Miocardia ipertensiva e causa di servizio.
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: CAVALLARO LUIGI
Data pubblicazione: 10/11/2016
Fatto
Con sentenza depositata il 24.7.2012, la Corte d’appello di Campobasso confermava la sentenza di prime cure che aveva rigettato le domande risarcitorie proposte dagli eredi di C.R. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. e dell’INAIL.
La Corte, in particolare, riteneva che, benché potesse rimproverarsi a Poste Italiane s.p.a. di non aver adibito il de cuius a mansioni più compatibili con la miocardia ipertensiva da cui era affetto, nessun nesso di causalità poteva rinvenirsi tra l’attività lavorativa svolta e la dissecazione dell’aorta addominale che l’aveva condotto a morte.
Contro questa pronuncia ricorrono gli eredi R. con tre motivi. L’INAIL e Poste Italiane s.p.a. resistono con controricorso. Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso incidentale condizionato fondato su un motivo, al quale gli eredi hanno resistito con controricorso.
Diritto
Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 437 comma 2° c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte di merito richiamato a chiarimenti il CTU sulle questioni sollevate dal CTP, concernenti, per un verso, l’efficacia dello stress derivante dall’attività lavorativa nel determinismo della malattia ipertensiva da cui era affetto il de cuius e, per altro verso, la possibilità di considerare la suddetta malattia ipertensiva come derivante da causa di servizio.
Il motivo è inammissibile. L’accertamento in ordine alla eziologia professionale della malattia costituisce oggetto di un giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (cfr. fra le tante Cass. n. 8271 del 1997), i quali ultimi, qualora la sentenza abbia prestato sul punto adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, sono ravvisabili solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va all’uopo debitamente indicata, ovvero nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, risolvendosi diversamente in un mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. tra le tante Cass. n. 1652 del 2012). E poiché nel motivo di censura, formulato per relationem rispetto alle conclusioni del CTP, non è dato rinvenire né in che modo le conclusioni del CTU si sarebbero discostate dalle nozioni correnti della scienza medica né quali accertamenti strumentali necessari sarebbero stati omessi, limitandosi il CTP a caldeggiare la possibilità di una diversa lettura della documentazione agli atti, non può che concludersi per l’inammissibilità del motivo stesso, siccome volto sostanzialmente a richiedere una rinnovazione del giudizio di fatto non possibile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo del ricorso principale, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte di merito riconosciuto alcuna responsabilità in capo alla società controricorrente per non aver adottato tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica del de cuius.
Anche tale motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha bensì dato atto che l’azienda controricorrente non aveva adibito il de cuius a mansioni differenti da quelle di portalettere, così disattendendo le reiterate richieste rivoltele in tal senso, ma ha fondato il rigetto della domanda sulla mancata dimostrazione che la dissecazione dell’aorta addominale che l’aveva condotto a morte avesse “connessione diretta o esclusiva o anche solo efficientemente concausale con l’attività lavorativa [da lui] in concreto svolta” (cfr. sentenza impugnata, pag. 5). Trattandosi pertanto di motivo di censura estraneo all’accertamento contenuto nella sentenza, non può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest’ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c. (v. in tal senso Cass. n. 17125 del 2007).
Con il terzo motivo del ricorso principale, i ricorrenti si dolgono di violazione dell’art. 112 c.p.c. e di contrasto fra dispositivo e motivazione per avere la Corte territoriale confermato integralmente la pronuncia di primo grado nonostante la riconosciuta fondatezza delle censure svolte in appello circa l’erroneità della declaratoria della prescrizione delle domande.
Il motivo è palesemente infondato, giacché la rilevanza ai fini del decidere di una questione preliminare di merito si manifesta solo se la sua fondatezza può condurre al rigetto di una domanda che, altrimenti, andrebbe accolta. E poiché tanto non può logicamente dirsi nel caso di specie, avendo la Corte territoriale escluso la fondatezza nel merito della domanda, del tutto correttamente, pur ritenendo la fondatezza del gravame per ciò che concerneva la declaratoria della prescrizione, essa ha rigettato l’appello e confermato la sentenza di primo grado: ciò che rilevava di quest’ultima era infatti la statuizione di rigetto della domanda, indipendentemente dalla motivazione su cui era fondata, che la Corte ha semplicemente corretto.
Il ricorso principale, pertanto, va rigettato, rimanendo conseguentemente assorbito il ricorso incidentale. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 5.100,00, di cui € 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, per ciascuna delle parti controricorrenti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19.7.2016.