Operatrice di call center e rendita per inabilità conseguente all’ipoacusia neurosensoriale bilaterale. Questioni procedurali.
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA
Data pubblicazione: 22/12/2015
FattoDiritto
La Corte di appello di Palermo ha accolto il ricorso proposto dall’Inail ed in riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento ha respinto la domanda di L.B. alla rendita per inabilità conseguente all’ipoacusia neurosensoriale bilaterale di natura professionale.
La Corte territoriale, respinta l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio reiterata dall’Inail in appello, ha poi ritenuto che per quanto la consulenza disposta in appello avesse riconosciuto l’esistenza di un rischio ambientale per la lavoratrice, operatore di call center, in considerazione delle condizioni di lavoro nel periodo 1991 — 2001, della durata della prestazione e dell’assenza di dispositivi di limitazione, tuttavia, poi, in esito alla consulenza medico legale anch’essa rinnovata in appello, ha accertato che la percentuale di danno riportata era solo del 4% e dunque non utile per il riconoscimento della prestazione chiesta.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la L.B. che denuncia la nullità della sentenza per aver omesso il giudice di specificare le ragioni logico giuridiche che lo hanno indotto a fondare la propria decisione esclusivamente sulle conclusioni del consulente medico di appello senza alcun richiamo alle controdeduzioni depositate dall’appellata e senza valutare le lacune dell’integrazione disposta in sede di chiarimenti chiesti in violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. c.p.c..
Si osserva al riguardo che la censura, pur prospettata come error in procedendo sub specie nullità della sentenza ex art. 132 comma 2 n. 4, denuncia nella realtà una carenza di motivazione e tende ad un riesame delle circostanze di fatto insindacabile in sede di legittimità.
Va ricordato in proposito che la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 si verifica, infatti, esclusivamente nelle ipotesi di radicale mancanza della motivazione, formale (nel caso in cui la motivazione manca anche dal punto di vista materiale) e sostanziale – altrimenti detta motivazione apparente -, nel caso in cui non manca materialmente un testo della motivazione, ma tale testo non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione.” (5960/2015)
Viceversa la ricorrente si duole di una mancata esplicitazione delle ragioni che hanno indotto la Corte ad aderire alle conclusioni del consulente medico nominato in appello e a non ritenere utili le consulenze depositate in atti e di segno opposto.
Così riassunta la censura proposta si osserva che la stessa si sostanzia in una denuncia di violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. e che alla controversia trova applicazione il testo riformato dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Va poi rammentato che alla luce del nuovo testo il ricorso per cassazione è ammesso soltanto in relazione all’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, laddove il testo precedente consentiva il ricorso “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo”.
Il vizio della sentenza è solo l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione (cfr. in termini Cass. n. 7983 del 2014).
Non sussiste tale vizio nel caso in cui vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa ad una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Va ancora rammentato che il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice” (Cass. n. 12244 del 2015, n. 3531 del 2013 , n, 9988 del 2009, n. 8654 del 2008 e n. 16223 del 2003).
Nel caso in esame tale prospettazione manca del tutto in quanto nel motivo si muovono mere censure di fatto, non viene lamentata l’omissione di indagini mediche essenziali, né devianze di sorta dalle nozioni correnti della scienza medica.
Quanto alle singole argomentazioni del c.t.p., valga il noto principio per cui il giudice del merito non è tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (contenute nella relazione del c.t.p. o del difensore), dovendo ritenersi implicitamente disattesi i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. n. 9234 del 2006 e numerose altre conformi).
In conclusione, per tutto quanto sopra considerato, il ricorso, manifestamente infondato, deve essere rigettato con ordinanza ex art. 375 cod. proc. civ., n. 5.
Quanto alle spese queste vanno regolate secondo il criterio della soccombenza non sussistendo i presupposti di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. per dichiararle non ripetibili.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 2500,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.p.r..
Così deciso in Roma il 20 ottobre 2015