Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 giugno 2016, n. 12088

“… E’ noto come, in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la notizia dell’infortunio, dalla quale decorre il termine di due giorni previsto dall’art. 53, primo comma d.p.r. 1124/1965, si riferisca ad eventi produttivi, secondo l’accertamento medico, di un’inabilità superiore ai tre giorni, senza che possa avere rilievo né la sola conoscenza del fatto lesivo, né quella di un’inabilità contenuta nel predetto termine (Cass. 20 novembre 2006, n. 24596), posto che l’obbligo del datore di lavoro di dare notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza di ogni infortunio che abbia per conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più di tre giorni decorre dalla data di ricezione effettiva del certificato medico, senza che si possa addebitare al datore di lavoro di non averlo acquisito con la massima prontezza e diligenza, atteso che la norma ha inteso indicare un criterio oggettivo per determinare l’obbligo di denuncia e non ha imposto ulteriori obblighi e condizioni (Cass. 23 giugno 2004, n. 11688).
Poiché nel caso di specie difetta l’allegazione di alcun certificato medico, né di prova di obiettivo riscontro dell’infortunio, quale comunicazione immediata dal lavoratore, ai sensi dell’art. 52 d.p.r. 1124/65, deve essere esclusa l’insorgenza dell’obbligo del datore di lavoro di denuncia ai sensi dell’art. 53 d.p.r. cit. e di ogni sua conseguente responsabilità: con irrilevanza di ogni altra questione prospettata.”


Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI
Data pubblicazione: 13/06/2016

Fatto

La Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che, in accoglimento della domanda di A.N., dipendente con mansioni di tubista di O. s.p.a, quindi divenuta B. Costruzioni Ferroviarie s.p.a. ed oggi A. B. s.p.a. nei confronti della datrice, l’aveva condannata, in conseguenza dei due infortuni sul lavoro del 12 giugno 1995 e del 12 gennaio 1996 non denunciati, al risarcimento del danno da mancata erogazione di prestazioni assicurative commisurato ad un’invalidità permanente agli arti superiori pari al 16% ed aveva invece rigettato la sua domanda di costituzione di rendita vitalizia nei confronti dell’Inail, rimasto contumace), con sentenza 4 maggio 2010, respingeva la domanda del lavoratore anche nei confronti della società datrice, riliquidando il compenso del C.t.u. dott. A. nominato in primo grado, con la compensazione delle spese dei due gradi tra le parti e lasciando quelle di C.t.u. a carico dell’anticipatario.
Preliminarmente disattesa l’eccezione datoriale di nullità degli atti di primo grado successivi alla sostituzione con altro del primo magistrato titolare della causa, trasferito, per mancata comunicazione della nuova assegnazione e delle udienze successive, per la verbalizzata presenza ad esse del difensore della società, la Corte territoriale escludeva nel merito la responsabilità della stessa per omessa denuncia degli infortuni all’Inail, a norma dell’art. 53 d.p.r. 1124/1965 (esclusiva responsabilità fatta valere quale causa petendi della domanda), in assenza di loro immediata denuncia dal lavoratore alla datrice, ai sensi dell’art. 52 d.p.r. cit., con certificazione sanitaria, non presentata non essendosi egli mai assentato dal lavoro; essa riliquidava infine il compenso del C.t.u. suindicato, per l’evidenza di un errore materiale.
Con atto notificato il 6 settembre 2010, A.N. ricorre per cassazione con sei motivi, cui resistono A. B. s.p.a. e Inail con controricorso.

Diritto

Con i primi quattro motivi, il ricorrente deduce violazione degli artt. 52, 53, 54, 92, 241 e 244 d.p.r. 1124/1965, anche in riferimento agli artt. 2087 c.c., 3, 4, 12 primo comma lett. a), 15, 16 e 17 d.lg. 626/1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., in ordine ai rispettivi illustrati obblighi di soccorso e di denuncia di infortunio propri e del datore di lavoro: in particolare specificando l’onere datoriale, e non del lavoratore, di allegazione alla denuncia del certificato medico.
Con il quinto, il ricorrente deduce violazione degli arti. 2087 c.c., 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale sulla domanda, che essa aveva il potere di riqualificare senza vizi di ultrapetizione né introduzione di elementi di fatto non dedotti dalla parte, di condanna della società datrice al risarcimento del danno biologico conseguito ai due infortuni sul lavoro riportati, a titolo di responsabilità contrattuale da inadempimento del suo obbligo di protezione dell’integrità psico – fisica del lavoratore o comunque aquiliana, ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Con il sesto, la ricorrente deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per inversione dell’onere della prova, posto a carico del lavoratore, a fronte della responsabilità datoriale degli obblighi protettivi previsti dall’art. 2087 c.c., anche in riferimento alla mancata organizzazione sanitaria interna allo stabilimento, a norma degli artt. 3, 4, 12 primo comma lett. a), 15, 16 e 17 d.lg. 626/1994.
In via preliminare, deve essere disattesa, per infondatezza, la preliminare eccezione di A. B. s.p.a. di inammissibilità per tardività del ricorso (notificato il 6 settembre 2010) avverso la sentenza della Corte d’appello calabrese, in quanto asseritamente notificata in data 8 giugno 2010.
Dalla verifica della sua produzione in copia autentica con la relata di notificazione, a pena di improcedibilità ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2 c.p.c. (Cass. 15 ottobre 2015, n. 20883; Cass. 31 marzo 2014, n. 7469), essa risulta notificata in data 7 luglio 2010 e pertanto il ricorso per cassazione è stato proposto nel rispetto del termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 325, secondo comma c.p.c.
I primi quattro motivi, relativi a violazione degli artt. 52, 53, 54, 92, 241 e 244 d.p.r. 1124/1965, anche in riferimento agli artt. 2087 c.c., 3, 4, 12 primo comma lett. a), 15, 16 e 17 d.lg. 626/1994, in ordine agli obblighi di soccorso e di denuncia di infortunio del datore di lavoro, con specificazione del suo obbligo di allegazione alla denuncia del certificato medico, sono congiuntamente esaminabili, così come congiuntamente sono stati formulati per la loro stretta connessione.
Essi sono tutti infondati.
Ed infatti è noto come, in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la notizia dell’infortunio, dalla quale decorre il termine di due giorni previsto dall’art. 53, primo comma d.p.r. 1124/1965, si riferisca ad eventi produttivi, secondo l’accertamento medico, di un’inabilità superiore ai tre giorni, senza che possa avere rilievo né la sola conoscenza del fatto lesivo, né quella di un’inabilità contenuta nel predetto termine (Cass. 20 novembre 2006, n. 24596), posto che l’obbligo del datore di lavoro di dare notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza di ogni infortunio che abbia per conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più di tre giorni decorre dalla data di ricezione effettiva del certificato medico, senza che si possa addebitare al datore di lavoro di non averlo acquisito con la massima prontezza e diligenza, atteso che la norma ha inteso indicare un criterio oggettivo per determinare l’obbligo di denuncia e non ha imposto ulteriori obblighi e condizioni (Cass. 23 giugno 2004, n. 11688).
Poiché nel caso di specie difetta l’allegazione di alcun certificato medico, né di prova di obiettivo riscontro dell’infortunio, quale comunicazione immediata dal lavoratore, ai sensi dell’art. 52 d.p.r. 1124/65, deve essere esclusa l’insorgenza dell’obbligo del datore di lavoro di denuncia ai sensi dell’art. 53 d.p.r. cit. e di ogni sua conseguente responsabilità: con irrilevanza di ogni altra questione prospettata.
Il quinto motivo, relativo a violazione degli artt. 2087 c.c., 99 e 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale sulla domanda risarcitoria, che essa aveva il potere di riqualificare senza vizi di ultrapetizione né introduzione di elementi di fatto non dedotti dalla parte, è pure infondato.
Previa verifica diretta del ricorso introduttivo ai fini dell’accertamento dell’effettiva domanda proposta dal lavoratore in ordine alla quale lamenta l’omessa pronuncia, per la natura di errar in procedendo della denuncia, essendo la Corte di cassazione anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21397; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 17 giugno 2009, n. 14098), deve essere esclusa, come esattamente ritenuto dalla Corte territoriale (per le ragioni espresse al primo capoverso di pg. 4 della sentenza), la formulazione di una domanda del lavoratore infortunato di responsabilità contrattuale della società datrice, ai sensi dell’art. 2087 c.c. Ciò si evince agevolmente dalla concisa esposizione in fatto (di deduzione dell’infortunio occorsogli sul luogo di lavoro e nell’ordinario svolgimento delle proprie mansioni di tubista; di rapida diagnosi di strappo muscolare del responsabile dell’infermeria dello stabilimento, senza neppure apertura di una posizione di infortunio sul lavoro; di successivo accertamento di un’invalidità permanente coperta da rendita dall’assicurazione sociale), coerentemente riscontrata dalla deduzione probatoria offerta, integrante una causa petendi a fondamento di un petitum di costituzione di rendita vitalizia nei confronti dell’Inail e di responsabilità per omessa denuncia degli infortuni all’Inail, a norma dell’art. 53 d.p.r. 1124/1965 nei confronti della datrice B. Costruzioni Ferroviarie s.p.a., già O. s.p.a., senza alcun altro profilo di responsabilità dedotto nei confronti di quest’ultima.
Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l’esame del sesto motivo (violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di contraddittoria motivazione, per inversione dell’onere della prova, posto a carico del lavoratore, a fronte della responsabilità datoriale degli obblighi protettivi della sua integrità psico – fisica nell’ambiente di lavoro), discende allora coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, in favore della società; senza alcun provvedimento nei confronti invece dell’Iinail, destinatario di una mera denuntiatio litis, ma non di domanda (peraltro di ciò consapevole, avendo concluso “per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nella parte in cui debba intendersi proposto contro l’Inail”).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna A.N. alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge; nulla sulle spese nei confronti dell’Inail.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2016

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