Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. 6, 30 dicembre 2015, n. 26165

Domanda di adeguamento della rendita in dipendenza dell’aggravamento della patologia polmonare.


Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA
Data pubblicazione: 30/12/2015

FattoDiritto

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 18.11.2015, ai sensi dell’art 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 3.12.2013, la Corte di appello di Cagliari, in accoglimento del gravame proposto dall’INAIL avverso la decisione di primo grado, rigettava la domanda proposta da L.S. mandando assolto l’istituto dalla pretesa di quest’ultimo tesa ad ottenerne la condanna all’adeguamento della rendita in dipendenza dell’aggravamento della patologia polmonare. Rilevava la Corte che il consulente incaricato aveva confermato che l’aggravamento del danno polmonare accertato nel giudizio di primo grado con decorrenza dal giugno 2008 era in realtà dipeso da un errore materiale nell’esame spirografico, che la ipertensione era da considerarsi patologia associata in quanto la stessa e la silicosi si influenzavano reciprocamente e che il grado complessivo dell’inabilità permanente era del 65% .
Quanto alla valutazione del danno dissentiva dalle conclusioni dell’ausiliare, osservando che il CTU aveva effettuato la propria valutazione tenendo conto non del mero riscontro del dato ventilatorio attuale, ma di una considerazione globale della “media” tra i valori riscontrati ‘ nelle varie epoche, che una simile valutazione non era ammissibile nel sistema assicurativo INAIL in cui la quantificazione della inabilità parziale permanente non teneva conto delle condizioni fisiche “normali” di partenza di ciascun assicurato, dovendo il danno essere valutato nella stessa misura sia per i soggetti normodotati che per quelli “supernormali”, sia per quelli sottodotati. Riteneva che pertanto l’inabilità permanente del L.S. andasse quantificata con esclusivo riferimento alla sua situazione attuale, valutata secondo i criteri in uso, prescindendo dalla sua supernormalità ventilatoria di partenza, per quanto certa e documentata e che, in base a tale principio, la percentuale di i.p.p., secondo gli elementi evidenziati dallo stesso Ctu, era addirittura inferiore a quella del 27% già riconosciutagli dall’INAIL. Per la cassazione di tale decisione ricorre il L.S., affidando l’impugnazione a due motivi. L’INAIL è rimasto intimato.
Con il primo motivo, il L.S. denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 78-131 e 137 del dpr 1124/65 ex art. 360 n. 3 cpc, contestando l’erronea interpretazione dei parametri di valutazione dei gradi percentuali di invalidità permanente, in tema di silicosi, secondo le norme del T.U., e richiamando, in particolare, il disposto dell’art. 78 del T.U dettato per gli infortuni sul lavoro ma applicabile anche per le malattie professionali in virtù del richiamo dell’art 131, secondo il quale il grado di riduzione dell’attitudine al lavoro deve essere determinato di volta in volta tenendo conto, tra l’altro, di quanto, in conseguenza dell’infortunio e per effetto della coesistenza delle singole lesioni, è diminuita l’attitudine al lavoro. Osserva che nelle tabelle allegate di cui al T. U. che fissano il grado di invalidità permanente non è contemplato nessun grado percentuale per il caso di silicosi e che occorre riferirsi alla scienza medico legale per elaborare i criteri per la quantificazione del danno, avendo riguardo ai valori normali specifici di ciascun soggetto, senza riguardo alla riduzione della capacità media su cui si basano gli indici teorici di riferimento, ma alla riduzione dell’attitudine lavorativa dell’assicurato.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare censurando la decisione per la mancata valutazione della cardiopatia associata alla silicosi in relazione all’evidenziato carattere di astratta interdipendenza funzionale tra le patologie in esame, e l’erronea applicazione dell’art175 t. u. applicabile.
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che l’incidenza della patologia respiratoria sull’attitudine lavorativa – che nella specie prescinde dal riferimento al concetto di capacità lavorativa specifica – è stata valutata in sentenza in maniera conforme ai principi generalmente validi in tema di aggravamento di malattia professionale.
In base alla disciplina di cui al d.P.R. n.1124 del 1965, applicabile per il periodo antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (che, all’art. 13, ha inserito il danno biologico nella copertura assicurativa pubblica), l’indennizzo a carico dell’ INAIL previsto in caso di infortunio sul lavoro si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all’interpretazione della Corte costituzionale contenuta nelle sentenze n. 319 del 1989 e 356 e 485 del 1991, non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un “danno biologico previdenziale patrimoniale”. Deve pertanto escludersi che parte del danno biologico risulti coperto dalla rendita corrisposta dall’ INAIL per la riduzione della capacità di lavoro generica, giacché le indennità erogata dall’ INAIL sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico – fisica ha sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli ambiti diversi da quelli riconducibili all’attitudine al lavoro, benché in tali ambiti resti compresa la stessa capacità di lavoro, ma in relazione a considerazioni ed effetti assolutamente differenti (cfr. Cass. 30.7.2003 n. 11704).
Tale affermazione si fonda sul principio della rilevanza ai fini della malattia professionale dei riflessi della patologia diagnosticata sulla riduzione della capacità lavorativa generica, senza che assumano significato aspetti e profili ulteriori di valutazione che esulino dalla incidenza strettamente funzionale della infermità sull’attitudine lavorativa.
Ai detti fini non rileva, pertanto, come correttamente osservato dalla Corte del merito, che il dedotto aggravamento possa essere stato ravvisato in rapporto alle condizioni pregresse dell’assicurato, caratterizzate da una peculiare capacità del soggetto, superiore ai valori medi di riferimento ricavabili dalle misure percentuali indicati nelle tabelle allegate al T. U validi per ciascun caso.
La seconda censura è anch’essa destituita di fondamento, posto che, in materia di rendita per inabilità permanente da silicosi, ai sensi dell’art 5 della legge 27 dicembre 1975 n. 780, ove si verifichi un aggravamento delle condizioni di salute dell’assicurato, ai fini della revisione della rendita stessa è necessario previamente accertare se detto aggravamento sia derivato o meno dalla tecnopatia, e soltanto in ipotesi affermativa possono assumere rilevanza, agli effetti della misura della inabilità complessiva da valutare nei limiti e alle condizioni di cui all’art 145 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, le associazioni della silicosi con le forme morbose dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio.
In ogni caso, ai fini della revisione della rendita è sufficiente il peggioramento delle condizioni di salute dell’assicurato, anche se non comportante un aggravamento della silicosi, purché dipendente, per un nesso di derivazione causale, dalla malattia silicotica (cfr. Cass. 17.4.2003 n. 6201 e, con riguardo alla medesima questione Cass. 16.11.20000 n. 14834).
Non risulta che i rilievi mossi alla decisione si fondano sull’assunto di una derivazione causale dell’aggravamento dalla malattia silicotica, sicché deve escludersi la decisività della valutazione di cui si afferma l’omissione ai fini della determinazione del grado percentuale complessivo di riduzione dell’attitudine lavorativa dell’assicurato.
Per le svolte considerazioni, si propone il rigetto del ricorso”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di  consiglio. Il L.S. ha depositato memoria ai sensi dell’art 380 bis, comma 2, c.p.c.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto del ricorso, rilevando che le osservazioni contenute nella memoria non sono idonee a scalfire le considerazioni già svolte dal relatore in ordine alla congruità e rispondenza ai principi generali in materia di assicurazione INAIL dei criteri di valutazione utilizzati dal giudice del gravame per la verifica del dedotto aggravamento del danno polmonare connesso a malattia professionale.
Le spese del presente giudizio sono irripetibili dall’istituto, in presenza dei presupposti per l’esenzione prevista in favore del soccombente dall’art 152 disp att c.p.c.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dare atto dell’applicabilità dell’art 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed artrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara irripetibili le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma il 18.11.2015

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