Rendita per malattia professionale.
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: GHINOY PAOLA
Data pubblicazione: 08/03/2016
Fatto
La rendita per malattia professionale (ipoacusia percettiva bilaterale) di cui C.C. era titolare dal novembre 1993, rapportata alla percentuale invalidante del 24%, veniva ridotta dall’Inail al 12% a seguito di visita di revisione disposta ex art. 137 T.U. n. 1124 del 1965 in data 17/1/1999.
La domanda proposta dal C.C. per ottenere il ripristino della rendita nella misura in godimento o comunque superiore al 12% veniva rigettata dal Tribunale di Taranto e la Corte d’appello di Lecce, con la sentenza n. 489 depositata il 8 febbraio 2012, confermava il rigetto. Allo scopo, valorizzava il risultato della c.t.u. disposta in primo grado, corredata dai chiarimenti resi dallo stesso consulente nel giudizio d’appello, che aveva accertato una percentuale di invalidità del 7%, all’esito della visita effettuata dallo specialista in otorinolaringoiatria, dell’esame ERA (evoked responses audiometry, o potenziali evocati uditivi) eseguito presso l’Istituto di Bioacustica dell’Università di Bari, nonché dell’audiometria tonale, apprezzata, riferiva la Corte, “nei limiti della sua soggettività”. A tale percentuale erano poi stati aggiunti i 4 punti previsti dagli accordi Inail/parti sociali recepiti nella circolare Inail n. 17/1992, così risultandone confermata la valutazione raggiunta dall’Inail in sede amministrativa.
Per la cassazione della sentenza C.C. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c.; l’Inail si è costituito con procura in calce alla copia notificata del ricorso.
Diritto
1. I motivi di ricorso possono essere così riassunti:
1.1. Con il primo, il ricorrente deduce la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, per essere stato chiamato a chiarimenti sulle circostanze poste a base dei motivi d’appello il consulente nominato in primo grado, specialista in pediatria, senza consentire alla difesa di articolare specifici quesiti e senza nominare uno specialista.
Inoltre, lamenta che il c.t.u. abbia utilizzato per la misurazione della funzione uditiva il metodo era anziché l’audiometria tonale, che però è meno attendibile in quanto non rileva le frequenze tra i 500 e i 1000 Hz. Riporta ampi stralci delle osservazioni del consulente tecnico di parte, depositate in sede di appello a seguito dei chiarimenti forniti dal c.t.u., e riferisce che anche il consulente otorinolaringoiatra cui il c.t.u. si era rivolto aveva determinato la percentuale invalidante del C.C. nella misura del 15%.
1.2. Come secondo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 24 della Costituzione nella quale sarebbe incorsa la Corte di merito, laddove ha ritenuto che la tecnica ERA sia più attendibile dell’esame audiometrico tonale, senza esaminare le critiche mosse alla c.t.u. dal c.t.p. dr. P..
1.3. Come terzo motivo, lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, circolari Inail e accordi collettivi, e richiama in particolare la circolare n. 17 del 1992. Riferisce che durante i 26 anni di attività lavorativa e sino al 1999, anno precedente al pensionamento, la percentuale di invalidità è stata sempre confermata al 24%.
1.4. Come quarto motivo, lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 96 e 112 c.p.c. ) , laddove la sentenza d’appello l’ha condannato al pagamento delle spese di lite in favore dell’Inail, pur essendo l’istituto rimasto contumace. Rileva che nella motivazione la stessa Corte ha dato atto dell’errore su tale capo contenuto nel dispositivo.
2. I primi tre motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.
2.1. Deve in primo luogo rilevarsi che l’elaborazione di questa Corte sui poteri del giudice di merito nella nomina del consulente tecnico d’ufficio ne ha sempre valorizzato la facoltà di scegliere, tra tutte le soluzioni processuali possibili, quella funzionalmente idonea ad ottenere nel modo più consono al caso concreto il necessario parere tecnico dell’ausiliare. E difatti, costituiscono principi consolidati quelli secondo i quali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito quello di rinnovare o meno la consulenza d’ufficio già espletata , a seconda che la ritenga o meno esaustiva ( v. Cass. n. 20227 del 2010, n. 17693 del 2013), e quello per cui le norme art. degli 61 cod. proc. civ. e 13 e 22, comma secondo, disp. att. cod. proc. civ. relative alla scelta del consulente tecnico hanno natura e finalità direttive, sicché la scelta è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice, e non è sindacabile in sede di legittimità (v. Cass. n. 5473 del 12/04/2001, n. 6050 del 12/03/2010, n. 7622 del 30/03/2010, n. 19173 del 28/09/2015). Nessuna norma processuale (peraltro neppure richiamata dal ricorrente) impedisce pertanto che, qualora il giudice ritenga che la consulenza disposta in primo grado necessiti di approfondimenti in relazione ad alcuni degli aspetti rilevanti, li richieda allo stesso consulente che l’ha espletata, seppure ciò avvenga nel successivo grado di giudizio.
Inoltre, la carenza di specializzazione in otorinolaringoiatria, di per sé non ostativa alla nomina, è stata comunque colmata dall’ausiliare con il ricorso ad uno specialista in tale branca della medicina.
2.2. Il meccanismo della revisione della rendita che qui ricorre è poi finalizzato, sia pure entro i limiti temporali stabiliti per ovvia esigenza di stabilità dei rapporti giuridici, a commisurare la prestazione al grado effettivo d’inabilità dell’assicurato. Il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla legge (e gli atti dell’Istituto assicuratore hanno natura meramente ricognitiva e di adempimento di un’obbligazione ex lege) per cui nel giudizio promosso dall’assicurato che assume l’inadempimento dell’obbligazione previdenziale, si deve sempre accertare l’esistenza e la misura del diritto azionato. Pertanto in sede giudiziale, sia che si tratti di prima liquidazione, sia che si tratti di revisione ad opera dell’Inail ovvero dell’assicurato, l’oggetto del giudizio – ove non operino le speciali preclusioni relative alla stabilizzazione dei postumi – verte sull’accertamento dell’effettivo grado di riduzione dell’ attitudine al lavoro (ex plurimis, Cass. 18 agosto 1999 n. 8713, Cass. 28 settembre 2000 n. 12900). Non rileva quindi che nel passato sia stato sempre riconosciuto un certo grado d’invalidità, se risulti che esso non è adeguato alla situazione che nell’attualità sia effettivamente riscontrata.
2.3. Né può essere censurata, per la determinazione del grado di inabilità provocato dall’ ipoacusia, l’adozione di una o di altra metodica, solo perché diversa da quella adottata in sede di prima liquidazione o da quella ritenuta più vantaggiosa dall’assicurato. L’ unico limite alla scelta delle metodiche da usare, previsto dall’alt. 9 del decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38, relativamente al divieto di usare strumenti di indagine non disponibili all’atto del provvedimento originario, attiene alla diversa fattispecie della rettifica per errore dell’Istituto, e non già alla revisione per cui è causa; la scelta dei mezzi e dei metodi di accertamento è invece in generale affidata al giudizio professionale dell’ausiliario, che è censurabile in sede di legittimità solo quando dall’esame della consulenza fatta propria dal giudice emerga l’incongruenza dei mezzi utilizzati per giungere alla diagnosi conclusiva (cfr. ex multis Cass. n. 11297 del 30/07/2002, Cass. n. 9929 del 23/11/1994).
2.4. Deve anche rilevarsi che non possono essere esaminate in questa sede le osservazioni formulate dal consulente di parte ai chiarimenti del c.t.u. : tali osservazioni critiche sono state ritenute inammissibili dalla Corte d’appello per non essere state autorizzate e formulate da un medico che non risultava essere stato nominato quale consulente di parte, e tali argomentazioni non sono state confutate dal ricorrente.
2.5. Sulla base di tali premesse, la soluzione adotta dal giudice di merito resiste alle censure poste dalla parte ricorrente, che sollecitano una nuova valutazione di merito, inammissibile in questa sede: l’accertamento della sussistenza e della misura dello stato invalidante è stato infatti compiuto dal giudice di merito nella ragionata adesione alle conclusioni del c.t.u., che ha motivato nel giudizio d’appello anche in ordine alla scelta della metodica ERA, ritenuta più oggettiva e quindi maggiormente attendibile dell’audiometria tonale, della quale ha apprezzato gli esiti, ritenendoli però influenzati dalla soggettività del periziato. Ha altresì puntualmente argomentato in merito all’aggiunta dei 4 punti percentuali previsti dagli accordi Inail/parti sociali, recepiti nella circolare n. 7/92.
5. Il quarto motivo è invece fondato.
La Corte di merito nel dispositivo della sentenza letto in udienza ha condannato il ricorrente, oltre che al pagamento delle spese dovute per il supplemento di c.t.u., anche al pagamento delle spese processuali del giudizio d’appello in favore dell’Inail, rimasto contumace.
Tale statuizione è errata, considerato che la condanna alle spese processuali, a norma dell’alt. 91 cod. proc. civ., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto; sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (così da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17432 del 19/08/2011).
5.1. La Corte territoriale nella motivazione ha dato atto che tale capo di sentenza è frutto di errore materiale. Costituisce però ius receptum l’affermazione – resa in relazione a fattispecie analoghe a quella in esame, in cui la motivazione non era contestuale ex art. 429 c.p.c., comma 1, periodo 1A, come modificato dal D.L. n. 112 del 2008, art. 53, comma 2 conv. nella L. n. 133 dello stesso anno – che nel rito del lavoro il dictum si esprime nel dispositivo della sentenza letto in udienza, il quale assume rilevanza autonoma in quanto contiene gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione (cfr. ex plurimis: Cass. n. 7826 del 03/04/2014, Cass., ordinanza n. 21885 del 26.10.2010, Cass. 15.1.96 n. 279; 30.07.92 n. 9131; Cas<5. 22.1.88 n. 505). Da tale presupposto consegue che il principio dell’interpretazione del dispositivo della sentenza mediante la motivazione (Cass. 8.03.07 n. 5337), benché applicabile anche nel rito del lavoro, non può sanare contrasti irriducibili fra le due componenti, dovendo in tal caso darsi la prevalenza al secondo che, acquistando pubblicità con la lettura fattane in udienza, cristallizza stabilmente la statuizione emanata nella concreta fattispecie (Cass. 12.10.98 n. 10095). In considerazione di quanto sinora detto la fattispecie scrutinata non trova la sua collocazione giuridica nell’ambito dell’errore materiale (nella nozione che ne è stata delineata da ultimo da Cass. n. 816 del 25/01/2000, n. 5196 del 11/04/2002 e n. 19601 del 26/09/2011), in quanto il capo censurato riguarda una parte essenziale della statuizione, attinente alla regolamentazione delle spese del giudizio. Il vizio non è emendabile quindi con il ricorso alla relativa procedura di correzione, ritenuta applicabile da questa Corte in alcune ipotesi di contrasto parziale tra motivazione e dispositivo (Cass. Ord. n. 21885 del 26/10/2010, n. 18090 del 27/08/2007).
Al fine di individuare la soluzione funzionale a riportare la statuizione nei corretti canoni del diritto regolando la fattispecie secondo i parametri effettivamente accertati dalla Corte di merito sulla base di quanto univocamente risultante in causa, occorre rilevare che il motivo di doglianza, proposto sotto il profilo della violazione di legge, consente una pronuncia ex art. 384 II comma c.p.c., anche tenendosi conto del principio di ragionevole durata del processo, inteso sia sotto il profilo oggettivo, di canone di buona amministrazione della giustizia, recepito nella nostra Costituzione in specie all’art. 111 nel capo dedicato alla giurisdizione, sia nella sua dimensione soggettiva, di strumento diretto alla protezione dei diritti fondamentali, valorizzata nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ratificata in Italia con la L. 4 agosto 1955 n. 848). La soluzione che appare maggiormente idonea a perseguire il risultato proposto, che consente alle parti una celere definizione della controversia, è quindi quella di cassare la pronuncia impugnata in considerazione del vizio riscontrato e, poiché emergono da essa tutti gli elementi richiesti dal codice di rito, decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, dichiarando che nulla è dovuto dal C.C. all’Inail a titolo di spese per il giudizio d’appello.
È stata (del resto già ammessa da questa Corte la possibilità di decidere la causa nel merito anche in presenza di errores in procedendo, quando non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (v. Cass. n. 2977 del 15/02/2005, n. 7073 del 28/03/2006, n. 7826 del 03/04/2014), purché ciò non comporti soppressione di un giudizio di merito (Cass. n. 15808 del 11/11/2002, n. 7826 del 03/04/2014 cit.).
9. La soccombenza reciproca determina la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che nulla è dovuto dal ricorrente nel giudizio d’appello a titolo di spese di lite. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.12.2015