Malattia professionale silicotica.
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA
Data pubblicazione: 18/05/2016
FattoDiritto
La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda proposta da U.F., titolare di una rendita del 76%, tesa ad ottenere il riconoscimento dell’aggravamento della componente della malattia professionale silicotica dal 25% al 35%.
Il giudice di secondo grado ha ritenuto che le censure formulate alla consulenza disposta in primo grado (che aveva escluso che la sindrome delle apnee ostruttive del sonno da cui il U.F. era affetto sin dal 2006 fosse conseguente alla pneumoconiosi professionale) non fossero idonee a incrinare la ricostruzione operata dal consulente che solo per rafforzare le valutazione espresse in proprio aveva richiamato il responso della commissione medica degli invalidi civili.
Per la cassazione della sentenza ricorre U.F. che la censura per avere, in violazione e falsa applicazione dell’art 83 del d.p.r. n. 1124 del 30.6.1965 e con vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c.,omesso di prendere in esame alcune delle doglianze formulate nell’atto di appello con il quale si denunciava che non rientra tra i compiti della commissione medica invalidi civili discernere le cause lavorative dalle altre, dovendo solo individuare la patologia e stabilire i postumi invalidanti. Inoltre il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, le censure formulate nel gravame non investivano solo la scelta del consulente di richiamare il parere espresso dalla Commissione medica ma riguardavano anche, criticamente, la determinazione di escludere la causalità lavorativa alle apnee riscontrate. Allo scopo riproduce il contenuto delle censure formulate nell’appello ed il contenuto delle osservazioni medico legali alla consulenza di ufficio pure allegata al ricorso per cassazione.
L’Inail si è costituito per resistere al ricorso di cui ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza.
Tanto premesso il ricorso è inammissibile atteso che con le censure formulate si pretende da questa Corte una diversa valutazione delle emergenze istruttorie non consentita nel giudizio di legittimità.
L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convcrtito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio, consente la denuncia in Cassazione dell’anomalia motivazionale che sì tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicché tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente in comprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. s.u. nn. 8053/2014; 8054/2014).
L’omesso esame di elementi istruttori (nella specie la relazione redatta dal medico di parte allegata al ricorso in appello) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie la verifica della derivazione causale delle apnee dall’’ aggravamento della malattia professionale silicofica) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., SU, nn. 8053/2014; 8054/2014, 9032/2014 ed anche Cass. 16.4.2015 n. 1434).
In ogni caso va sottolineato che la Corte di appello, nel confermare la validità del giudizio espresso dal consulente sin dal primo grado, ha dato conto, seppur sinteticamente, delle ragioni per le quali le dispnee notturne non fossero collegabili all’aggravamento della pneumoconiosi professionale. Nel far proprie le argomentazioni del ctu, sottolinea infatti che la sindrome delle apnee ostruttive del sonno, di origine multifattoriale, non rappresenta una complicanza della silicosi.
Quanto alla denunciata violazione dell’art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 30.6.1965 dalla lettura del motivo di ricorso non si comprende in cosa è ravvisata tale violazione atteso che l’intera censura si muove sul piano della contestazione della motivazione della sentenza e non specifica in che maniera la norma citata sarebbe stata erroneamente applicata.
In conclusione il ricorso, manifestamente infondato, deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 2500,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie. Accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamenti da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.p.r..
Così deciso in Roma il 17 marzo 2016