Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 gennaio 2016, n. 208

Nella valutazione di mala gestio dell’Inail nell’azione diretta di regresso, ai sensi degli artt. 10 ed 11 dp.r. 1124/1965, ovvero nella surrogazione, a norma dell’art. 1916 c.c., nei diritti dell’assicurato al risarcimento del danno alla persona, occorre, nel sistema di assicurazione obbligatoria della disciplina antinfortunistica anteriore al d.lg. 38/2000, fare riferimento esclusivamente al danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche al danno biologico o morale subiti dal lavoratore; neppure potendosi, nell’ambito della somma liquidata come risarcimento del danno alla persona e tanto meno in via presuntiva, scindere le varie componenti ed i relativi risarcimenti, in quanto la copertura assicurativa prevista dal sistema di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro (all’epoca vigente) spetta a prescindere dalla sussistenza o meno di un’effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell’assicurato.


Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI
Data pubblicazione: 11/01/2016

Fatto

La Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva respinto la domanda di M.P. di accertamento di inesistenza dei presupposti per l’incremento del premio praticato dall’Inail nel triennio 1998/2000 in conseguenza dell’infortunio in itinere subito dal proprio dipendente G.B. il giorno 11 settembre 1996 per esclusiva responsabilità del terzo danneggiante, con negazione di mala gestio dell’Istituto nella transazione per £ 7 milioni a fronte di prestazioni erogate a sua detta per £ 49.825.467, in considerazione dell’esito in cd. “micropermanenti” non incidenti sulla capacità lavorativa specifica, ma determinanti solo un danno biologico non recuperabile dall’Inail), con sentenza 28 aprile 2009, condannava l’Istituto alla restituzione, in favore di M.P., della differenza premi relativa agli anni 1998 e 1999 tra il tasso di premio del 173/000 applicato in aumento e quello dovuto del 142/000, oltre interessi legali dal pagamento, spese di C.t.u. e dei due gradi in misura di metà, compensata la residua metà per la complessità e peculiarità della vicenda.
Premessi i principi regolanti la materia, la Corte territoriale riteneva, anche in esito alla disposta C.t.u. medico-legale di cui assumeva le condivise conclusioni, l’incidenza, invece apoditticamente esclusa dal primo giudice, della ravvisata “micropermanente” sulla capacità lavorativa generica del dipendente infortunato (per esclusiva responsabilità del terzo danneggiante, che lo aveva investito immettendosi, senza rispettare la precedenza dovutagli, da un passo carraio sulla strada in cui il predetto transitava a bordo del suo motociclo), accertata in dipendenza in particolare di un’ipoacusia bilaterale permanente e di un danno civilistico stimato in misura del 24%, ben abilitante l’Inail ad un’azione di surroga che avrebbe dovuto comportare un più soddisfacente esito recuperatorio di quello suindicato: con ravvisata mala gestio della vicenda e conseguente illegittimità dell’aumento del tasso di premio applicato.
Con atto notificato il 28 aprile – 3 maggio 2010, l’Inail ricorre per cassazione con tre motivi; M.P. resta intimato.

Diritto

Con il primo motivo, l’Istituto ricorrente deduce carenza di motivazione, in ordine all’incidenza dell’ipoacusia sulla capacità lavorativa del dipendente di M.P. infortunato (e quindi sulla rendita Inail liquidata con conseguente sua impossibilità di surroga e di effettivo danno), sulla base delle risultanze della C.t.u. medico-legale disposta, nonché contraddittorietà nell’avere ravvisato la mala gestio dell’Istituto nell’accettazione di una transazione troppo esigua, nonostante l’accertata esistenza di solo danno biologico puro, non indennizzabile dall’Inail, in relazione all’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c.
Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10, sesto e settimo comma, 11, primo e secondo comma d.p.r. 1124/1965, 1916 c.c. e 13 d.lg. 38/2000, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., per impossibilità dell’Inail, nel regime previgente al d.lg. 38/2000 come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 356/91 e n. 485/91), di surrogazione nei diritti dell’assicurato al risarcimento del danno biologico (e morale), per tale essendo stata accertata anche l’ipoacusia riscontrata dalla C.t.u. medico-legale disposta in appello con la conseguente ininfluenza ai fini di causa della sua omessa valutazione ai fini della rendita liquidata dall’Istituto (19% di invalidità permanente alla capacità lavorativa generica, senza tener conto a tali fini della predetta ipoacusia).
Con il terzo, il ricorrente deduce vizio di insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., in ordine al fatto controverso e decisivo dell’incidenza comunque in aumento sull’applicazione delle tariffe dei premi (artt. 19 ss. d.m. 18 giugno 1988) della non contestata verificazione dell’infortunio del dipendente di M.P., per il recupero comunque non integrale di voci di danno (biologico e morale, di esclusiva competenza del lavoratore danneggiato) non risarcibili dal terzo responsabile all’Inail, con la conseguente erroneità della condanna alla restituzione della differenza premi per gli anni 1998 e 1999 tra il tasso di premio del 173/000 applicato in aumento e l’asseritamente dovuto del 142/000.
I primi due motivi, rispettivamente relativi a motivazione carente, in ordine all’incidenza dell’ipoacusia sulla capacità lavorativa generica del dipendente di M.P. infortunato e contraddittoria nell’avere ravvisato mala gestio dell’Istituto nell’accettazione di una transazione troppo esigua (il primo) ed a violazione e falsa applicazione degli artt. 10, sesto e settimo comma, 11, primo e secondo comma d.p.r. 1124/1965, 1916 c.c. e 13 d.lg. 38/2000, per impossibilità dell’Inail, nel regime previgente al d.lg. 38/2000, di surrogazione nei diritti dell’assicurato al risarcimento del danno biologico (il secondo), possono essere congiuntamente esaminati per stretta connessione.
Essi sono fondati.
Ed infatti, occorre premettere che, sulla base della normativa applicabile ratione temporis alla controversia (in particolare artt. 10, sesto e settimo comma, 11, primo e secondo comma d.p.r. 1124/1965, 1916 c.c.), non ancora vigente l’art. 13 d.lg. 38/2000 (che, corrispondendo ai pressanti inviti al legislatore indirizzati in particolare da Corte cosi. n. 87/1991 e n. 356/1991, ha riconosciuto l’indennizzabilità del danno biologico, specificamente definito a detto scopo, per gli infortuni verificatisi o denunciati dopo la sua entrata in vigore: Cass. 5 maggio 2011, n. 9956), il sistema di assicurazione obbligatoria della disciplina antinfortunistica riguardava unicamente il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche il danno alla salute o biologico e il danno morale subiti dal lavoratore (Cass. 21 dicembre 2010, n. 25860, con particolare riferimento all’ambito di copertura di un contratto di assicurazione privata, salva diversa manifestazione di volontà delle parti intesa ad estendere il rischio coperto dalla polizza anche ai predetti danni).
Sicché, la valutazione di mala gestio dell’Inail nell’esercizio dell’azione di regresso (per accettazione di importo a titolo transattivo asseritamente sproporzionato) deve essere operata sulla base del danno indennizzabile e non già di quello anche biologico: posto che essa può essere accolta solo entro i limiti della somma liquidata in sede civile a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, previo accertamento dell’esistenza e dell’entità di tali danni, in base alle norme del codice civile, non anche delle somme liquidate al danneggiato a titolo di risarcimento dei danni morali e dei danni biologici, in virtù della giurisprudenza della Corte costituzionale di cui alle sentenze n. 319 del 1989, n. 356 del 1991 e n. 485 del 1991 (Cass. 10 gennaio 2008, n. 255). E ciò in quanto l’indennizzo a carico dell’Inail previsto in caso di infortunio sul lavoro si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all’interpretazione della Corte costituzionale contenuta nelle sentenze citate, non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un “danno biologico previdenziale patrimoniale”: con la conseguenza dell’esclusione della copertura di parte del danno biologico dalla rendita corrisposta dall’Inail per la riduzione della capacità di lavoro generica, giacché le indennità erogate sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico – fisica ha sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli ambiti diversi da quelli riconducibili all’attitudine al lavoro, benché in tali ambiti resti compresa la stessa capacità di lavoro, ma in relazione a considerazioni ed effetti assolutamente differenti (Cass. 30 luglio 2003, n. 11704).
Né l’Inail ha azione diretta di regresso, ai sensi degli artt. 10 ed 11 d.p.r. 1124/1965, né può surrogarsi, a norma dell’art. 1916 c.c., nei diritti dell’assicurato al risarcimento del danno alla persona, senza che vi sia possibilità di scindere, all’intemo di questo, le varie componenti ed i relativi risarcimenti, in quanto la copertura assicurativa prevista dall’attuale sistema di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, pur non avendo ad oggetto il danno patrimoniale in senso stretto, non è, peraltro, riferibile né al danno biologico né a quello morale, essendo le indennità previste dal citato d.p.r. collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull’attitudine al lavoro dell’assicurato e non assumendo alcun rilievo gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione stessa comporta con riferimento agli altri ambiti ed alle altre modalità di espressione della personalità del danneggiato nella vita di relazione, tra cui la stessa capacità di lavoro generico (Cass. 29 settembre 2005, n. 19150).
E ciò nasce dalla disarmonia fra i criteri di risarcimento del danno da inabilità personale stabiliti dal codice civile e quelli previsti dalla legislazione previdenziale in materia infortunistica. Le indennità e le rendite previdenziali vengono erogate sulla base di parametri commisurati alla percentuale di inabilità permanente e all’entità della retribuzione, che prescindono dalla prova che l’invalidità comporti effettivamente una perdita patrimoniale o di reddito. Esse prendono in considerazione la mera inabilità lavorativa generica.
Sul piano del diritto civile, invece, l’incidenza patrimoniale del sinistro viene risarcita solo con riguardo alla diminuzione della capacità lavorativa specifica, previa dimostrazione delle concrete perdite economiche che l’infortunato abbia subito, o che verrà inevitabilmente a subire in futuro, per effetto delle lesioni, mentre gli oneri anche patrimoniali inerenti all’incapacità lavorativa generica vanno a costituire una voce indifferenziata della somma complessiva liquidata come danno biologico, sulla base di un giudizio che prescinde dal concreto accertamento che detta invalidità abbia comportato perdite patrimoniali.
Ora, la non perfetta sovrapposizione sistematica fra i criteri di liquidazione dell’indennizzo previsti dalle assicurazioni sociali e quelli stabiliti dal codice civile in tema di risarcimento dei danni non consente di forzare un sistema per adeguarlo all’altro, non potendosi in particolare scindere, nell’ambito della somma liquidata in risarcimento del danno alla persona, le varie componenti ed i relativi risarcimenti, in quanto la copertura assicurativa prevista dall’attuale sistema di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro spetta a prescindere dalla sussistenza o meno di un’effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell’assicurato, e non può avere per oggetto ne’ il danno biologico né il danno morale, in virtù della citata giurisprudenza della Corte costituzionale (Cass. 19 febbraio 2008, n. 4237, con ampio richiamo di precedenti conformi in motivazione).
Ebbene, nonostante la loro corretta enunciazione (dal terzo capo verso a fine di pg. 5 della sentenza), la Corte territoriale non ha tuttavia fatto buon governo dei principi di diritto richiamati, consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
Ed infatti, nella valutazione della suddetta mala gestio imputata all’Inail, essa ha incluso (come si evince dalla lettura degli ultimi due alinea di pg. 7 e dei primi cinque di pg. 8 della sentenza) anche il “danno civilistico accertato dal C.t.u. del 24%’’, espressamente accertato dal medesimo alla stregua di danno biologico quale residuo di postumi permanenti rappresentati da ipoacusia bilaterale e da modesta limitazione funzionale della spalla destra (come riportato al p.to c di pg. 7 della sentenza): la prima presuntivamente ritenuta influente sulla “attitudine lavorativa generica” del dipendente di M.P., addirittura per interrogazione retorica (“ma un rilevante danno acustico come può non incidere sull’attività di muratore svolta dal lavoratore infortunato e non rendere più usurante la stessa, tenuto conto dell’esposizione professionale a continue fonti di rumore?”) e neppure oggetto della prestazione indennitaria di costituzione di una rendita all’infortunato sul 19% di invalidità permanente alla capacità lavorativa generica, riferita ad “apprezzabile sindrome psiconevrotica da trauma (13%); difetto antalgico dell’abduzione e retropulsione dell’arto sup. dx. (7%) ” (come da estratto di pg. 9 della relazione di C.t.u. riportato al primo capoverso di pg. 9 del ricorso).
Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l’esame del terzo motivo (insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’incidenza comunque in aumento sull’applicazione delle tariffe dei premi, a sensi degli arti. 19 ss. d.m. 18 giugno 1988, dell’incontestata verificazione dell’infortunio) discende allora coerente, in accoglimento dei primi due motivi congiuntamente scrutinati, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, per un nuovo accertamento in fatto alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, sulla base del seguente principio di diritto: “Nella valutazione di mala gestio dell’Inail nell’azione diretta di regresso, ai sensi degli arti. 10 ed 11 dp.r. 1124/1965, ovvero nella surrogazione, a norma dell’art. 1916 c.c., nei diritti dell’assicurato al risarcimento del danno alla persona, occorre, nel sistema di assicurazione obbligatoria della disciplina antinfortunistica anteriore al d.lg. 38/2000, fare riferimento esclusivamente al danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche al danno biologico o morale subiti dal lavoratore; neppure potendosi, nell’ambito della somma liquidata come risarcimento del danno alla persona e tanto meno in via presuntiva, scindere le varie componenti ed i relativi risarcimenti, in quanto la copertura assicurativa prevista dal sistema di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro (all’epoca vigente) spetta a prescindere dalla sussistenza o meno di un’effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell’assicurato”.

P.Q.M.

La Corte
accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015

Lascia un commento