Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 ottobre 2015, n. 20416

Riconoscimento del diritto alla rendita per malattia professionale non tabellata: necessità di concreta e specifica dimostrazione.


Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ESPOSITO LUCIA
Data pubblicazione: 12/10/2015

La presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell’esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene (anch’esse tabellate) e non può esplicare la sua efficacia nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione – quanto meno in via di probabilità – in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell’evento morboso.

Fatto

1. La Corte d’Appello di Messina, con sentenza dell’8/10/2009 – 18/11/2009, confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da R.A. nei confronti dell’Inail, diretta al riconoscimento del diritto alla rendita per malattia professionale. Osservavano i giudici di merito che, trattandosi di patologia non tabellata (congiuntivite cronica o blefarite cronica), il ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova delle mansioni cui era addetto, delle condizioni in cui operava, del periodo in cui era stata prestata l’attività e della incidenza della medesima sulla malattia.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il R.A., affidato a due motivi. Resiste l’Inail con controricorso. Il ricorrente ha presentato memorie.

Diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto di cui all’360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione al TU DPR 30/6/1965 n. 1124 art. 3, nonché del d.lgs. n. 38/2000 art. 10 c. 4 e all’art. 2697 c.c. per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio. Osserva che non era contestato che egli, dipendente della raffineria di Milazzo, era stato negli ultimi dieci anni addetto alle mansioni di “squadrista-consolista” in ambiente buio e polveroso, in condizioni microclimatiche sfavorevoli. Rileva che, per costante giurisprudenza di legittimità, l’onere della prova del nesso causale, rimesso al lavoratore, non può essere affidato alle opinioni soggettive dei testi ma ha una preminente componente valutativa che richiede l’intervento di un ctu.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto – art. 360 c.p.c. n. 3 – in relazione all’art. 112 c.p.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c. n. 5. Osserva che le mansioni svolte dal ricorrente non sono state oggetto di specifica contestazione e che la motivazione della sentenza impugnata non aveva tenuto conto che il perito d’ufficio nella relazione aveva dato atto del nesso eziologico tra la malattia riscontrata e il tipo di lavorazione eseguita.
3. Le censure esposte vanno trattate congiuntamente, stante l’intima connessione, poiché attengono entrambe al tema dell’onere della prova gravante sul lavoratore che agisce per il riconoscimento del diritto alla rendita per malattia professionale non tabellata. Sul tema la giurisprudenza di legittimità, con indirizzo consolidato (Sez. L, Sentenza n. 12997 del 14/07/2004, Rv. 574537, Sez. L, Sentenza n. 17053 del 19/08/2005, Rv. 583099) ha avuto modo di affermare che “in caso di malattia non tabellata perché muitifattoriale …, non direttamente collegabile con una particolare attività patogena del soggetto, occorre che colui che ne chiede il riconoscimento fornisca la prova delle specifiche caratteristiche e delle concrete modalità di svolgimento dell’attività deputatagli, della malattia di cui è portatore, nonché del nesso eziologico, dandone completa dimostrazione in eventuale opposizione con le contrastanti confutazioni della controparte, trovando integrale applicazione il principio dell’onere della prova, mentre tale regime probatorio è attenuato nell’ipotesi di richiesta di riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio, perché in questo caso il lavoratore è tenuto solo ad osservare l’onere di allegazione, mentre la p.a. resistente deve tenere un atteggiamento, anche processuale, informato ai principi di collaborazione e cooperazione”.
2. La Corte territoriale, coerentemente con il principio esposto, ha dato atto che l’onere in questione non è stato assolto. Né l’affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale il ricorrente non avrebbe “neppure allegato quali fossero le condizioni nelle quali si svolgeva l’attività lavorativa”, che evidenzia una carenza a monte dell’attività propriamente probatoria, risulta oggetto di specifica censura. Ne consegue l’irrilevanza del profilo di doglianza che attiene all’operatività nella specie del principio di non contestazione, il quale richiede l’allegazione di specifiche circostanze di fatto attinenti alle concrete modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, non individuabili, come pretenderebbe il ricorrente, nel semplice richiamo alle mansioni svolte in coerenza con il profilo professionale di appartenenza ( cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21847 del 15/10/2014, Rv. 632499: “In ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell’accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l’onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l’altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse).
3. Quanto, infine, ai rilievi attinenti alla prova del nesso causale, ferme restando le argomentazioni sopra esposte, gli stessi risultano altresì infondati in forza del principio giurisprudenziale secondo il quale “La presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell’esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene (anch’esse tabellate) e non può esplicare la sua efficacia nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione – quanto meno in via di probabilità – in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell’evento morboso”.
4. Per tutte le ragioni indicate il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 100,00 per esborsi e in € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 14/5/2015

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