In un comunicazione al 77° Congresso nazionale di Medicina del Lavoro a Bologna, S. Simonini e G.P. Mosconi si chiedono se sia DAVVERO EFFICACE L’ATTIVITÀ PREVENTIVA DEL MEDICO COMPETENTE.
Essi osservano che la parola efficacia significa la capacità di produrre pienamente l’effetto voluto ed in Medicina del Lavoro l’effetto voluto è rappresentato dalla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Ora – secondo i Relatori – nell’attività quotidiana del Medico Competente il raggiungimento di tale obiettivo è condizionato da numerose variabili, (normativa, tipologia aziendale, caratteristiche della popolazione dei lavoratori, strumenti a disposizione) e le aspettative sugli obiettivi dell’attività preventiva dei Medici divergono molto tra i diversi attori della prevenzione: datori di lavoro, RSPP, RLS, lavoratori, organi di vigilanza, enti assicurativi. Non solo, gli stessi medici competenti hanno aspettative spesso legate alla personale percezione dei problemi su cui si è chiamati ad intervenire.
Tutti questi elementi, in un contesto di crisi economica, ed in un “diffondersi dell’opinione che l’attività di sorveglianza sanitaria non risponde al paradigma della dimostrazione di efficacia” , obbligano oggi più di ieri il Medico Competente a dimostrare, attraverso degli obiettivi standard predefiniti, l’efficacia della propria attività preventiva su diversi fronti: in termini economici, di gestione e contenimento dei rischi, di tutela e promozione dello stato di salute dei lavoratori. Un altro interessante aspetto dibattuto è stato quello relativo alla Autonomia del Medico Competente, presupposto importantissimo ed indispensabile per operare con buone prassi. La tematica, non priva di intrinseche doglianze, fa intravedere un cammino ancora difficile perlomeno per i problemi “etici” perché si realizzino condizioni ottimali di operatività nell’attività professionale. P. Del Bufalo, C. Mirisola, Mirisola, G. Pagliaro, Er. Ramistella hanno sottolineano come Codice Internazionale di Etica per gli Operatori di Medicina del Lavoro prima e la stessa normativa poi abbiano sancito come requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività di medico competente “l’autonomia” intendendo con tale asserzione “un’equidistanza formale dalle posizioni di tutti gli altri attori della sicurezza”; secondo gli AA , ne derivano in caso di inadempienza sanzioni per il Medico Comeptente, anche importanti, diverse e svincolate da quelle per il datore di lavoro e dirigente. Certo il medico competente che lavori in condizioni di indipendenza e tranquillità potrà agire efficacemente per la prevenzione ma la normativa sembra determinare una dicotomia fra l’autonomia che il datore di lavoro “deve garantire” – senza che si specifichi in che modo – e l’incarico del medico competente conferito tramite nomina, (delegabile) del datore di lavoro. Questa ultima condizione sottintende una possibile revoca, e in genere viene espressa tramite il riconoscimento di una “fiduciarietà” dell’incarico. L’autonomia può venire inficiata anche dalla possibilità, legalmente riconosciuta, di esercizio tramite società di servizi in qualità di “consulente”, che finisce per prevedere di fatto il conferimento dell’incarico tramite quest’ultime. Inoltre la problematica dell’autonomia, che viene riconosciuta a tutti i medici competenti, necessita di una correttezza nella definizione dei rapporti fra medico competente coordinatore e coordinato, tale da garantire la dignità professionale, l’autorevolezza e quindi “l’autonomia” di entrambi.
In tale quadro occorre considerare la collocazione negli organigrammi aziendali della figura del medico competente e la possibilità effettiva di interagire con il datore di lavoro pur essendone per definizione un consulente diretto. Devono fare riflettere anche le polemiche su quantitativo e modalità di formulazione di prescrizioni e/o limitazioni nei giudizi di idoneità e talvolta le modalità di attribuzione dell’incarico sotto il profilo contrattuale
Un particolar contributo è stato poi offerto da M. Coggiola , che ha osservato essere obiettivo della trasformazione sociale e preventiva in corso quello di far diventare il medico del lavoro competente figura centrale di un processo di evoluzione dei sistemi aziendali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori indirizzando e trasformando la sua attività verso il ruolo di consulente globale. Trasformazione, secondo Coggiola, riuscita “parzialmente” per ostacoli sia interni (medici competenti), che esterni (aziende ed associazioni di categoria). Anche perchè – si duole il Relatore – ancora in molte aziende vige la regola del minor costo possibile che trova riflessi anche nel modus operandi di alcuni professionisti che “ottimizzano la propria attività verso l’economia della quantità e non della qualità”. Di modo che, di fatto, talune aziende risolvono il rapporto di consulenza con medici ritenuti troppo “esigenti” sul piano qualitativo avendo ulteriore sponda in alcune associazioni che suggeriscono alle aziende associate di utilizzare le regole di mercato.
Per definire regole comportamentali per il medico che permettano di rispettare i principi etici e in risposta a tale esigenza Coggiola ipotizza la costituzione di una struttura di riferimento nazionale (Agenzia Nazionale dei medici competenti del lavoro) e/o la definizione di modelli di collaborazione differenziati per tipologia di azienda (piccole e medie imprese, grandi aziende spesso a carattere multinazionale) raffrontandosi specie nelle PMI con strutture che si occupano di salute e sicurezza a livello di associazioni di categoria piuttosto che con il singolo datore di lavoro anche attraverso un consorzio di medici competenti del lavoro con specifiche competenze nel comparto di interesse. Nel caso delle imprese di grandi dimensioni invece il medico competente del lavoro dovrebbe fare parte a pieno titolo del sistema di gestione aziendale ambiente, salute e sicurezza avendo come suo primo riferimento diretto il datore di lavoro o il suo dirigente delegato.