Cassazione Civile, Sez. 3, 21 giugno 2016, n. 12728

Infortunio con una attrezzatura fornita dal subappaltante.


Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA
Data pubblicazione: 21/06/2016

Fatto

1. Con sentenza n. 768/2009 il Tribunale di Pordenone, a seguito di domanda di risarcimento di danni derivati da un infortunio sul lavoro del 24 aprile 1998 proposta da B.A. nei confronti di S. S.p.A. (l’attore aveva subappaltato dalla convenuta un’attività di manutenzione di ascensori, nella cui esecuzione con un attrezzo – un estrattore – da essa fornitogli si era leso la mano destra), riteneva sussistente la responsabilità di S. S.p.A. nella causazione del sinistro condannandola pertanto a risarcire l’attore per i danni non patrimoniali subiti nella misura di € 39.454,96, oltre accessori.
Avendo S. S.p.A. proposto appello principale contro tale sentenza e il B.A. proposto appello incidentale, la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 4 luglio-10 agosto 2012, in parziale riforma, respingeva l’appello principale e accoglieva parzialmente l’appello incidentale, condannando S. S.p.A. a risarcire a controparte anche il danno patrimoniale per lucro cessante, liquidato in € 15.000 oltre accessori.
2. Ha presentato ricorso S. S.p.A., sulla base di cinque motivi.
Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo rappresentato dall’asserita mancanza di prova di idonee istruzioni al B.A. sull’uso della attrezzatura di cui la ricorrente l’aveva munito. Il giudice d’appello al riguardo avrebbe omesso di considerare tutte le risultanze probatorie e, in particolare, quel che avrebbe rilevato il c.t.u. sulla semplicità dell’attrezzo e sul suo uso normale da parte degli esperti manutentori, e l’articolo 5 del capitolato d’appalto per cui il B.A. sarebbe stato a conoscenza dei rischi.
Il secondo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2697 c.c. e 116 c.p.c. nonché, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, cioè sulla asserita mancata indicazione delle corrette modalità d’uso della attrezzatura e sulla dinamica del sinistro. Osserva la ricorrente che l’onere di provare il nesso causale nell’ambito dell’Infortunio sarebbe stato comunque del B.A., trattandosi di azione ex articolo 2043 c.c.; e che la dinamica del sinistro non avrebbe potuto essere quella indicata dal c.t.u. nella consulenza disposta dal giudice di merito, come dimostrerebbero i rilievi ad essa mossi dal c.t.p. della ricorrente: pertanto, non vi sarebbe prova del nesso causale. Il motivo opera, poi, una ricostruzione fattuale del sinistro, per concludere nel senso che questo avvenne per un uso improprio del dispositivo estrattore.
Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2049 c.c. e 116 c.p.c., nonché, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omessa o insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo, cioè sulle valutazioni delle modalità operative del dipendente della S., D.N., nell’evento. Non sarebbe configurabile responsabilità ex articolo 2049 c.c. (la relativa azione era stata infatti respinta dal giudice di prime cure) perché sarebbe stato semmai il B.A. ad avvalersi sotto le proprie direttive del D.N., essendo infatti il B.A. del tutto autonomo dalla S., nei cui confronti era appaltatore.
Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione degli articoli 2056 e 1227 c.c. nonché, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo rappresentato dalla condotta imprudente del B.A., essendo egli, come subappaltatore, soggetto autonomo nelle sue valutazioni professionali.
Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2056, 1223, 1226, 2697 c.c. e 116 c.p.c., nonché, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, cioè la sussistenza di una perdita reddituale che il B.A. avrebbe riportato per l’infortunio, avendo il giudice d’appello esperito una valutazione contraria agli esiti probatori.
Si è difeso con controricorso il B.A., chiedendone il rigetto.
La ricorrente ha poi depositato memoria ex articolo 378 c.p.c.

Diritto

3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 I primi quattro motivi possono essere vagliati congiuntamente, in quanto tutti attengono al riconoscimento della responsabilità extracontrattuale di S. S.p.A. per l’infortunio che il giudice d’appello ha confermato, pur con qualche variazione rispetto alla ricostruzione fattuale del primo giudice. Infatti, il primo motivo concerne la pretesa mancanza di prova della fornitura di idonee istruzioni sull’uso della attrezzatura al B.A., in relazione proprio alla responsabilità aquiliana della società, e inequivoco al riguardo è il richiamo agli articoli 2043 e 2697 c.c. cui viene connesso il preteso vizio motivazionale; il secondo motivo ancora correla il preteso vizio motivazionale agli articoli 2043 e 2697 c.c. in rapporto alle modalità d’uso dell’estrattore e alla dinamica del sinistro, adducendo un preteso inadempimento da parte del B.A. del suo onere della prova del nesso causale ex articolo 2043 c.c.; il terzo motivo ravvisa il preteso vizio motivazionale all’articolo 2049 c.c. nella valutazione delle modalità operative del dipendente della S., D.N., proprio per negare ogni responsabilità della ricorrente ex articolo 2049 c.c.; e il quarto motivo, infine, si innesta ancora una volta in una cornice extracontrattuale, prospettando che, anche qualora sussistesse una responsabilità della S., sarebbe da riconoscere pure una condotta imprudente dell’infortunato da cui attribuirgli un concorso di colpa.
Ora, a prescindere dalla natura in realtà direttamente fattuale di questi quattro motivi (miranti non a denunciare realmente violazioni di legge, bensì a suscitare una valutazione alternativa dell’esito probatorio da parte del giudice di legittimità, e quindi già per questo inammissibili), deve rilevarsi che il giudice d’appello, dopo avere ribadito la responsabilità ex articolo 2043 c.c. della S., ha affiancato a questa un’altra autonoma ratio decidendi, ritenendo sussistente l’inadempimento contrattuale della S. – il Tribunale aveva omesso di valutare la relativa domanda attorea fondata proprio sul rapporto negoziale -, ed accogliendo pertanto anche questa domanda del B.A., con l’unica riqualificazione del contratto da lui posto come causa petendi da appalto a contratto di prestazione d’opera.
Su questo i quattro motivi in esame – vale a dire tutti i motivi del ricorso relativi all’esistenza del diritto risarcitorio in capo al B.A. per l’infortunio di cui è causa – tacciono, rimanendo così privi di interesse, dal momento che la ricorrente non impugna tutte le rationes decidendi su cui il giudice d’appello ha fondato l’accertamento del suddetto diritto risarcitorio del B.A., bensì soltanto una delle due, cioè la responsabilità aquiliana. In parte qua, dunque, il ricorso è inammissibile. Insegna infatti consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte che, in caso di pluralità di rationes decidendi tra di loro autonome, ciascuna delle quali sia sufficiente a sorreggere la decisione in questione sul piano logico-giuridico, se l’impugnazione tutte non le investe, è inammissibile per difetto di interesse (S.U. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. sez. 6-1, ord. 3 novembre 2011 n. 22753; Cass. sez. L, 11 febbraio 2011 n. 3386; Cass. sez.3, 20 novembre 2009 n. 24540; e cfr. da ultimo Cass. sez. 5, 17 aprile 2015 n. 7838). L’adozione di una ratio decidendi, infatti, non è equiparabile ad una mera argomentazione ad abundantiam, costituendo un vero e proprio esercizio da parte del giudice della potestas judicandi che manifesta una separata ragione del decidere (cfr. Cass. sez. 2, 5 febbraio 2013 n. 2736; l’adozione di pluralità di ragioni autonome, quindi, logicamente non inserisce alcuna contraddittorietà della motivazione: v. p.es. Cass. sez. 3, 7 novembre 2005 n. 21490).
3.2 L’ultimo motivo del ricorso attiene invece all’entità del risarcimento, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2056, 1223, 1226, 2697 c.c. e 116 c.p.c. nonché insufficiente motivazione su fatto decisivo e controverso consistente nella sussistenza della perdita reddituale subita dal B.A. a causa dell’infortunio.
La ricorrente, dato atto che la richiesta di domanda di risarcimento di tale danno patrimoniale era stata respinta dal primo giudice ritenendo “poco chiari” e addirittura contraddittori i dati emergenti dalla documentazione reddituale prodotta, trascrive nel motivo uno stralcio della motivazione della sentenza di secondo grado, per affermare che la sua conclusione “appare anch’essa errata e contraria agli esiti probatori”, alla cui analisi dedica la successiva illustrazione del motivo, desumendone infine che il B.A. “non ha fornito la prova dell’asserito danno patrimoniale”, non essendo sufficiente al riguardo quanto da lui prodotto.
Si tratta, allora, chiaramente di una censura che, lungi dall’individuare effettivi errores in iudicando rispetto alle norme invocate nella rubrica e dall’individuare specifiche incompletezze nella motivazione della sentenza impugnata (il vizio motivazionale – per cui è applicabile ratione temporis il dettato dell’articolo 360, primo comma, n. 5 nel testo anteriore all’articolo 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modifiche nella l. 7 agosto 2012 n. 134 – viene denunciato, si ricordi, come insufficienza), dopo averne globalmente trascritto la parte in cui il giudice d’appello esterna il suo accertamento relativo al lucro cessante della cui perdita ritiene che il B.A. debba essere risarcito e contrappone un risultato alternativo, argomentando su un piano diretto – e non quindi attraverso vizio motivazionale – in ordine a quelli che ritiene dovrebbero essere gli esiti del compendio probatorio. E dunque, per accogliere il motivo, la ricorrente viene a chiedere al giudice di legittimità di sostituirsi nell’accertamento fattuale operato dal giudice di secondo grado, con inequivoco travalicamento dei limiti della cognizione di legittimità, costituendo la valutazione degli elementi probatori un’attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile da quello di legittimità se non sotto il profilo della congruità motivazionale (cfr. Cass. sez.6-5, ord. 26 gennaio 2015 n. 1414; Cass. sez.2, 17 novembre 2005 n. 23286; e rimarca da ultimo che il ricorso per cassazione non può fondarsi esclusivamente su una versione alternativa del materiale probatorio Cass. sez. 6-5, ord. 8 gennaio 2015 n. 101); ed è quindi altrettanto l’inequivoco perseguimento da parte della ricorrente, dopo le difformi conclusioni del primo e del secondo giudice sull’esistenza di un lucro cessante da risarcire al B.A. quale conseguenza dell’infortunio, di un terzo grado di merito. Tutto ciò conduce all’Inammissibilità anche del quinto motivo.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Sussistono ex articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di € 5200, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 24 febbraio 2016

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