Diritto a rendita per malattia professionale non tabellata.
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ESPOSITO LUCIA
Data pubblicazione: 12/10/2015
Fatto
1. Con sentenza del 25/2/2010 la Corte d’Appello dell’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da F.E. nei confronti di INAIL, diretta al riconoscimento nei suoi confronti del diritto a una rendita per malattia professionale non tabellata. I giudici d’appello fondavano la decisione su una consulenza tecnica disposta nel giudizio di gravame, con la quale era stata escluso che le patologie denunciate fossero correlabili all’attività lavorativa di infermiera svolta dalla ricorrente.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la F.E., fondato su tre motivi. L’INAIL ha resistito con controricorso.
Diritto
1. La ricorrente si duole sotto molteplici profili dei vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia e di violazione o falsa applicazione di norme di diritto: a) per non avere la Corte territoriale esplicitato le ragioni del rinnovo della CTU e per non avere considerato il palese contrasto della nuova consulenza con quella disposta in primo grado; b) per non avere la medesima valutato le risultanze emerse in sede di revisione INAIL, che avevano portato al riconoscimento di una rendita nella misura dell’11%; c) per non avere lo stesso giudice considerato che la valutazione assunta come corretta dal CTU mostrava dubbi e incertezze, ipotizzandosi nella stessa relazione di consulenza la possibilità di ricondurre all’attività lavorativa le malattie denunciate e rilevate in perizia.
2. I motivi, da trattare unitariamente in ragione dell’intima connessione, sono infondati alla luce del principio in forza del quale “Nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione” (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1652 del 03/02/2012, Rv. 620903).
Ed invero mancano, nell’ambito delle argomentazioni difensive del ricorrente, allegazioni specifiche nei termini indicati dalla giurisprudenza citata.
2. Alle svolte argomentazioni si aggiunga che, secondo un criterio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte al quale il collegio presta adesione “Nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell’assicurato, le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice di secondo grado con riguardo alla valutazione di situazioni di incapacità al lavoro non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente d’ufficio di primo grado, poiché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello, bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; in ogni caso la contestazione di una decisione basata sul riferimento ad una delle consulenze tecniche acquisite – sorretta da una analitica disamina – non può essere adeguatamente censurata, In sede di legittimità, se le relative censure non contengono la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali, atteso che, in mancanza di detti elementi, le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, quindi, sono inammissibili in sede di legittimità” (Sez. L, Sentenza n. 15796 del 13/08/2004 (Rv. 575579).
3. Per tutte le ragioni indicate il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 100,00 per esborsi e in € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 14/5/2015