Infortunio di un muratore edile. Danno non patrimoniale.
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: BOGHETICH ELENA
Data pubblicazione: 01/03/2016
Fatto
Con sentenza depositata il 16 giugno 2011 la Corte di appello di Catanzaro accoglieva l’impugnazione promossa da F.LF. e, in riforma della sentenza del Tribunale di Rossano (che aveva ritenuto nullo il ricorso proposto dal lavoratore), condannava il datore di lavoro P.LF. al pagamento di euro 2.913,30 a titolo di danno differenziale per l’infortunio subito il 16 gennaio 1998 durante l’espletamento delle mansioni di muratore edile.
Avverso la detta sentenza il lavoratore F.LF. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Diritto
1. – Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e 13 del D.Lgs n. 38 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, parte ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di appello effettuato la decurtazione della rendita erogata dall’INAIL dagli importi ricavati (tramite applicazione delle tabelle di liquidazione elaborate dal Tribunale di Milano con riguardo al danno non patrimoniale) sulle percentuali di invalidità, permanente e temporanea, stimate dal consulente tecnico d’ufficio. L’erroneità della decisione deriverebbe dall’aver comparato tra loro termini disomogenei, in quanto la rendita erogata dall’INAIL considerava esclusivamente il danno alla capacità lavorativa generica (trattandosi di infortunio risalente al 1998) mentre il pregiudizio quantificato in sede giudiziale tiene conto unicamente del danno non patrimoniale.
2. – Con la seconda censura, deducendo omessa, insufficiente e contradditoria motivazione, parte ricorrente lamenta la personalizzazione in peius delle tabelle milanesi effettuata dalla Corte territoriale, che ha quantificato (con riguardo all’età e al grado di invalidità dell’infortunato) una somma inferiore del 30% rispetto agli Importi indicati nelle suddette tabelle.
3. – I due motivi, che si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega, sono fondati nei termini di cui alla seguente motivazione.
3.1. – Il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 ha previsto – per eventi verificatisi o denunciati dopo il 9 agosto 2000, data dell’entrata in vigore del D.M. approvativo delle tabelle, ai sensi del cit. D.Lgs. n. 38, art. 13, comma 2 – l’estensione della copertura assicurativa obbligatoria dell’INAIL anche al danno biologico. L’INAIL, invero, accerta e liquida sia il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica sia il danno biologico patito dal lavoratore alla propria integrità psico-fisica, applicando tabelle medico-legali diverse da quelle usate in ambito di responsabilità civile ed è, pertanto, fisiologico che menomazioni identiche comportino l’attribuzione di percentuali di invalidità permanente diverse, a seconda che siano valutate con le tabelle INAIL piuttosto che con i criteri della responsabilità civile. Peraltro, per gli infortuni verificatisi in data precedente, l’INAIL liquidava esclusivamente il danno patrimoniale arrecato alla capacità lavorativa generica, in forma di rendita rapportata alla retribuzione e al grado di inabilità. Nessuna considerazione veniva effettuata con riguardo al pregiudizio alla salute, nemmeno nella sua accezione successivamente introdotta nell’ordinamento dall’art. 13 del D.Lgs. n. 38 (seppur “in via sperimentale” e ai soli “fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”) quale integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico-legale.
La censura mossa da parte ricorrente appare fondata nella misura in cui denuncia che la stima del danno biologico compiuta dal consulente tecnico d’ufficio concerne elementi diversi da quelli valutati dall’INAIL. L’ente previdenziale, infatti, trattandosi di infortunio avvenuto prima del luglio 2000, ha concentrato la propria indagine – e relativa rendita – esclusivamente sul pregiudizio riportato alla capacità lavorativa generica, senza considerare il danno biologico (che attiene, invece, alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio). Ha, conseguentemente, liquidato il danno patrimoniale alla capacità lavorativa, senza alcuna considerazione del danno non patrimoniale. La stima del danno alla persona formulata dal consulente tecnico d’ufficio e la conseguente quantificazione del danno effettuata dalla Corte territoriale non doveva, pertanto, essere suscettibile di decurtazione delle somme erogate dall’INAIL a titolo di rendita, trattandosi di voci di danno completamente differenti.
3.2. – La Corte di merito ha, inoltre, effettuato un’applicazione meccanicistica dei valori delle tabelle predisposte, in ordine ai danni alla persona, dal Tribunale di Milano (tabelle ritenute da questa Corte valido parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico, anche in considerazione della revisione delle tabelle medesime alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite n.26972/2008; cfr. Cass. n. 13982/2015, Cass. n. 12408/2011), senza spiegare adeguatamente la ragione per cui – pur dichiarando di aver tenuto conto dell’età del lavoratore infortunato e dei postumi conseguiti – è arrivata a liquidare la somma di euro 64.695,00 a titolo di danno biologico per invalidità permanente, nonostante la suddetta tabella riporti, in corrispondenza dei parametri innanzi indicati, una somma superiore. In particolare, la sentenza – pur adottando la tabella che questa Corte ha ritenuto idonea a garantire l’uniformità di trattamento di fronte di casi analoghi – risulta insufficientemente motivata in ordine al grado di personalizzazione del danno, in quanto non consente di comprendere se e in quale modo si sia tenuto conto delle circostanze specifiche che hanno caratterizzato il danno subito (se tempestivamente allegate dal danneggiato) e se e in quale modo si sia proceduto a garantire debitamente l’integralità del ristoro spettante al danneggiato.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che il giudice, pur non essendo tenuto a supportare la sua decisione con una motivazione minuziosa e particolareggiata, è tuttavia tenuto, in sede di valutazione equitativa ai sensi degli arti. 1226 e 2059 cod. civ., ad individuare dei validi criteri di giudizio parametrati alla specificità del caso da esaminare in funzione di una personalizzazione del danno, personalizzazione non conseguibile, invece, attraverso il ricorso ai criteri predeterminati e standardizzati contenuti nelle tabelle (cfr. Cass. n. 26590/2014). Il giudice, invero, è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto, per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subito da ciascun danneggiato (cfr. Cass. n. 9231/2013).
Questa Corte ha affermato, inoltre, che nella liquidazione equitativa del danno, per evitare che la relativa decisione – ancorché fondata su valutazioni discrezionali – sia arbitraria e sottratta a qualsiasi controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e sia pure ” con l’elasticità propria dell’istituto e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che lo caratterizza, i criteri che egli ha seguito per determinare l’entità dei danno. (Cass. n. 15733/2015).
La categoria generale del danno non patrimoniale presenta, invero, natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore subiti dalla vittima dell’illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali – ove essi ricorrano cumulativamente – occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione, da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto (o voce) venga computato due (o più) volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni (cfr. Cass. n. 1361/2014).
4. – In conclusione, deve accogliersi, nei sensi di cui alla presente motivazione, il ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia in ordine al risarcimento del danno differenziale conseguente all’Infortunio subito da F.LF. il 16 gennaio 1998, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2015.