Licenziamento nelle imprese radiotelevisive private: il termine massimo di comporto è applicabile solo alle assenze dovute a malattia e non anche ad infortunio sul lavoro (in itinere).
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: MANNA ANTONIO
Data pubblicazione: 10/06/2016
Fatto
Con sentenza depositata il 12.8.13 la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo di RTL 102.5 Hit Radio S.r.l. contro la sentenza n. 379/13 del Tribunale di Monza, confermativa dell’ordinanza dello stesso Tribunale che aveva dichiarato la nullità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato il 29.6.12 dalla suddetta società a L.Z., con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie previste dall’art. 18 Stat. (nel testo previgente alla novella di cui alla legge n. 92/12).
Statuivano i giudici di merito che, ai sensi dell’art. 53 CCNL imprese radiotelevisive private del 16.2.11, il termine massimo di comporto di 15 mesi ivi previsto era applicabile solo alle assenze dovute a malattia e non anche ad infortunio sul lavoro (infortunio in itinere, nel caso di specie), dovendosi in tale ultima evenienza attendere comunque il recupero dell’abilitazione al lavoro, come argomentato dal co. 12 dello stesso art. 53.
Per la cassazione della sentenza ricorre RTL 102.5 Hit Radio S.r.l. affidandosi ad un solo motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Diritto
1- Con l’unico motivo si lamenta falsa applicazione dell’art. 53 CCNL imprese radiotelevisive private del 16.2.11 e degli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c., per avere la sentenza impugnata negato l’applicabilità anche alle assenze per infortunio sul lavoro della pattuizione collettiva che prevede, riguardo a quelle per malattia, il termine massimo di comporto di 15 mesi: obietta la società ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non è decisivo né il tenore letterale della clausola né il comma 12 del cit. art. 53, in forza del quale il trattamento economico integrativo per l’infortunio è dovuto dall’azienda dal primo giorno di assenza fino all’abilitazione al lavoro; quest’ultima previsione – prosegue il ricorso – non è affatto incompatibile con il comporto regolato in via generale nel precedente co. 9 e nel successivo co. 14; inoltre, ragioni di coerenza sistematica rispetto a svariate norme di legge (art. 2110 c.c., art. 5 r.d.l. n. 1825/24, art. 10 legge n. 419/75) Inducono a svincolare il termine di comporto dall’effettiva guarigione del lavoratore, escludendo che esso possa protrarsi per una durata incerta (potenzialmente anche per anni); sostiene, ancora, parte ricorrente che le fonti collettive possono prevedere anche trattamenti più favorevoli rispetto a quelli legali, ma con pattuizione esplicita, mentre tale non è quella contenuta nel cit. art. 53, che distingue tra malattia e infortunio sul lavoro soltanto ai fini dell’integrazione retributiva; conclude il ricorso con il segnalare che, se davvero il co. 12 avesse avuto lo scopo di accordare un diverso e più favorevole periodo di comporto in caso di infortunio (come ritenuto dalla sentenza impugnata), esso sarebbe stato collocato dopo il co. 14, che stabilisce che, superato il termine di conservazione del posto, l’azienda può risolvere il rapporto di lavoro.
2- Il ricorso è infondato. Recita l’art. 53 cit. CCNL:
“Trattamento di malattia
1. L’assenza per malattia, salvo giustificato impedimento, deve essere comunicata dal lavoratore all’azienda all’inizio della propria attività lavorativa. In mancanza della comunicazione l’assenza verrà considerata ingiustificata salvo casi di forza maggiore.
2. Il lavoratore deve inoltre trasmettere a mezzo raccomandata o recapitare, entro due giorni successivi la data del rilascio, all’azienda il certificato medico attestante la malattia, salvo il caso di giustificato impedimento.
3. Il lavoratore deve rendersi reperibile al proprio domicilio fin dai primo giorno e per tutto il periodo della malattia dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19 per consentire il controllo della incapacità lavorativa, indipendentemente dalla natura dello stato morboso.
4. Nel caso in cui a livello territoriale le visite di controllo siano effettuate su iniziativa dell’ente preposto ai controlli di malattia, in orari diversi, le fasce orarie di cui sopra saranno adeguate ai criteri organizzativi locali.
5. Son fatte salve le eventuali documentate necessità di assentarsi dal domicilio per visite, prestazioni ed accertamenti specialistici, nonché per le visite di controllo e in tali casi il lavoratore darà preventiva informazione all’azienda.
6. Il lavoratore che, salvo i casi comprovati di cui al precedente comma, non sia reperito al domicilio comunicato ai datore di lavoro durante le fasce orarie che è tenuto ad osservare, incorre nella perdita del trattamento economico contrattuale di malattia secondo quanto previsto dalle vigenti norme di legge.
7. Ogni mutamento di indirizzo di reperibilità durante il periodo di malattia deve essere tempestivamente comunicato all’azienda.
8. Costituisce giustificato motivo di licenziamento lo svolgimento di attività lavorative durante l’assenza per malattia.
9. In caso di interruzione del servizio dovuto a malattia il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di 15 mesi.
10. L’obbligo di conservazione del posto per l’azienda cesserà comunque, ove nell’arco di 36 mesi si raggiungano i limiti di 15 mesi, anche con più periodi di malattia.
11. Il lavoratore ha diritto, ad integrazione di quanto erogato dall’Istituto previdenziale, laddove l’Istituto stesso eroghi la relativa indennità di malattia, all’intera retribuzione ordinaria netta (compresi i primi 3 giorni) per i primi 6 mesi; per i successivi 6 mesi ad un importo pari alla metà della retribuzione ordinaria netta ed alla conservazione del posto senza retribuzione per gli ulteriori tre mesi.
12. Nel caso di infortunio sul lavoro, l’azienda integrerà per tutti i lavoratori il trattamento erogato dall’istituto assicuratore fino al cento per cento della retribuzione netta, dal primo giorno fino all’abilitazione al lavoro.
13. Eguali diritti spetteranno al lavoratore nel periodo di preavviso e sino alla scadenza del periodo stesso.
14. Superato il termine di conservazione del posto, l’azienda potrà risolvere in pieno diritto il rapporto di lavoro corrispondendo al lavoratore il trattamento previsto da! presente contratto per il licenziamento, compresa l’indennità sostitutiva del preavviso.
15. Il periodo di conservazione del posto per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato non potrà eccedere il 50% della durata dello stesso contratto fino ad un limite massimo di 3 mesi e comunque non potrà superare la scadenza de! termine apposto al contratto medesimo.”.
Hanno ritenuto i giudici di merito che, vertendosi in tema di infortunio sul lavoro (ancorché in itinere: è appena il caso di ricordare che l’art. 12 del d.lgs. n. 38/2000 attribuisce all’infortunio in itinere – tale è stato quello all’origine della controversia – la medesima copertura assicurativa predisposta dal d.P.R. n. 1124/65) e argomentando dal co. 12 del cit. art. 53, si debba concludere che il lavoratore, avendo diritto ad un’integrazione economica del trattamento ricevuto dall’INAIL fino al 100% della retribuzione netta dal primo giorno di assenza fino all’abilitazione al lavoro, abbia – nello stesso arco di tempo – anche il diritto di conservare il posto di lavoro.
In favore della difforme interpretazione propugnata dalla ricorrente non soccorre il dato lessicale, dovendosi escludere che nel testo contrattuale in oggetto il lemma “malattia” sia stato adoperato fungibilmente per comprendervi anche l’infortunio in occasione di lavoro e, così, parificare il termine massimo di comporto in entrambi gli eventi.
Non valga in contrario quanto affermato in ricorso e cioè che etimologicamente per malattia può intendersi qualsiasi stato patologico o alterazione anatomica o funzionale dell’organismo o di un organo, a prescindere dalla causa (genetica, infettiva, derivante da esposizione a radiazioni nocive o ad accumulo di sostanze dannose etc.): è innegabile, invece, che il cit. art. 53 distingue il trattamento economico in caso di malattia da quello previsto in ipotesi di infortunio sul lavoro (si confrontino tra loro i commi 11 e 12).
Ciò vuol dire che i contraenti del cit. CCNL hanno tenuto ben presente la differenza tra le due ipotesi, non diversamente da quanto normalmente accade in altri CCNL oltre che nella legge e nella giurisprudenza di questa S.C., che ha sempre distinto la malattia dall’infortunio sul lavoro, quest’ultimo caratterizzato dal fatto che l’alterazione anatomo-funzionale dell’organismo o d’un singolo organo deriva da “causa violenta in occasione di lavoro” (cfr. art. 2 d.P.R. n. 1124/65).
In breve, vuoi nell’uso linguistico generale, vuoi in una visuale prettamente giuslavoristica, vuol – infine – nello specifico testo negoziale in commento, “malattia” e “infortunio sul lavoro” sono termini concettualmente diversi.
Né la collocazione, all’Interno del cit. art. 53, del co. 12 rispetto al co. 14 e agli altri appare decisiva: milita, semmai, in senso opposto il rilievo che il termine massimo di comporto viene menzionato nei commi 9 e 10, racchiusi a monte e a valle da altri commi anche essi testualmente e inequivocabilmente riferiti alle sole assenze per malattia.
Dunque, nessun elemento testuale soccorre la tesi sostenuta in ricorso, così come non risultano né sono stati forniti spunti ermeneutici di carattere sistematico rispetto ad altre clausole del contratto collettivo (art. 1363 c.c.) o in relazione al comportamento complessivo delle parti ex art. 1362 cpv. c.c.
Né risulta applicabile l’art. 1365 c.c. sulle indicazioni esemplificative al fine di spiegare un patto – poiché nell’art. 53 cit. non ve ne sono – o il ricorso all’analogia, non consentita riguardo ai contratti collettivi, le cui clausole possono essere oggetto di interpretazione estensiva, non già di applicazione analogica (cfr. Cass. n. 18294/02).
Ma a sua volta non giova alla tesi della ricorrente nemmeno l’interpretazione estensiva (che consiste nell’estendere un dato significante fino ai limiti massimi della sua portata semantica secondo l’uso linguistico generale), atteso che il lemma “malattia” – vuoi nell’uso linguistico generale vuoi in quello più prettamente giuslavoristico di cui s’è detto – non comprende anche l’infortunio sul lavoro.
Né soccorrono altri criteri ermeneutici a sostegno dell’Interpretazione invocata in ricorso.
Del pari inidoneo è il richiamo ad esigenze di coerenza con le norme di legge che, pur regolando ipotesi analoghe, non prolungano mai il comporto fino alla cessazione dello stato invalidante: la coerenza sistematica fra clausole contrattuali e norme di legge non solo non integra un criterio ermeneutico dei contratti (v. artt. 1362 e ss. c.c.: l’interpretazione sistematica ex art. 1363 c.c. è fra clausole del medesimo contratto), ma suggerisce una falsa prospettiva, così come l’obiezione (sempre formulata in ricorso) secondo cui un termine di comporto prolungato fino alla cessazione dello stato invalidante sarebbe un sostanziale ossimoro giacché, una volta cessato lo stato invalidante e, quindi, tornato al lavoro il dipendente, non vi sarebbe più alcuna ragione di licenziarlo.
In primo luogo deve osservarsi che, per evitare di protrarre a tempo indeterminato la conservazione del posto, il datore di lavoro ben può chiedere ex art. 5 ult. co. legge n. 300/70 il controllo dell’idoneità fisica del proprio dipendente una volta stabilizzatisi gli esiti dell’infortunio.
In secondo, non gioverebbe all’assunto di parte ricorrente neppure l’interpretare il cit. co. 12 come meramente attributivo del diritto dell’infortunato a ricevere un’integrazione economica del trattamento erogatogli dall’INAIL fino al cento per cento della retribuzione netta, dal primo giorno fino all’abilitazione al lavoro, integrazione ritenuta come implicitamente limitata (sempre secondo l’ottica del ricorso) entro il termine massimo del periodo di comporto per infortunio altrove stabilito (cioè non nel co. 12).
Infatti, tale esegesi varrebbe, al più, ad escludere che il comporto coincida con la guarigione, ma non anche ad individuarne la massima estensione in caso di infortunio.
In altre parole, ai fini in esame non basta negare che il co. 12 del cit. art. 53 stabilisca un comporto coincidente in ogni caso con la durata dell’inabilità al lavoro conseguente ad infortunio: è, invece, pur sempre necessario accertare – in alternativa – se il cit. art. 53, in commi diversi dal co. 12, preveda al proprio interno l’estensione, anche al caso di infortunio sul lavoro, del periodo massimo di comporto previsto specificamente soltanto per la malattia (estensione da escludersi alla stregua delle considerazioni sopra svolte), oppure si presenti lacunoso a riguardo, il che rinvia o alla norma di chiusura dell’art. 1371 c.c. (e, quindi, all’equo contemperamento degli interessi delle parti) o all’art. 2110 co. 2 c.c. (e, quindi, agli usi o all’equità).
Ora, di usi in proposito manca persino l’allegazione.
Quanto – infine – all’equità o ad un equo contemperamento degli interessi delle parti, basti osservare che, anzi, è equo non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata, anche in relazione ad un infortunio in itinere (cfr., sia pure in relazione a clausole di altri contratti collettivi di analogo contenuto, Cass. n. 14756/13 e Cass. n. 14377/12).
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Non è dovuta pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso. Nulla per spese.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 17.3.16.