Carrelli elevatori: responsabilità, comportamenti e nessi causali

fonte: Punto Sicuro


Una sentenza della Corte di Cassazione si sofferma su un infortunio nell’uso di un muletto in retromarcia. La mancanza di idonea segnaletica, la mancanza di valutazione e i comportamenti abnormi dei lavoratori.

Sono molti gli articoli che PuntoSicuro ha pubblicato negli anni per raccontare i tanti incidenti che avvengono nel nostro Paese durante l’utilizzo dei carrelli elevatori, spesso durante i percorsi in retromarcia, e per la mancanza di idonea segnaletica e viabilità aziendale.

La Sentenza n. 40706 del 07 settembre 2017, affronta un ricorso relativo ad una condanna per un infortunio ad un lavoratore investito da un muletto in retromarcia. E permette anche di fare sempre più luce sulle condizioni per poter considerare abnormi i comportamenti dei lavoratori ed eventualmente interrompere i nessi causali su cui si basano le condanne di chi riveste posizioni di garanzia.

Nella sentenza n. 40706 si indica che P.G., datore di lavoro, ricorre per cassazione avverso una sentenza che in riforma della sentenza assolutoria di primo grado ha dichiarato la responsabilità penale del ricorrente, in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen.

perché, in qualità di datore di lavoro, omettendo di individuare, nel documento di valutazione dei rischi, misure di prevenzione e protezione da attuare per la gestione della viabilità all’interno dei capannoni ed omettendo di apporre la dovuta segnaletica, cagionava lesioni personali gravi al dipendente G.G., il quale, mentre era intento al proprio lavoro, veniva investito, all’interno del capannone, da un carrello elevatore, che stava effettuando una manovra di retromarcia.

Si indica in particolare che il ricorrente “deduce violazione di legge e vizio di motivazione” e si sottolinea che il G.G. “nel giorno del sinistro avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa al di fuori del capannone”. Nella ricostruzione del ricorrente G.G.

si recò all’interno di quest’ultimo esclusivamente per invitare il collega A.M. a bere un caffè. Poiché quest’ultimo rifiutò, il G.G. scese dal muletto su cui, in violazione di ogni disposizione, era salito, senza alcuna prudenza, e venne investito dal muletto stesso. Ha infatti dichiarato A.M. che il G.G. si chinò, nelle vicinanze del mezzo, per raccogliere dei bollini da alcune confezioni di dolci, rendendosi di fatto invisibile al A.M., che, nel compiere la manovra di retromarcia, urtò con lo pneumatico posteriore destro il piede della persona offesa. Si è trattato dunque di un comportamento abnorme da parte del G.G., che, all’orario in cui si verificò l’infortunio, non avrebbe neanche dovuto essere presente sul luogo di lavoro, poiché il suo turno non era ancora iniziato, e che tenne una condotta assolutamente al di fuori della normale prevedibilità.

E sempre secondo il ricorrente appare dunque

insussistente il nesso di causalità, poiché le lesioni subite dal lavoratore non sono conseguenza di un’azione od omissione dell’imputato, in quanto, se il G.G. non avesse distolto l’attenzione del collega dall’attività lavorativa, addirittura salendo e poi scendendo inopinatamente dal muletto, non si sarebbe verificato l’infortunio.

Inoltre, sempre per il ricorrente,

la Corte d’appello, trattandosi di ribaltamento dell’esito assolutorio del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto risentire i testi e confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza.

A queste posizioni la Corte di Cassazione risponde innanzitutto che “la prima doglianza è infondata”.

Infatti l’interruzione del nesso causale è

configurabile esclusivamente laddove la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Ne deriva che, laddove si verifichi un infortunio sul lavoro, l’interruzione del nesso causale è ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile la colpa dell’Infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202).

Viceversa, in questo caso, il giudice a quo (il giudice di cui s’impugna la sentenza)

ha posto in rilievo che l’ingresso del G.G. nell’area dove stava lavorando il mulettista non può considerarsi atto abnorme, essendo assai probabile che qualsiasi lavoratore, anche esperto, ove non venga adeguatamente reso edotto dei rischi specifici di un’area, vi si rechi, esponendosi ai pericoli derivanti da errate manovre. A ciò è da aggiungersi, in questa sede, che, sotto il profilo giuridico, non può ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento, il comportamento imprudente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391).

E nel caso in esame, il P.G., secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata,

omise di procedere ad una corretta valutazione dei rischi specifici, nel settore viabilità, nonché di apporre in loco idonea segnaletica. È, pertanto, esente da censure la conclusione del giudice a quo, secondo cui, se è indubbia la sussistenza di profili di colpa a carico del lavoratore, nell’avvicinarsi al carrello elevatore, ciò rileva solo ai fini del risarcimento del danno ma non vale ad elidere il nesso causale rispetto alla condotta del datore di lavoro.

Si sottolinea poi che tale asserto è

perfettamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497).

E dunque il garante ove abbia

negligentemente e imprudentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa in ordine all’assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161).

Inoltre la Corte territoriale ha negato qualunque rilievo alla

questione relativa all’orario di inizio dell’attività lavorativa, da parte dell’infortunato. Non può infatti ascriversi al G.G. la responsabilità dell’accaduto sulla base del rilievo che, al momento in cui si verificò il sinistro, egli non avrebbe dovuto essere presente sul luogo di lavoro. La violazione delle regole inerenti ai turni di lavoro è infatti del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni relative all’infortunio verificatosi. Ai fini dell’ascrivibilità di una responsabilità a titolo di colpa, occorre infatti verificare se la regola violata fosse diretta ad evitare eventi della tipologia di quello verificatosi.

Rimandiamo poi alla lettura della sentenza che si sofferma ampiamente sull’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso relativo a due questioni:

la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello e il ribaltamento della pronuncia assolutoria di primo grado senza un’adeguata confutazione degli argomenti addotti dal primo giudice.

In definitiva, con tale sentenza, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

 

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