Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte dei dipendenti. Di conseguenza, ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale per infortunio occorso al lavoratore sui luogo di lavoro, mentre incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo”.
Presidente: STILE PAOLO Relatore:
ESPOSITO LUCIA
Data pubblicazione: 04/02/2016
Fatto
1. Con sentenza del 25/1-26/3/2012 la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda avanzata da S.G. nei confronti di F. S.p.A. diretta ad ottenere il risarcimento dei danni occorsi al predetto, lavoratore alle dipendenze della società, in relazione a un infortunio lavorativo avvenuto il 10/3/1992. La Corte respingeva, al contempo, la domanda di garanzia avanzata dalla convenuta nei confronti della Ras s.p.a.
2. La Corte territoriale fondava la decisione sul rilievo che dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado erano emerse le seguenti modalità del sinistro: lo S.G. stava procedendo alla sostituzione di una girante per l’aspirazione di fumi sull’impianto denominato TK e, in particolare, alla sistemazione della guarnizione sulla flangia di base, quando il soffietto dilatatore del peso di tre tonnellate (posto al di sopra) si distaccava e precipitava di colpo sulla sua mano sinistra, amputandogli il V dito e provocandogli la lesione tendinea del IV dito. Secondo la prospettazione il distacco del soffietto era causato dall’inopinata rimozione di due “alza e tira” che ne costituivano il normale e idoneo sistema di ancoraggio, circostanza da ascriversi alle precarie condizioni del reparto in cui lo S.G. operava. La responsabilità della società era quindi da ascriversi alla mancata osservanza di quelle regole di sicurezza e prudenza idonee a tutelare l’integrità fisica di chi attendesse all’operazione, individuate specificamente nell’omesso ancoraggio del soffietto attraverso i due meccanismi di sollevamento funzionali all’apertura della cappa. Il Tribunale aveva ritenuto provati i fatti enunciati, avendo i testi esaminati confermato e chiarito la dinamica dell’infortunio.
3. Osservava la Corte che dalle dichiarazioni rese dai testi era emersa una ricostruzione diversa da quella posta a base della domanda e una conseguente diversa causalità nella produzione delle lesioni, poiché nessuno dei testi aveva riferito di meccanismi “alza e tira”, che di norma assicuravano l’ancoraggio del soffietto e che il giorno dell’infortunio sarebbero stati rimossi. Era risultato, al contrario, che gli stessi testi erano addetti al sollevamento del soffietto mediante due argani e avrebbero dovuto iniziare a rilasciarlo solo quando lo S.G. avesse completato la sistemazione della guarnizione. Quando tale lavoro era stato compiuto da una parte sola, i due avevano cominciato a mollare l’argano dalla parte corrispondente e, vista la resistenza dello stesso, lo avevano lasciato andare, mentre lo S.G. era intento a montare la guarnizione.
Affermava che l’istruttoria, pertanto, aveva accreditato una versione del fatto diversa e tale da mutare l’addebito originariamente mosso dal ricorrente alla condotta aziendale, consistente non più nell’inopinata rimozione del soffietto ma nell’aver consentito che i colleghi di lavoro dell’infortunato operassero nel modo descritto (imprudente e pericoloso), anzi imponendolo attraverso direttive dei responsabili, finalizzate ad accelerare i tempi di lavorazione, sino a farlo divenire tipica modalità lavorativa.
3. Rilevava, inoltre, la Corte che la particolare posizione dei testi esaminati, autori della condotta e interessati a giustificarla, rendeva poco credibile la deposizione circa il fatto, riferito dagli stessi, che il loro operato fosse determinato dai tempi imposti dall’azienda e che non era comprensibile quale costante vigilanza l’azienda avrebbe dovuto esercitare sull’attività svolta dai lavoratori affinché la stessa si svolgesse in sicurezza, posto che le operazioni erano da compiersi manualmente dai predetti lavoratori, che la conclusero intempestivamente.
4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione lo S.G., articolando tre motivi di censura. Resiste con controricorso F. s.p.a., proponendo ricorso incidentale, a sua volta resistito con controricorso dallo S.G..
Diritto
l. Va disposta preliminarmente la riunione delle impugnazioni ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
2.Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Motivazione illogica, contraddittoria, meramente apparente su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c. 1 n.ri 3, 4, 5 c.p.c. Osserva che la Corte territoriale perviene alla decisione di rigettare la domanda rilevando erroneamente una diversità sostanziale tra il fatto denunciato nel ricorso introduttivo e quello accertato all’esito dell’istruttoria. Evidenzia che in realtà il rilievo è inconcludente, poiché la modifica del fatto riguarda solo l’aspetto della causalità nella produzione delle lesioni, ma non è tale da importare una modifica della domanda, non risultando in alcun modo mutato né il petitum né la causa petendi (Cass. 14734/2002, 1382/2000).
3. Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, alla quale il collegio aderisce, “il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante”, fermo restando il divieto per il giudice stesso di attribuire alla parte un bene non richiesto, o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa ma che si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio come oggetto del contraddittorio (Sez. L, Sentenza n. 14734 del 17/10/2002, Rv. 557944).
3.1. Nel caso in disamina l’esito della decisione, pur fondato su una diversa ricostruzione fattuale degli accadimenti, in base ad elementi emersi nel corso dell’Istruttoria regolarmente svolta nel contraddittorio delle parti, non determina alcun mutamento degli elementi essenziali della domanda (diretta a ottenere il risarcimento dei danni per lesione cagionata nello svolgimento di attività lavorativa). E’ ben possibile, pertanto, che sia posta a fondamento del decisum altra ricostruzione dei fatti di causa, restando immutata la causa petendi originariamente formulata in ragione dell’affermata riconducibilità delle lesioni cagionate all’istante a condotta colposa del datore di lavoro per mancata osservanza di quelle regole di sicurezza e prudenza idonee a tutelare l’integrità fisica sul luogo di lavoro.
4. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4 DPR n. 547/1955 e dell’art. 2087 c.c. Omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e 5 c.p.c. Rileva il ricorrente che la Corte territoriale ha erroneamente individuato la causa esclusiva dell’infortunio nel comportamento “imprudente e pericoloso” dei due testi colleghi di lavoro dell’infortunato, senza considerare che proprio tale comportamento era idoneo a rivelare la responsabilità dell’azienda sotto il profilo di omissione della dovuta vigilanza circa il rispetto delle misure di sicurezza e delle regole di prudenza, esigibili anche contro la volontà del lavoratore.
4.1. Anche il descritto motivo merita accoglimento. E’ noto, infatti, che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’Infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento” (Cass. Sez. L. Sentenza n. 5493 del 14/03/2006, Rv. 588034). Il principio enunciato è riferibile anche alla condotta dei lavoratori che con l’infortunato interagiscono. Sui punti evidenziati la Corte territoriale si limita a ravvisare ragioni di esonero del datore di lavoro da responsabilità individuando elementi di colpa nella condotta di altri dipendenti, senza svolgere un’adeguata e argomentata indagine riguardo ai motivi idonei ad attribuire alla stessa condotta rilevanza causale esclusiva e ad escludere ogni addebito alla parte datoriale con riferimento al rispetto delle regole attinenti alla formazione, alla vigilanza e delle misure antinfortunistiche da parte dell’azienda.
5. Con ulteriore doglianza il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’alt. 2087 c.c. e dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1218 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova. Motivazione illogica contraddittoria e insufficiente in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c. 1° n. 3 e 5 c.p.c. Rileva che la Corte territoriale giunge ad addossare al lavoratore l’onere della prova circa la vigilanza che l’azienda avrebbe dovuto effettuare per evitare l’evento, nonché quello relativo all’individuazione dei soggetti delegati al controllo. Rileva, per altro verso, che la motivazione è carente, illogica e contraddittoria laddove formula un giudizio di inattendibilità dei testi limitatamente alle dichiarazioni rese nel senso di addebitare alla fretta imposta dai responsabili aziendali il comportamento imprudente. Osserva che il giudizio di inattendibilità si fonda su mere impressioni o suggestioni, né l’addebito alla fretta imposta è influente ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’azienda, comunque discendente dal comportamento di grave imprudenza posto in essere dai lavoratori.
5.1. Anche l’ultimo motivo è fondato. Nel ragionamento della Corte in punto di valutazione della prova è dato cogliere un equivoco di fondo che investe il tema dell’onere probatorio. Occorre, infatti, in questa sede confermare l’indirizzo consolidato di questa Corte di legittimità secondo il quale “la responsabilità del datore di lavoro di cui all’art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo” (Sez. L, Sentenza n. 3788 del 17/02/2009, Rv. 606743). Come evidenziato in precedenza (sub 4.1.) risulta omessa dalla Corte un’indagine, in conformità alle regole che governano l’onere della prova nella materia in esame e la responsabilità del datore di lavoro per fatto del dipendente, riguardo alle ragioni che, in presenza dell’accertamento della pericolosità dell’ambiente di lavoro, indurrebbero ad attribuire alla condotta dei lavoratori rilevanza causale esclusiva, sì da esonerare la parte datoriale da ogni addebito con riferimento al rispetto delle regole attinenti alla formazione, alla vigilanza e al rispetto delle misure antinfortunistiche da parte dell’azienda. In ragione dell’accoglimento della prima parte della censura resta assorbita ogni questione in ordine all’attendibilità dei testi, la cui valutazione deve essere rimessa al giudice del rinvio.
6. Con il ricorso incidentale F. S.p.A. rileva l’omessa pronuncia da parte della Corte d’appello sull’eccezione, ritualmente proposta, di intervenuta prescrizione estintiva ai sensi dell’art. 2947 c.c., essendo l’infortunio occorso il 10/3/1992 e la domanda giudiziale proposta con ricorso notificato il 26/2/2002.
6.1. Il ricorso è inammissibile alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale “la mancata riproposizione nel ricorso per cassazione delle argomentazioni esposte nell’atto di appello in relazione a motivi dichiarati assorbiti dal giudice di secondo grado non determina la definitività delle statuizioni del giudice di primo grado, in quanto sono inammissibili in sede di legittimità censure che non siano dirette contro la sentenza di appello, ma riguardino questioni sulle quali questa non si è pronunciata ritenendole assorbite, atteso che le stesse, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, possono essere nuovamente riproposte al giudice di rinvio” (Sez. 5, Sentenza n. 8817 del 01/06/2012, Rv. 622949; conforme Sez. 3, Sentenza n. 12728 del 25/05/2010, Rv. 613082). Va pronunciata, pertanto, l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse della parte.
7.1n definitiva, in accoglimento del ricorso principale la sentenza va cassata, con rinvio al giudice del merito che, nel definire la controversia, si atterrà ai seguenti principi di diritto: A) il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, purché restino immutati il petitum e la causa petendi e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio nel contraddittorio; B) il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte dei dipendenti. Di conseguenza, ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale per infortunio occorso al lavoratore sui luogo di lavoro, mentre incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo”.
8. Compete al giudice del rinvio, altresì, la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 4/11/2015