolge appieno la sua attività. Insomma, uno spreco di risorse economiche oltre che una inefficiente valutazione dei rischi aziendali.
Come se non bastasse la sentenza ricorda che il ruolo del medico va svolto non solo assumendo
elementi di valutazione dalle informazioni che gli vengono fornite dal datore di lavoro, ma anche quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all’art. 25, lett I) o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o d altri soggetti.
Qui emerge una seconda frequente mancanza. Non sono pochi le aziende in cui i lavoratori dichiarano di incontrare il medico unicamente in occasione delle visite e di non vederlo o di vederlo raramente visitare i reparti e gli ambienti di lavoro. Se così fosse da dove prende le informazioni il medico per farsi un’idea, dal suo punto di vista professionale, dei rischi a cui vanno incontro i lavoratori? È questo il caso presentatosi nella recente sentenza e sanzionato dalla Corte proprio perché l’assenza di una attiva collaborazione si traduceva “in una mera inerte attesa delle iniziative del datore di lavoro”. Proseguendo la sentenza ricorda che le omissioni “hanno natura di reato permanente e di pericolo astratto” prescindendo dai possibili concreti danni che possano provocare. Il medico viene quindi sanzionato a prescindere dal fatto che la sua “inerzia” possa aver contribuito o meno a una conseguenza dannosa per i lavoratori.