Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 ottobre 2015, n. 20182

Domanda di maggior rendita per aggravamento dei postumi di ipoacusia da rumore.


 

Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ESPOSITO LUCIA
Data pubblicazione: 08/10/2015
Fatto

1. F.A. conveniva in giudizio l’Inail dinanzi al Tribunale di Chieti chiedendo l’accoglimento della domanda di maggior rendita per aggravamento dei postumi di ipoacusia da rumore, già riconosciuta dall’istituto nella misura del 12 %. Espletata consulenza medico legale, il Tribunale adito accoglieva la domanda, accertando, in conformità degli esiti della ctu, un danno pari al 41 %.
2. A seguito di impugnazione dell’INAIL, la Corte d’Appello di L’Aquila, previo rinnovo della consulenza tecnica, accoglieva parzialmente l’appello, fissando la rendita nella misura del 16 %, con decorrenza dalla revisione.
3. Avverso la sentenza il F.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. L’INAIL resiste con controricorso. Il ricorrente ha presentato memorie.

Diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c. 2 c.p.c. Rileva l’improcedibilità dell’appello perché notificato dopo il decorso del termine di dieci giorni dalla data del decreto di fissazione dell’udienza previsto dall’art. 435 c. 2 c.p.c.
2. Il motivo è infondato alla luce del principio in forza del quale “Nel rito del lavoro il termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435 secondo comma cod. proc. civ., deve notificare all’appellato il ricorso, tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione, e il decreto di fissazione dell’udienza di discussione non ha carattere perentorio; la sua inosservanza non produce quindi alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che ai sensi del medesimo art. 435, commi terzo e quarto, cod. proc. civ., deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 26489 del 30/12/2010, Rv. 615840). Si evidenzia, d’altra parte, che, per un verso, la notifica del ricorso era avvenuta nel rispetto del termine di cui al terzo comma dell’art. 435 c.p.c., e, per altro verso, la controparte si era regolarmente costituita in giudizio.
3. Nelle memorie difensive il ricorrente osserva che alla data della proposizione dell’appello da parte dell’INAIL era prevalente nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento, confermato dalla decisione delle Sezioni Unite n. 20604/2008 del 30/7/2008, secondo cui la mancata notifica del ricorso comporta l’improcedibilità dell’azione processuale e l’impossibilità per il giudice di consentire una nuova notifica del ricorso in appello e del decreto. Evidenzia che la Corte di legittimità dovrebbe tener conto della giurisprudenza esistente all’epoca della proposizione dell’appello, e conseguentemente accogliere l’eccezione a suo tempo sollevata dal ricorrente, dichiarando l’improcedibilità del gravame. Richiama al riguardo l’orientamento espresso da Cass. Civ. S.U. dell’11/7/2011 n. 15144, in tema di effetti del mutamento della giurisprudenza e della interpretazione di norme processuali da parte del giudice della nomofilachia.
3.1. Il rilevo è privo di fondamento, ove si consideri che il principio esplicitato dalla decisione citata è volto a tutelare la parte che, facendo affidamento sulla stabilità del precedente orientamento giurisprudenziale riguardante una regola del processo, possa subire effetti negativi in ragione di un mutamento giurisprudenziale “duplicemente connotato dalla sua imprevedibilità (per il carattere consolidatosi nel tempo del pregresso indirizzo) e da un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa”. In proposito ha rilevato la Corte che “sarebbe innegabilmente contrario … alla garanzia di effettività dei mezzi di azione o di difesa e delle forme di tutela” che la parte rimanga priva della possibilità di vedere celebrato un giudizio che conduca ad una decisione sul merito delle proprie istanze (Cass. Civ. S.U. dell’11/7/2011 n. 15144). Ne consegue che il principio invocato non può trovare applicazione nella fattispecie in disamina, poiché interverrebbe a sanzionare con la decadenza dall’impugnazione una delle parti in virtù di un orientamento preclusivo consolidato in giurisprudenza in epoca precedente e superato dalla successiva giurisprudenza, in ciò realizzandosi un effetto contrario a quello voluto dalla citata decisione.
4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., vizio di motivazione per acritica e pedissequa adesione dei giudici d’appello alle risultanze peritali del CTU nominato in secondo grado, e indica come fatto controverso e decisivo il quantum della percentuale di inabilità. Osserva il ricorrente che la CTU espletata in secondo grado, pur se formalmente sembra sconfessare quella espletata in primo grado, in realtà travisa i fatti di causa. Rileva che il primo CTU ha riconosciuto in capo al ricorrente un danno acustico aumentato dall’originario 12 % già riconosciuto nel 2001, al 41%, come aggravamento maturato in relazione all’ultimo periodo di attività lavorativa (fino al settembre 2005), laddove il CTU di secondo grado aveva arbitrariamente ritenuto che il primo consulente avesse inteso considerare tale danno come aggravamento successivo all’esposizione a rischio acustico, potendosi ritenere giustificato solo il riconosciuto modesto aumento del danno al 16%. Rileva che, essendo il colloquio a voce e i suoi esiti l’unico accertamento effettuato dai periti nominati in appello, tale misurazione doveva essere certificata da tutti i componenti del collegio. Evidenzia che la tesi dei giudici di secondo grado, che attesta l’impossibilità di accrescimento del danno da rumore dal 12 al 41 % in soli 8 mesi dalla cessazione del lavoro, richiamando la collegiale medica INAIL del 2007, dimentica che tale ultimo accertamento, aderente a quello del 2001 confermato con sentenza passata in giudicato, era contestato in primo grado.
4. La doglianza va disattesa. Va premesso il principio giurisprudenziale in forza del quale “quando, in presenza di due successive contrastanti consulenze tecniche d’ufficio (nella specie, la prima disposta nel giudizio di primo grado e la seconda in sede di gravame), il giudice aderisca al parere del consulente che abbia espletato la sua opera per ultimo, la motivazione della sentenza è sufficiente – ed è escluso quindi il vizio di motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. -, pur se tale adesione non sia specificamente giustificata, ove il secondo parere tecnico fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, sul piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, siano essi esposti nella prima relazione o “aliunde” deducibili. In tal caso, le doglianze di parte, che siano solo dirette al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico e non individuino gli specifici passaggi della sentenza idonei ad inficiarne, anche per derivazione dal ragionamento del consulente, la logicità, non possono configurare l’anzidetto vizio di motivazione (Sez. L, Sentenza n. 4850 del 27/02/2009 (Rv. 607176). Ciò posto, ogni rilievo riguardo alla congruità della valutazione dell’ipoacusia è da ritenere superato ove si consideri che la decisione si è attenuta dalla consulenza espletata in appello, in parte riportata in sentenza, il cui esito si è conformato a quanto percepito dai consulenti con osservazione diretta “durante l’incontro dialogico”, nel corso del quale i predetti hanno constatato che il ricorrente avvertiva “regolarmente la voce di noi tre tecnici, alle distanze regolamentari”. Si evidenzia, poi, l’irrilevanza nell’ambito della formulazione del motivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. della questione relativa alla mancata sottoscrizione da parte dei tre componenti del collegio dell’attestazione dell’esame diretto, non costituente oggetto di una autonoma censura a carattere processuale. Ed invero non è in discussione la riferibilità dell’intera relazione di consulenza ai tre periti incaricati. Restano assorbiti nella pronuncia di rigetto tutti gli altri rilievi prospettati, inammissibili in quanto censure di merito.
5. Per tutte le ragioni indicate il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 100,00 per esborsi e in € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 14/5/2015

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