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Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 giugno 2016, n. 11410

Retribuzione per il tempo impiegato dall’entrata in spogliatoio per indossare la tuta e gli indumenti di protezione. Rinuncia al ricorso.


Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO
Data pubblicazione: 01/06/2016

Fatto

Con sentenza n. 2844 del 2001, il Tribunale di Milano accoglieva la domanda di cui al ricorso proposto da I. S.p.A. nei confronti di T.L. ed altri dipendenti, avente ad oggetto l’accertamento della infondatezza della pretesa dei convenuti al pagamento di un’ora di lavoro, a titolo retributivo o risarcitorio, per il tempo di percorrenza impiegato all’inizio e alla fine dei rispettivi turni di lavoro per recarsi dall’ingresso dello stabilimento allo spogliatoio e per il percorso inverso; per recarsi dallo spogliatoio fino all’orologio marcatempo, sito in prossimità del reparto, e per compiere il percorso inverso in uscita, nonché per il tempo necessario ad indossare tuta da lavoro e indumenti di sicurezza, e per l’operazione inversa. Correlativamente respingeva la domanda riconvenzionale dei lavoratori volta ad ottenere il pagamento di quanto sopra.
La sentenza è stata impugnata dai lavoratori.
La società ha resistito.
Con sentenza depositata il 25 marzo 2011, la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza n. 2844\07 del Tribunale di Milano, dichiarava il diritto degli appellanti ad essere retribuiti per il tempo impiegato dalla entrata in spogliatoio per indossare la tuta e gli indumenti di protezione e sino al raggiungimento del reparto di lavoro, e per il tempo impiegato per le stesse operazioni al termine del lavoro, con la maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro straordinario per tutti i giorni di effettiva presenza al lavoro,retribuiti per orario di lavoro di otto ore giornaliere, nella misura di venti minuti complessivi; dichiarava il diritto alla incidenza della retribuzione di cui al capo che precede sulla tredicesima e sulla retribuzione per ferie; condannava l’I. spa al pagamento in favore degli appellanti delle somme dovute in base ai capi che precedono a far tempo dall’8.4.1995, oltre rivalutazione e interessi dalle scadenze al saldo; condannava l’I. alla rifusione della metà delle spese dei due gradi.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso per cassazione la società I., affidato a sette motivi.
Resistono i lavoratori con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato ad unico motivo.

Diritto

Debbono pregiudizialmente riunirsi i ricorsi proposti avverso la medesima sentenza, nonché rilevarsi che la società I. s.p.a., ora in A.S., ha dedotto di aver rinunciato al ricorso, rinuncia che i controricorrenti hanno dichiarato essergli stata notificata, senza tuttavia accettarla.
Occorre allora osservare che la rinuncia al ricorso comporta l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione della controparte, non avendo tale rinuncia carattere accettizio (ma pur sempre carattere recettizio, esigendo l’art. 390 c.p.c. che essa sia notificata alle parti costituite o comunicata ai loro avvocati che vi appongono il visto, v. Cass. sez.un. 18.2.2010 n. 3876, Cass. 31.1.2013 n. 2259), non richiedendo cioè l’accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali, ex art. 390 c.p.c. (Cass. 15 ottobre 2009 n. 21894). Ciò discende anche dal quarto comma dell’art. 391 c.p.c., secondo cui in caso di rinuncia, non è pronunciata condanna alle spese “se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente, o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale”.
L’accettazione della controparte rileva dunque unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo il secondo comma dell’art. 391 c.p.c. che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.
Nella specie, risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato; valutato il consolidato orientamento di legittimità in senso sfavorevole alla società, ed il principio della soccombenza virtuale, le spese di causa debbono porsi a carico della società ricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e dichiara estinto il giudizio. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 18 febbraio 2016.

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