Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 febbraio 2015, n. 2022

Malattia professionale: quando fare domanda?

Presidente Macioce – Relatore Patti

Fatto

Con la sentenza n. 214 del 2007 la Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da M.M. al fine di ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia – adenocarcinoma del grosso intestino – che asseriva di avere contratto nell’esercizio ed a causa dell’attività lavorativa di tecnico di radiologia svolta presso l’Ospedale Maggiore di Bologna dal 1976 al 1992.
La Corte argomentava che il diritto si era estinto per prescrizione ex art. 112 del T.U. n. 1124 del 1965, essendo decorsi più di tre anni e 150 giorni tra l’intervento chirurgico del 5.2.1993 cui egli si era sottoposto per l’asportazione del tumore, con i successivi cicli di chemioterapia, e la presentazione della domanda di malattia professionale all’ Inail del 9 giugno 1998, considerato che a quella data egli, per la sua qualificazione professionale, era certamente in grado di conoscere la natura professionale della malattia e lo stato di inabilità indennizzabile.
Per la cassazione della sentenza M.M. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l’ Inail con controricorso.

Diritto

1. M.M. lamenta violazione di legge (artt. 111 e 112 del DPR n. 1124 del 1965 e art. 2697 c.c.) nonché vizio di motivazione. Argomenta che non sussisterebbe prova agli atti che alla data del 5.2.1993 egli conoscesse la natura professionale della malattia e la sussistenza di un’invalidità indennizzabile e che, al contrario, lo stesso c.t.u. nominato dalla Corte aveva ritenuto che non fosse certo il nesso causale tra la malattia e l’attività lavorativa e per tale motivo la domanda era stata rigettata in sede amministrativa; inoltre, l’Ospedale Maggiore di Bologna aveva inoltrato la denuncia di malattia professionale solo in data 2.4.1998. L’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per il decorso della prescrizione spettava inoltre all’Inail, che non vi aveva provveduto.
2. Il ricorso non è fondato.
Sotto il profilo della denunciata violazione di legge, la Corte di merito si è infatti attenuta ai principi affermati costantemente da questa Corte, secondo cui a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 1988 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 135, comma 2, nella parte in cui poneva una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui veniva presentata all’istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico), nel regime normativo attuale la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale “dies a quo” per la decorrenza del termine prescrizionale di cui all’art. 112 dello stesso D.P.R., può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatto noto, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (Cass. n. 27323 del 2005, Cass. n. 14717 del 2006, Cass. n. 2285del 2013).
Non è ravvisabile, quindi, nella sentenza della Corte d’Appello, alcun contrasto con le disposizioni normative invocate dal ricorrente.
3. Sotto il profilo del vizio di motivazione, occorre qui ribadire che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. (pur nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134/2012), non equivale a revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione del giudice del merito per una determinata soluzione della questione esaminata, posto che essa equivarrebbe ad un giudizio di fatto, risolvendosi in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità: con la conseguente estraneità all’ambito del vizio di motivazione della possibilità per questa Corte di procedere a nuovo giudizio di merito attraverso un’autonoma e propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass.n. 5024 del 2012; Cass. n. 6694 del 2009). Sicché, per la configurazione di un vizio di motivazione su un asserito fatto decisivo della controversia è necessario che il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare l’efficacia probatoria delle risultanze fondanti il convincimento del giudice, onde la ratio decidendi appaia priva di base, ovvero che si tratti di elemento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata (Cass. n. 18368 del 2013, Cass. n. 16655 del 2011; Cass. (ord.) n. 2805 del 2011).
3.1. A tale premessa consegue che la Corte di merito non ha realizzato il lamentato vizio di motivazione: ha infatti valorizzato, così come il Tribunale e le consulenze tecniche espletate sia in primo che in secondo grado, la professione svolta dall’assicurato, che lo poneva in grado di conoscere il rischio concretamente esistente correlato all’attività svolta, dimostrato dall’ampia esposizione bibliografica prodotta in giudizio dalla stessa parte (pg. 6 della sentenza), e quindi di essere consapevole della verosimile eziologia professionale della malattia, la cui gravità risultava acclarata dall’intervento chirurgico che si è reso necessario.
3.2. Le ulteriori circostanze richiamate nel ricorso, ovvero il fatto che la denuncia di malattia professionale da parte dell’Ospedale sia avvenuta solo nel 1998 ed il fatto che la domanda sia stata respinta in sede amministrativa dall’ Inail sulla base dell’assenza del nesso di causalità, non sono significative nel senso di privare di logica o invalidare il ragionamento della Corte di merito. Il ritardo del datore di lavoro nell’inoltrare la denuncia di malattia professionale attiene infatti al comportamento di un terzo, non necessariamente collegato né omogeneo rispetto alla consapevolezza dell’assicurato. Ai fini della decorrenza della prescrizione è poi necessario e sufficiente che l’assicurato possa individuare il nesso di causalità tra attività lavorativa e malattia con il grado di ragionevole probabilità tale da consentirgli di presentare la domanda di rendita, ed è a tale aspetto che la Corte ha avuto pertanto correttamente riguardo, non essendo necessario che tale valutazione sia poi condivisa dall’Inail in sede amministrativa o sia confermata in giudizio.
4. Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato.
5. La natura del diritto azionato impone l’esonero della parte soccombente dal pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art.152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003) nella specie inapplicabili perché il deposito del ricorso di primo grado è anteriore al 3 ottobre 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Fonte: Olympus Uniurb

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