Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 settembre 2015, n. 17699

Rendita unificata per due infortuni sul lavoro.


 

Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAMMONE GIOVANNI
Data pubblicazione: 07/09/2015

Fatto

1.- C.V. con ricorso al giudice del lavoro di Brindisi contestava il provvedimento con cui l’INAIL aveva soppresso la rendita unificata del 15% costituita in suo favore per due infortuni sul lavoro accaduti nel 1980 e nel 1984. Il giudice riteneva che l’Istituto avesse proceduto a revisione per miglioramento e che la revisione stessa fosse intempestiva essendo intervenuta dopo un decennio dal secondo infortunio, in violazione dell’art. 83 del d.P.R. 30.06.65 n. 1124 e, pertanto, ripristinava la rendita unificata nella misura del 19%.
2.- Proposto appello dall’INAIL, la Corte d’appello di Lecce con sentenza del 3.05.05 qualificava la fattispecie come revisione (rectìus rettifica) per errore e, applicando l’art. 9 del d.lgs. 23.02.00 n. 38 nel testo allora vigente, ritenuto che l’Istituto avesse esercitato la facoltà di rettifica dopo dieci anni dalla data di decorrenza della prestazione, rigettava l’impugnazione.
3.- L’INAIL ricorreva per cassazione sostenendo che la revisione era tempestiva e che in ogni caso l’art. 9 del d.lgs. 23.02.00 n. 38 era stato dichiarato illegittimo dalla sentenza 10.05.05 n. 191 della Corte costituzionale, per la parte in cui il termine di decadenza decennale era esteso anche ai rapporti esauriti nel vigore della precedente disciplina. Proponeva ricorso incidentale il C.V. ritenendo immotivata la qualificazione della rettifica per errore e, in ogni caso, invocava l’applicazione dello jus superveniens contenuto nell’art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla 1. 17.08.05 n. 168, che gli avrebbe consentito di conservare la prestazione, essendo egli in possesso dei limiti di reddito ivi previsti.
4.- La Corte di cassazione con la sentenza 15.07.08 n. 19475 accoglieva entrambi i ricorsi e, cassata la sentenza impugnata, rinviava alla Corte d’appello di Bari per un nuovo esame, ritenendo priva di motivazione la qualificazione del provvedimento dell’INAIL quale rettifica, in contrapposizione alla qualificazione di revisione per miglioramento data dal primo giudice. La sentenza rescindente riteneva, inoltre, che, ove con adeguata motivazione fosse stata acclarata la natura di rettifica del provvedimento, avrebbe dovuto farsi applicazione tanto della invocata sentenza della Corte costituzionale, quanto della richiesta di conservare le prestazioni economiche avanzata dall’assicurato.
5.- Riassunta la causa dall’assicurato, la Corte del rinvio, espletata consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 16.07.13 dichiarava il diritto del C.V. di continuare a percepire la prestazione riconosciuta dal giudice di primo grado, nella misura e con la decorrenza dallo stesso indicata, ai sensi dell’art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla 1.17.08.05 n. 168.
6.- Propone nuovamente ricorso per cassazione l’INAIL. Risponde C.V. con controricorso e memoria.

Diritto

7.- Il giudice del rinvio si è ritenuto investito dei seguenti compiti: a) verificare se il provvedimento adottato dall’INAIL il 9.05.07 con cui fu soppressa la rendita fosse da qualificarsi come provvedimento di rettifica per errore o di revisione per miglioramento; b) valutare la tempestività della rettifica ai sensi dell’art. 55, e. 5, prima parte, della 1. 9.03.89 n. 88, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 9, e. 5-6-7, del d.lgs. 23.02.00 n. 38; c) fare applicazione dell’art. 14 vìcies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla 1.17.08.05 n. 168.
Pertanto, a seguito di consulenza tecnica di ufficio, ha accertato che la malattia accertata al momento della concessione della prestazione non esisteva e che, pertanto, il suo riconoscimento fu un errore diagnostico, il che comporta la correttezza della qualificazione del provvedimento quale “rettifica per errore”. Ha ritenuto, dunque, legittimamente modificata dall’INAIL l’entità dei postumi riconosciuti all’assicurato.
La rettifica è, inoltre, intervenuta tempestivamente, in quanto, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del richiamato art. 9, in base a quanto disposto dall’art. 55, e. 5, della richiamata legge n. 88, non sussistevano limiti temporali all’adozione del provvedimento.
Infine, il giudice, conformemente a quanto indicato dalla sentenza di legittimità, ha ritenuto che il ricorso giudiziario avesse anche contenuto sostanziale di domanda amministrativa per il mantenimento della prestazione e, ravvisati i requisiti reddituali previsti dall’art. 14 vicies quater, sopra richiamato, ha stabilito che il C.V. avesse diritto ad una rendita unificata del 19%, come erogata al momento del provvedimento di rettifica e riscontrato dal primo giudice.
8.- Con il ricorso per cassazione l’INAIL deduce violazione dell’art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla 1. 17.08.05 n. 168. Il giudice, nell’interpretare il passo dell’art. 14, che pone quale condizione per continuare a godere della prestazione oggetto di rettifica per errore, la titolarità “oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro, di un reddito proprio assoggettabile all’IRPEF per un importo non superiore ad euro 3.000 …” ha ritenuto che nel concetto di rendita da lavoro rientrassero tutti i redditi da lavoro, di modo che gli stessi sarebbero esclusi dall’ammontare del reddito totale. Invece, per reddito proprio assoggettabile all’IRPEF non può non intendersi anche il reddito da lavoro, rimanendo escluse dal computo solo eventuali redditi di natura pensionistica o da rendita da lavoro, ove con quest’ultima locuzione deve intendersi la rendita da infortunio o malattia professionale e non il corrispettivo di prestazioni lavorative.
9.- La censura mossa dall’Istituto circa l’interpretazione data all’art. 14 vicies quaterne d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla 1. 17.08.05 n. 168 è fondata.
La norma in questione intende salvaguardare coloro che abbiano ottenuto il riesame del provvedimento di rettifica delle prestazioni INAIL ai sensi dell’art. 9, e. 5, 6 e 7 del d.lgs. 23.02.00 n. 38 (dichiarato illegittimo da Corte cost. 10.05.05 n. 191), i quali, grazie alla norma in esame, continuano a percepire la prestazione “a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro, di un reddito proprio assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo non superiore ad euro 3.000, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT”.
Il giudice del rinvio, sulla base della documentazione fornita dall’assicurato — certificazione dell’Agenzia delle entrate, certificazione unica dipendente (CUD) e dichiarazione dei redditi percepiti dalla revoca della rendita per infortunio — ha determinato i redditi derivanti dall’attività lavorativa ed ha affermato che essi “sono derivati da lavoro” e pertanto “non vanno computati ai fini della determinazione del superamento o meno del limite reddituale dall’art. (14 vicies quater) citato”. In sostanza ha interpretato la locuzione “rendita da lavoro” come se stesse a significare “reddito da lavoro”, ed ha ritenuto che gli importi relativi (senza alcun limite) andassero a costituire la base reddituale non rilevante ai finì del mantenimento della prestazione previdenziale.
Tale interpretazione è carente sotto due punti di vista. Sul piano terminologico, in quanto non tiene conto che una disposizione quale quella in esame fa ricorso a concetti propri della legislazione tributaria, nella quale i concetti di “reddito” e “rendita” non assumono certo lo stesso significato. Sul piano logico, in quanto se il concetto di rendita si identificasse con quello di reddito da lavoro, non sì comprenderebbe perche il legislatore abbia individuato i redditi ulteriori, che debbono essere contenuti nel limite di 3.000 euro annui, con la formula di carattere generale “reddito proprio assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche”, quasi il reddito da lavoro fosse estraneo a tale categoria.
Ad avviso del Collegio la disposizione dell’art. 14 vìcies quater in esame deve essere, invece, considerata nel senso che il legislatore intende mettere a confronto il reddito derivante dalle prestazioni previdenziali — “di natura pensionistica o da rendita da lavoro”, in toto irrilevante ai fini del mantenimento della prestazione — con il “reddito proprio (derivante da altre fonti) assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche” rilevante se superiore a 3.000 euro. Nell’ambito delle prestazioni previdenziali, quindi, lo stesso legislatore ha distinto il “reddito di natura pensionistica” da quello derivante da “rendita da lavoro”, come tale intendendo la rendita derivante da infortunio sul lavoro o malattia professionale, accomunandoli tuttavia in ragione delle loro comune origine previdenziale, per distinguerli dagli altri redditi (compresi quelli derivanti dall’attività lavorativa) assoggettabili all’imposta sulle persone fisiche.
10.- In conclusione, l’art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla 1. 17.08.05 n. 168 va interpretato nel senso che i soggetti ivi previsti continuano a percepire la prestazione a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura previdenziale (derivante da pensione o da rendita per infortunio sul lavoro o malattia professionale), di un reddito proprio assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche (da qualsiasi fonte derivante, anche da lavoro autonomo o dipendente) non superiore a 3.000 euro.
11.- La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale, al fine di provvedere sulla domanda di conservazione delle prestazioni economiche oggetto del provvedimento di rettifica, terrà conto dell’interpretazione della norma sopra indicata.
Allo stesso giudice va rimessa la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte così provvede:
a) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
b) ai sensi dell’art. 13, c. 1 quater, del d.P.R. 30.05.02 n. 115, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’Istituto ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del e. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 16 aprile 2015

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