Cassazione Civile, Sez. Lav., 02 marzo 2016, n. 4089

Infortunio sul lavoro. Azione di regresso dell’INAIL nel confronti del datore di lavoro.


Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: D’ANTONIO ENRICA
Data pubblicazione: 02/03/2016

Fatto

La Corte d’appello di Perugia,in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato F.G., già titolare della cessata ditta Mobil Artel, a rimborsare all’Inail il 60% della somma liquidata nella sentenza di primo grado a titolo di rivalsa ai sensi dell’art 10 DPR n 1124/1965 per l’infortunio subito dal lavoratore A.R. dovendo ritenersi sussistere, secondo la Corte, il concorso di colpa del lavoratore.
La Corte ha ritenuto, in primo luogo, infondata, l’eccezione di decadenza dell’azione di regresso. Ha precisato infatti che non vi era stato alcun accertamento del giudice penale circa la responsabilità del datore di lavoro nella determinazione del danno ma solo un provvedimento di archiviazione per la violazione delle norme antinfortunistiche e che,in difetto di accertamento penale, il termine di decadenza decorreva dal momento della maturazione di una causa estintiva del reato stesso tra cui la prescrizione potendo fino a quel momento l’azione penale essere esercitata e che nella specie l’azione di regresso dell’Inail era tempestiva.
Ha affermato, inoltre, la responsabilità del datore di lavoro per aver omesso di adottare misure idonee ad impedire un contatto anche accidentale dell’operatore con la lama della sega circolare.
La Corte ha, peraltro, ritenuto sussistere anche il concorso di colpa del lavoratore per aver posto in essere un comportamento gravemente imprudente – determinato nella misura del 40% – per essersi con leggerezza accinto a pulire un condotto di scarico con la macchina in funzione.
Avverso la sentenza ricorre l’Inail con tre motivi . Il F.G. è rimasto intimato.

Diritto

Con il primo motivo l’Istituto denuncia omessa pronuncia, violazione dell’art 10 e 11 dpr n 1124/1965 ( art 360 n 4 cpc) .
Rileva che nel giudizio d’appello aveva chiesto la condanna a pagare € 49.227,00 atteso che nelle more il costo sborsato era passato da € 35.306,71 riconosciuto dal Tribunale, ad € 49.227,02 per effetto della rivalutazione di legge e dell’avvenuta liquidazione in capitale della rendita.
La Corte non si era pronunciata su tale domanda condannando il F.G. a pagare il 60% di quanto liquidato dal Tribunale.
Il motivo è fondato. Deve, in primo luogo, rilevarsi che costituisce principio costantemente affermato da questa Corte che “In tema di azione di regresso dell’INAIL nel confronti del datore di lavoro responsabile dell’infortunio sul lavoro subito dal dipendente assicurato, le variazioni di ammontare del credito dell’INAIL conseguenti alle variazioni quantitative della rendita (e, in generale, delle prestazioni erogate dall’Istituto) non costituiscono domande nuove ma mere precisazioni del “petitum” originario; detto credito, come credito di valore, deve essere liquidato con riferimento alla data di liquidazione definitiva, per cui il maggior ammontare in termini monetari rispetto a quanto dedotto in primo grado, per effetto di svalutazione monetaria o di rivalutazione della rendita imposta da provvedimento sopravvenuto nelle more del giudizio, può essere richiesto senza la necessità di proposizione di appello incidentale, e, se ne ricorrono le condizioni, può essere liquidato anche di ufficio”.( cfr Cass. n 3704/2012, 12562/2014, 3056/2015).
Escluso, pertanto, che costituisca domanda nuova il maggior Importo indicato dall’Inail, la sentenza deve essere cassata con riferimento a detto motivo non avendo la Corte, nella liquidazione del credito dell’Istituto, tenuto conto che l’Inail aveva determinato il suo credito in € 49.277,02 per effetto della rivalutazione di legge e dell’avvenuta liquidazione in capitale della rendita ex art 75 DPR 1124/1965.
Con il secondo motivo l’Inail denuncia violazione dell’alt 112 cpc e vizio di motivazione ( art 360 n 4 e 5 cpc) .
Osserva che in appello il F.G. non aveva formulato alcuna richiesta di accertamento del concorso colposo del lavoratore, ma la Corte d’appello, in violazione del principio del chiesto e pronunciato aveva affermato la sussistenza del concorso colposo del lavoratore . Rileva, inoltre, l’assenza di un’adeguata motivazione circa il suddetto concorso colposo del lavoratore.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza con riferimento alla violazione dell’art 112 cpc. L’Istituto, infatti, non riporta il testo del ricorso in appello del F.G.,né provvede a depositarlo al fine di consentire a questa Corte di valutare la fondatezza della doglianza ai fini della verifica della sussistenza della violazione dell’art 112 cpc .
Pur essendo questa Corte, a seguito della denuncia di un vizio di violazione dell’art 112 cpc in relazione all’art 360 n 4 cpc, investita del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, resta pur sempre necessario che ia censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.).( cfr Cass SSUU n 8077/2012) .Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c,, comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato.
Quanto al diverso profilo del difetto di motivazione deve rilevarsi che la Corte territoriale ha esplicitamente indicato e descritto il comportamento imprudente del lavoratore e, dunque, non è ravvisabile il vizio denunciato avendo la Corte valutato il comportamento del lavoratore con giudizio immune da vizi che investendo una questione di merito sfuggono al sindacato della Cassazione. Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’alt. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti dì causa.
Con il terzo motivo l’Inail denuncia violazione dell’art 10 e 11 del DPR n 1124/1965 . Censura la riduzione del 40% della somma richiesta dall’Inail . Osserva che anche ove correttamente dedotta l’esistenza di un concorso del lavoratore, il giudice non avrebbe potuto ridurre l’importo chiesto dall’Inail, ma in casi di accertato concorso del lavoratore, deve determinare l’ammontare del danno civilistico risarcibile e quindi verificare se sulla somma così determinata vi sia capienza per la rivalsa dell’Inail e solo in caso di esito negativo ridurre la somma spettante all’Inail .
Il motivo è fondato. Questa Corte ( cfr Cass 2350/2010, 4879/2015) ha affermato il principio che ” in ipotesi di accertato concorso di colpa della vittima di un infortunio sul lavoro il giudice non può, per questo solo fatto, ridurre proporzionalmente l’ammontare delle somme richieste dall’INAIL in via di rivalsa nei confronti del responsabile dell’infortunio stesso, ma deve previamente determinare, come in qualsiasi altra ipotesi di rivalsa, l’ammontare del danno risarcibile in relazione alla misura dell’accertato concorso di colpa e, quindi, verificare se sulla somma così determinata vi sia capienza per la rivalsa dell’INAIL, procedendo, solo in caso di esito negativo di tale accertamento, a ridurre la somma spettante all’Istituto per le prestazioni erogate all’assicurato (o ai suoi eredi) in modo che la stessa non superi quanto dovuto dal danneggiante”.
Anche con riferimento a detto motivo la sentenza deve essere cassata dovendo il giudice di rinvio, designato nella Corte d’appello, provvedere alla rideterminazione delle somme spettanti all’Istituto assicuratore alla luce del principio di diritto su espresso.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.

PQM

Accoglie il primo ed il terzo motivo, rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio

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