Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 marzo 2016, n. 4498

Infortunio durante la pulizia dei rulli del macchinario. Rapporto tra giudizio penale e giudizio civile.


Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO
Data pubblicazione: 08/03/2016

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Nicosia, depositato il 24.06.2008, D.E., premesso di avere lavorato dal 21.02.2001 alle dipendenze della D. s.r.l. (azienda produttrice di carta igienica, asciugatutto, tovaglioli ecc.), con la qualifica di operaio livello E del CCNL Carta e grafici piccola e media impresa; esponeva di essere stato addetto presso la macchina denominata “Linea Sincro 4.0” che veniva utilizzata per la produzione di carta igienica e carta asciugatutto, senza essere stato istruito circa il corretto e sicuro funzionamento della stessa; di essere rimasto vittima di un grave infortunio (amputazione traumatica della mano dx), allorché in data 27.03.2004 alle ore 10.30 circa, mentre eseguiva la manutenzione straordinaria del citato macchinario si trovava “nella zona denominata goffratore punta – punta, n.4920 per pulire i rulli che compongono il gruppo esterno, nell’eseguire tale intervento metteva la mano destra sulla macchina, consapevole dell’automatico bloccaggio del motore” che invece non si bloccava risucchiandogli la mano destra all’interno di alcuni ingranaggi; che l’Inail gli riconosceva un grado di menomazione dell’integrità psico-fìsica pari al 60%; che, a seguito dell’infortunio interrompeva la propria attività lavorativa per circa sei mesi per poi riprenderla nel settembre 2004 con le mansioni di carrellista addetto al carico e scarico merci; che, nell’aprile del 2005, l’azienda decideva di impiegarlo per circa dodici ore al giorno come guardiano – custode diurno e notturno, compreso i festivi fino all’agosto 2007 allorché veniva messo in mobilità; ritenuto che l’infortunio era ascrivibile alla mancata adozione nel luogo di lavoro di tutte le cautele necessarie ed opportune ai sensi dell’art. 2087 c.c., deduceva di avere diritto al risarcimento dei danni di natura patrimoniale e non patrimoniale, compreso il danno biologico di natura permanente e temporanea, il danno morale, il danno da incidenza sulla specifica capacità lavorativa, il danno esistenziale; chiedeva che venisse accertata e dichiarata la responsabilità “dei resistenti per i titoli e le causali di cui in premessa, nella causazione dell’infortunio occorso” con la condanna dei “medesimi in solido o alternativamente a risarcire i danni tutti di natura patrimoniale (anche per il futuro) e non patrimoniale, compresi il danno biologico di natura permanente e temporanea, il danno morale, il danno alla specifica capacità lavorativa, il danno estetico e i relativi importi determinati in corso di causa o secondo giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto al saldo.
Costituitasi in giudizio la D. s.p.a in liquidazione, deduceva la mancanza di qualsivoglia responsabilità in ordine al sinistro riconducibile esclusivamente al ricorrente che, con imprudenza e imperizia, in violazione delle norme di legge (di cui era ben a conoscenza) manometteva i dispositivi di sicurezza ed effettuava operazioni di pulizia su un macchinario in moto, per come acclarato in sede penale con sentenza emessa in data 13.02.2006 dal Tribunale di Nicosia che assolveva il Sig. M.A. in quanto “il fatto non sussiste”; affermava che la domanda di risarcimento dei danni andava rigettata perché infondata, deduceva che in ogni caso del danno doveva rispondere la SAI Fondiaria Divisione Nuova MAA Assicurazioni s.p.a. giusta polizza, n. 501019; chiedeva in via pregiudiziale di essere autorizzata a chiamare in causa la società assicuratrice; nel merito, chiedeva, in via principale, il rigetto del ricorso con la condanna alle spese del giudizio, in via subordinata, che la compagnia assicurativa chiamata in garanzia venisse dichiarata tenuta al pagamento dei danni subiti dal ricorrente, con la condanna al relativo risarcimento.
Si costituivano altresì il M.A. ed il C., eccependo preliminarmente la prescrizione quinquennale, e nel merito l’infondatezza della domanda essendo l’evento imputabile esclusivamente al lavoratore per difetto di diligenza; chiedevano in ogni caso di essere manlevati dalla suddetta Nuova MAA Assicurazioni, di cui chiedevano la chiamata in causa.
Veniva disposta la chiamata in causa della detta società assicuratrice. Dopo un infruttuoso tentativo di notifica alla SAI Fondiaria, si costituiva quindi in giudizio la Milano Assicurazioni s.p.a. (succeduta per incorporazione alla Sai Fondiaria -Nuova MAA), eccependo l’inammissibilità della chiamata in causa in quanto tardiva; di non accettare il contraddittorio nei confronti dei soggetti stipulanti con la Sai Fondiaria -Nuova MAA; che la polizza non era comunque operativa ai sensi dell’art 17 del contratto, non avendo la D. provveduto ai relativi adempimenti; che in ogni caso operava il massimale di € 258.224,44 e che comunque doveva essere detratto quanto corrisposto dall’INAIL.
Il Tribunale di Nicosia, con sentenza n. 84\2010, decideva la causa, dichiarando il difetto di legittimazione passiva della Fondiaria Sai s.p.a., la responsabilità concorrente nella causazione dell’infortunio del D.E., dei resistenti D. s.r.l. in liquidazione e C. C. nella misura dell’80% e del ricorrente in misura pari al 20%; condannando in solido, per l’effetto, i primi a pagare in favore del lavoratore, a titolo di risarcimento del danno, l’importo complessivo di euro 388.966,06, oltre interessi legali sino al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese del giudizio; dichiarava la Milano Assicurazioni s.p.a obbligata a tenere indenni nei limiti del massimale di polizza i resistenti D. e C. C.; rigettava per contro la domanda nei confronti di M.A. nella qualità di amministratore delegato della D. s.r.l.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso la Milano Assicurazioni eccependo in via preliminare l’inammissibilità della sua chiamata in causa, non essendo stato correttamente individuato il destinatario dell’atto; deducendo, in ogni caso, l’inoperatività della polizza assicurativa per mancata regolazione del premio; che il massimale entro il quale veniva prestata la garanzia era quello relativo alla RCT, anziché quello relativo alla RCO; l’insussistenza della responsabilità in capo al datore di lavoro; che nella graduazione della colpa doveva essere attribuita una responsabilità maggiore o al più concorrente in misura paritaria con quella del datore di lavoro; l’erroneità dell’importo liquidato a titolo di risarcimento di danni subiti; chiedendone, pertanto, la riforma con la condanna alle spese di entrambi i gradi. Resistevano C. C., D.E. e la D. s.r.l. in liquidazione, mentre restavano contumaci M.A. e la Fondiaria sai s.p.a.
D.E. proponeva, altresì, autonomo appello incidentale.
Con separato atto la D. s.r.l. in liquidazione proponeva appello avverso la medesima sentenza.
Si costituivano in tale giudizio la Milano Assicurazioni s.p.a., la Fondiaria s.p.a. e D.E., proponendo altresì ciascuno di loro appello incidentale.
Veniva disposta la riunione degli appelli separatamente proposti avverso la medesima sentenza.
Con sentenza depositata il 7 ottobre 2011, la Corte d’appello di Caltanissetta accoglieva l’appello principale proposto dalla D. s.r.l. e rigettava la domanda proposta dal D.E.; rigettava il gravame proposto dalla Fondiaria SAI. Compensava tra le parti le spese di ambo i gradi.
Riteneva la Corte di merito che, essendo stato il M.A., quale amministratore delegato di D. s.r.l., assolto in sede penale perché il fatto (per cui è causa, violazione di norme antinfortunistiche e di sicurezza) non sussiste, con sentenza passata in giudicato, la medesima questione non poteva essere riesaminata attraverso l’esame della eventuale responsabilità del Sig. C. (nei cui confronti, peraltro, il procedimento penale si era concluso con decreto di archiviazione), quale responsabile della sicurezza della società.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il D.E., affidato a due motivi. Resiste la D. s.r.l. in liquidazione con controricorso, nonché la Milano Assicurazioni s.p.a., quest’ultima proponendo altresì ricorso incidentale affidato a sei motivi.
Il D.E. e la s.r.l. D. hanno depositato memoria ex art 378 c.p.c.

Diritto

l. -Con il primo motivo il D.E. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt 652 e 654 c.p.p., nonché omessa ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.).
Lamenta che le indicate norme del c.p.p. escludevano l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione solo tra le stesse parti nei cui confronti il processo si era svolto, mentre nella specie il D.E. non aveva partecipato al processo come parte civile ed in esso non era presente il C., sicché la Corte di merito aveva errato nel ritenere precluso dal giudicato penale l’accertamento di responsabilità da parte del C., responsabile della sicurezza della società.
Il motivo è infondato.
Deve infatti considerarsi che, come affermato in diverse occasioni da questa S.C. (cff. per tutte, Cass. 20.4.06 n. 9235), in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile – come disciplinato dal vigente codice di procedura penale del 1988 (ai sensi degli artt 652 e 654), a differenza di quello previgente (art 25) – l’azione civile per danni è preclusa dal giudicato penale che rechi un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato. Inoltre, l’autorità del giudicato (anche penale) copre sia il dedotto che il deducibile, ovvero non soltanto le questioni di fatto e di diritto investite esplicitamente dalla decisione (c.d. “giudicato esplicito”), ma anche le questioni che – sebbene non investite esplicitamente dalla decisione – costituiscano comunque presupposto logico essenziale ed indefettibile della decisione stessa (c.d “giudicato implicito”), restando salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si è formato. Pertanto, alla stregua dei suddetti principi, il giudicato penale di assoluzione – con la formula “perché il fatto non sussiste” – preclude la proposizione, nel giudizio di civile di risarcimento del danno derivante dal medesimo fatto-reato, di una ricostruzione della vicenda che postuli, sotto altra prospettazione, l’esistenza di elementi di fatto, che risultino esclusi – sia pure implicitamente – dal giudicato penale. (Nella specie, la S.C., con riguardo all’azione di un lavoratore infortunato per il risarcimento del c.d. “danno differenziale”, ha rigettato il motivo di ricorso e confermato sul punto la sentenza impugnata con la quale correttamente era stato ritenuto che la predetta azione doveva considerarsi preclusa dal giudicato penale di assoluzione, dal reato di lesioni colpose, del legale rappresentante della società datrice di lavoro, per insussistenza del fatto, in dipendenza della ravvisata carenza del nesso causale tra condotta dell’Imputato ed evento pregiudizievole, che copriva, quantomeno implicitamente, anche l’addebito di “omessa adozione delle misure di sicurezza prescritte dalla legge”).
Nello stesso senso Cass. 13.9.06 n. 19559, relativa all’azione di un lavoratore infortunato per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la possibilità di un’ulteriore indagine nei confronti dei vertici della società, mancando il presupposto di una loro responsabilità a qualsiasi titolo, essendo stati in sede penale assolti i dipendenti preposti all’officina presso la quale era avvenuto il sinistro, perché il fatto non costituiva reato, ed essendo stato acclarato, in fatto, in quella sede che l’ambiente di lavoro era conforme alle prescrizioni in materia di sicurezza e che l’infortunio era avvenuto a causa di una condotta anomala e colposa del lavoratore.
Deve dunque evidenziarsi che la Corte di merito ha correttamente osservato che a fronte del giudicato penale di assoluzione perché il fatto non sussiste nei confronti del M.A., quale amministratore delegato della D. s.r.l., per il reato di lesioni gravissime e per la commissione di esso in violazione delle norme antinfortunistiche sul lavoro, non poteva (a differenza dell’ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, v. Cass. n. 22883 del 30/10/2007), come erroneamente ritenuto dal primo giudice, valutarsi successivamente la responsabilità della datrice di lavoro D. s.r.l. come ascrivibili ad un soggetto diverso (il C.), trattandosi dei medesimi fatti e controvertendosi intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende degli stessi fatti materiali accertati in sede penale (cfr. Cass. n. 8303 del 23/04/2015), e cioè la violazione di norme antinfortunistiche e di sicurezza, manomissione dei dispositivi di sicurezza, evidenziando peraltro che già il Tribunale aveva escluso una responsabilità della datrice di lavoro in base a tale circostanza, ed inoltre per essere risultata la condotta del D.E. imprudente, presentando “tali aspetti di abnormità rispetto all’ordinario svolgimento delle mansioni lavorative da escludere ogni apporto causale del datore di lavoro, essendo invece causa di per sé sufficiente a cagionare la lesione riportata dalla persona offesa”.
Tale secondo accertamento, come visto effettuato dalla sentenza impugnata, non è stato oggetto di specifiche censure ad opera dell’odierno ricorrente, il quale anzi deduce che il Tribunale aveva ascritto al lavoratore solo un comportamento imprudente, sicché, sotto tale profilo, il ricorso è anche inammissibile non contestando adeguatamente tale seconda ratio decidendo cfr., ex plurimis, Cass. 11.2.2011 n. 3386, Cass. sez.un. 29.3.2013 n. 7931.
Né giova il richiamo a Cass. 20.9.06 n. 20325, posto che in tal caso la Corte ritenne necessaria la partecipazione al giudizio penale (oltre che del legale rappresentante) anche della società come imputata e del responsabile civile. Nella specie è evidente, dalla ricostruzione della sentenza impugnata non adeguatamente censurata in questa sede, che il M.A. fu imputato nel processo penale quale rappresentante della società datrice di lavoro, mentre in ogni caso la questione della mancata presenza nel giudizio penale della società D., come imputata, e del D.E., come parte civile, non risulta chiaramente devoluta al giudice di appello. Né è stata dedotto e tanto meno documentato, che il D.E. non venne posto nelle condizioni di costituirsi parte civile (come dispone l’art 652 c.p.p.), se non adombrando blandizie od altre simili, ed assolutamente generiche, circostanze (pagg. 14-15 ricorso).
Il citato art 652 c.p.p. fa salva l’ipotesi che il danneggiato dal reato abbia già esercitato l’azione in sede civile, ma non è questo il caso di specie, avendo il D.E. esercitato l’azione civile successivamente.
2. – Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt 332, 325 e 346 c.p.c. per omessa pronuncia nei confronti del resistente C. e della Milano Assicurazioni, con conseguente verificazione degli effetti del giudicato nei confronti del C., non appellante, condannato al risarcimento del danno differenziale in favore del lavoratore. Lamenta che il C. venne condannato in primo grado, per fatto proprio, e cioè per avere colposamente omesso di tenere i comportamenti cui era tenuto quale responsabile della sicurezza; con il C. era stata condannata anche la Milano Assicurazioni con cui il C. era assicurato come quadro. La responsabilità del datore di lavoro e del C. era solidale sicché non ricorreva un’ipotesi di litisconsorzio necessario, e dunque l’appello proposto dalla sola D. s.r.l. non impediva il passaggio in giudicato della sentenza di condanna nei confronti del C.. Lamenta poi che ove la Corte d’appello avesse esaminato tale responsabilità non avrebbe potuto che affermare che il comportamento del lavoratore non era caratterizzato da abnormità ed irrazionalità, e neppure, come erroneamente ritenuto dai Tribunale, da un comportamento negligente, essendo chiaramente emerso in primo grado che vi fu una volontaria disattivazione dei meccanismi di sicurezza nella macchina Sincro 4.0, al fine di aumentare la produttività.
Il motivo è infondato, non risultando alcuna omessa pronuncia quanto alla posizione del C., avendo la sentenza impugnata ritenuto che l’esclusione di responsabilità da parte della società, escludeva anche la responsabilità di coloro che per essa avevano operato, come il C., in ordine ai medesimi fatti. Resta in ogni caso, come sopra già evidenziato, che l’accertamento della sentenza impugnata circa l’ascrivibilità a condotta abnorme ed imprevedibile del comportamento del lavoratore, tale da elidere ogni nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non è stata correttamente censurata dal D.E., che propone al riguardo, inammissibilmente, una ipotetica e diversa lettura delle risultanze istruttorie.
3. – Il ricorso incidentale condizionato della Milano Assicurazioni s.p.a. è conseguentemente assorbito. Valutato l’esito complessivo della lite tra tali parti, e le sue alterne vicende, ritiene la Corte di dover compensare le relative spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della D. s.r.l., delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €100,00 per esborsi ed €3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 dicembre 2015

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