Cassazione Civile, Ord. Sez. 6, 13 maggio 2016, n. 9929

Infortunio e inabilità. Danno biologico.


Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA
Data pubblicazione: 13/05/2016

Fatto

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
< Avverso tale sentenza ricorre per cassazione U.C. affidandosi ad un motivo cui resiste l’I.N.A.I.L. con controricorso.
Con l’unico motivo il ricorrente denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.). Lamenta che la sentenza della Corte territoriale “risulta illogica e/o insufficiente in quanto si limita a fare proprie le risultanze di una c.t.u. assolutamente lacunosa ed incoerente senza fornire alcuna motivazione in ordine al giudizio di attendibilità che la stessa corte ha dato alla suddetta consulenza tecnica, nonché ai morivi che abbiano indotto a rinnovare la c.t.u. di primo grado”.
Il motivo è inammissibile.
Sotto la vana tutela di un’intitolazione conforme al testo attuale del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., come modificato dal D.L. n. 83/12, convertito in legge 6 n. 134/12, il motivo mira a provocare, in realtà, non solo il controllo sulla motivazione della sentenza (come si evince chiaramente dal riferimento alla pretesa insufficienza e lacunosità di quest’ultima), non più consentito da detta norma, ma un rinnovato esame del materiale probatorio e della sua idoneità a fondare la pretesa; esame, questo, inammissibile anche in passato.
Come è noto, la riformulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, (applicabile, ai sensi del rit. art. 54, co. 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate a decorrere dal 12.9.12 e, quindi, anche alla sentenza della cui impugnazione si discute) rende denunciabile per cassazione il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Secondo le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 7.4.14, emesse dalle S.U. di questa S.C., la suddetta modifica legislativa deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. La medesima, dunque, non consente di denunciare un vizio di motivazione se non quando esso si converta, in realtà, in una vera e propria violazione di legge, vale a dire dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ.; ciò avviene soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di sua manifesta ed irriducibile contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in se’, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie.
L’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondano (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria), tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ. anche l’omessa o carente valutazione di determinati clementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti. A sua volta deve trattarsi di un fatto processualmente esistente, per esso intendendosi non un fatto storicamente accertato, ma un fatto che in sede di merito sia stato allegato dalle parti: tale allegazione può emergere già soltanto dal testo della sentenza impugnata (e allora si parlerà di rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza del dato extra-testuale).
Nel caso in esame, i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicché non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla parte odierna ricorrente.
Si aggiunga che il morivo risulta inammissibile anche sotto il profilo della carenza di autosufficienza non essendo stati riprodotti, quantomeno nelle parti di interesse a reggere le censure, i passaggi delle consulenze di primo e di secondo grado (oggetto di valutazione adesiva ovvero critica), i rilievi asseritamente mossi all’elaborato del consulente officiato dalla Corte di appello in rapporto alle differenti considerazioni medico-legali che si assumono espresse da quello nominato dal Tribunale.
In conclusione, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5>>.
2 – Non sono state depositate memorie ex art 380 bis cod. proc. civ..
3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
4 – Conseguentemente il ricorso va dichiarato inammissibile.
5 – La regolamentazione delle spese del presente di legittimità segue la soccombenza.
6 – Sussistono anche le condizioni di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in curo 100,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co, 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016

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