Domanda per ottenere la rendita ai superstiti e presunto nesso causale tra morte e lavoro. Censure generiche e rigetto del ricorso.
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: D’ANTONIO ENRICA
Data pubblicazione: 08/07/2016
Fatto
La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di O.B. volta ad ottenere la rendita ai superstiti sul presupposto della sussistenza del nesso causale tra la morte del proprio marito per carcinomatosi pleurica e l’attività lavorativa da questo svolta dal 1970 al 1994 quale dipendente della A.
La Corte ha rilevato che il CTU aveva escluso il nesso causale e che avverso tale conclusione non era stato mosso alcun rilievo motivato da parte della ricorrente e che pertanto l’esito della CTU era integralmente accolto dalla Corte .
Avverso la sentenza ricorre la O.B. con un motivo. Resiste l’Inail con controricorso ulteriormente illustrato con memoria ex art 378 cpc.
Diritto
La ricorrente denuncia vizio di motivazione lamentando che la Corte aveva recepito integralmente le conclusioni del CTU .
Il ricorso è infondato.
La ricorrente si duole: che nonostante la serrata critica alle affermazioni del CTU la Corte si era limitata a recepirle, ma la ricorrente non riporta tali ” serrate critiche” né indica dove le ha svolte; che la Corte avrebbe dovuto motivare tenendo conto del materiale probatorio e delle richieste delle parti, ma la ricorrente non indica a quali richieste intende riferirsi e dove le ha formulate ; che la Corte nulla aveva detto circa le argomentazioni svolte dalla parte in ordine all’esposizione all’amianto ma la ricorrente non riporta quanto aveva esposto a conforto della sua domanda ; che il CTU aveva travalicato i compiti individuando le mansioni svolte dal lavoratore dovendosi limitare a ciò che emergeva nel giudizio, ma la O.B. non espone quanto emergeva dal contenuto del ricorso o da altri documenti da essa depositati; che la Corte non aveva considerato quanto dichiarato dal legale rappresentante della A., dichiarazioni tuttavia, neppure assunte nel processo. Alla luce delle deficienze del ricorso di parte ricorrente le censure di difetto di motivazione si risolvono in mero dissenso diagnostico.
Costituisce principio consolidato (cfr Cass n 1652/2012, 22707/2010 , 9988/2009) che “nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice”.
Nella specie il giudice del merito si è basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio che ha escluso il nesso causale tra il decesso del dante causa della O.B. e l’esposizione lavorativa ma le censure contenute nel ricorso sono del tutto generiche, non si sostanziano nella denuncia di carenze o deficienze diagnostiche, o di affermazioni illogiche o scientificamente errate, ma solo in semplici doglianze di difformità tra la valutazione del consulente e quella auspicata dalla parte.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente soccombente a pagare le spese processuali .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali , oltre 15% per spese generali ed accessori di legge .
Roma 21/4/2016