Postumi da infortunio in itinere. Normativa applicabile.
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO
Data pubblicazione: 15/03/2016
FattoDiritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 14 gennaio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Il Tribunale di Messina, accogliendo in parte la domanda proposta da T.G. nei confronti dell’INAIL, riconosceva al ricorrente il diritto ad una rendita da invalidità nella misura dell’11% per i postumi derivati dall’infortunio “in itinere” verificatosi l’11 maggio 1998 e condannava l’istituto alla costituzione di detta rendita a decorrere dal 1° giugno 1998 , oltre accessori.
A seguito di gravame interposto dall’INAIL la Corte di appello di Messina, con sentenza del 9 novembre 2012, riformava in parte la decisione del primo giudice rideterminando nella misura del 10% il danno biologico derivato dal detto infortunio e condannando l’appellante al pagamento solo del relativo indennizzo in capitale, con interessi legali e rivalutazione monetaria.
La Corte territoriale, per quello che ancora rileva in questa sede, all’esito dell’espletamento di una nuova consulenza tecnica d’ufficio, riteneva che i postumi permanenti derivati dall’infortunio integravano una invalidità del 10% ed applicava alla fattispecie ild.Lgs. n. 38 del 23.2.2000 riconoscendo, come detto, l’indennizzo in capitale per danno biologico nella misura del 10% .
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INAIL affidato a due motivi.
Il T.G. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale fondato su due motivi.
Con i due motivi del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 13 , n. 2, del d. Lgs. n. 38 del 23 .2.2000 e del Decreto ministeriale di approvazione della tabelle delle menomazioni pubblicato il 25.7.2000 (primo motivo) nonché dell’art. 74 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 ( secondo motivo) in quanto la Corte territoriale aveva erroneamente applicato il d.Lgs. n. 38 del 2000 cit. alla fattispecie in esame che, invece, ricadeva nella disciplina del D.P.R. n. 1124 del 1965 cit. essendosi l’infortunio verificato nel maggio 1998 e, dunque, ben prima del 25 luglio 2000, data di entrata in vigore del menzionato d.Lgs. n. 38/2000.
Con il primo motivo di ricorso incidentale viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.Lgs. n. 38/2000 e delle tabelle pubblicate con D.M. allegato al detto decreto ( ex art. 360, n. 3, cpc.).
Si assume che la Corte di merito, applicando la nuova disciplina introdotta dal d.Lgs. n. 38.2000, aveva finito con l’utilizzare anche le tabelle allegate al decreto in luogo di quelle diverse previste dalla precedente normativa del D.P.R. n. 1124/1965.
Con il secondo motivo viene lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché illogicità di motivazione ( in relazione all’art. 360, n.5, c.p.c.) non avendo il giudice del gravame rilevato che il consulente tecnico d’ufficio nominato in grado di appello aveva valutato l’incidenza invalidante del disturbo post traumatico cronico derivato dall’infortunio nella misura del 4% sull’errato rilievo che . .il soggetto in esame non è mai stato ricoverato in ospedale per la patologia psichica lamentata, non ha consultato specialisti neuropsichiatri dal 2000 ad oggi, non è stato mai sottoposto a sedute di terapie”. Ed infatti, risultava dagli atti che il T.G. era stato in cura da neuropsichiatri e che in data 27.10.2010 era stato visitato dalla dott.ssa M.M. che aveva redatto la consulenza di parte depositata presso la Corte di appello.
Entrambi i motivi del ricorso principale sono fondati in quanto la Corte territoriale erroneamente ha applicato il d.Lgs. n. 38/2000 alla fattispecie in esame che , invece, è disciplinata dal D.P.R. n. 1124/1965 (cfr. Cass. n. 9956 del 05/05/2011; Cass. n. 17089 del 21/07/2010 secondo cui: “ In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il nuovo regime introdotto dall’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 al fine del riconoscimento dell’indennizzo in capitale del danno biologico per menomazioni superiori al 6 per cento sino al 16 per cento subito dal lavoratore si applica unicamente per i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente all’entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000 recante le tabelle valutative del danno biologico. Ne consegue che, in caso di malattia (od infortunio) denunciata dall’interessato prima del 9 agosto 2000, la stessa deve essere valutata in termini d’incidenza sull’attitudine al lavoro del richiedente, ai sensi dell’art. 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965, e può dar luogo ad una rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10 per cento”).
Infondato è anche il primo motivo del ricorso incidentale in quanto la valutazione dei postumi invalidanti da parte di consulente tecnico d’ufficio nominato dalla Corte di appello era stata effettuata avuto riguardo alle Tabelle allegate al detto D.P.R. n. 1124/1965.
Quanto al secondo motivo ne va rilevata la inammissibilità sotto vari profili.
E’ inammissibile per carenza del requisito dell’autosufficienza nella parte in cui si afferma che dagli atti emergeva che il T.G. era stato “..in cura con neuropsichiatri” non essendo stato trascritto il contenuto di eventuali certificati medici né indicata la loro esatta ubicazione all’interno dei fascicoli inerenti la pregressa fase di merito così omettendosi di provvedere alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (per tutte, cfr. Cass. n. 8569 del 09/04/2013; Cass. n. 4220 del 16/03/2012).
E, altresì, inammissibile alla luce del nuovo testo dell’art. 360, secondo comma, n. 5, c.p.c. alla luce della interpretazione fornitane dalle Sezioni Unite di questa Corte ( Cass. n, 8053 del 07/04/2014 ).
E’ stato chiarito che, a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1° n. 5 cit., il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicate nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.
Ed infatti perché violazione sussista si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”, fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.
Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla questio farti (in ordine alle questio juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Quanto invece allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in cui è scomparso il termine motivazione, deve trattarsi di un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà indicare — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti resistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie,
E’ evidente, quindi, che il motivo all’esame non presenti alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte. Ed infatti non lamenta l’omesso esame di un fatto storico ma si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.
Peraltro, la asserita omessa valutazione delle risultanze della visita psichiatrica cui era stato sottoposto dalla dott.ssa M.M. consulente di parte nel giudizio di appello non riveste neppure il carattere della decisività essendo, comunque, l’attività svolta dalla M.M. funzionale alla dimostrazione dell’assunto del ricorrente.
Le altre argomentazioni contenute nel motivo, peraltro, finiscono con il prospettare un dissenso diagnostico che, anche dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in relazione al vizio di motivazione insufficiente di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. nella formulazione anteriore alla riforma del 2012 (di cui all’art. 54, co.l° lett.b) del D.L, 22 giugno 2012 n. 83 , conv. in legge 7 agosto 2012 n, 134), era stato ritenuto non attinente a vizi del processo logico formale ed integrante una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 1472 del 22 gennaio 2013, Cass. n. 1652 del 03/02/2012; id. n. 569 del 12/01/2011; Cass. n. 22707 del 08/11/2010; Cass. n. 9988 del 29/04/2009).
Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto di quello incidentale con cassazione della sentenza impugnata con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5.. Valuterà il Collegio se rinviare la causa ad altro giudice o deciderla nel merito ex art. 384, co.2°, c.p.c. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto — rigettando la originaria domanda del T.G..”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il T.G. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui si evidenzia che i motivi del ricorso incidentale dovevano essere ritenuti fondati o assorbiti dall’accoglimento del ricorso principale e che era necessario, a seguito della cassazione della impugnata sentenza, rinviare ad altro giudice non ricorrendo i presupposti per la decisione nel merito della controversia ai sensi dell’art. 384, co.2°, c.p.c.. Vengono, quindi, ribadite le argomentazioni di cui al ricorso incidentale.
Il Collegio condivide pienamente il contenuto della relazione e, quindi, previa riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza ( ex art. 335 c.p.c.) accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti per il versamento, solo da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,; del d.P.R. 30 maggio 2002, n, 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro anche per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater; del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e, invece, della sussistenza da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, 14 gennaio 2016.