Infarto dopo la pausa pranzo e rendita. Ricorso rigettato.
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: RIVERSO ROBERTO
Data pubblicazione: 13/05/2016
Fatto
Con la sentenza n. 9365/2011, pubblicata il 22.11.2011, la Corte d’Appello di Caltanissetta rigettava l’appello proposto da C.C. contro la sentenza del Tribunale di Enna che aveva respinto la sua domanda volta ad accertare la natura professionale dell’infortunio da egli patito il 7.3.2004 allorché veniva colto da malore (evento infartuale) e ricoverato in ospedale; ed ottenere conseguentemente la condanna dell’INAIL alla costituzione di una rendita in misura da accertarsi, previa ctu o in separato giudizio.
In particolare la Corte d’Appello, previo espletamento di ulteriore ctu, già esperita in primo grado, respingeva l’appello fondandosi sulle approfondite motivazioni della relazione peritale, sulla confutazione dei rilievi critici formulati nei riguardi della medesima e sull’analisi della cartella clinica. Atti dai quali emergeva anzitutto che il malore era avvenuto a riposo, alle ore 12, dopo il pranzo e non nel corso dell’attività lavorativa, come dichiarato dallo stesso ricorrente e confermato dai risultati dall’analisi degli enzimi. Risultava inoltre che da due giorni il lavoratore avesse avvertito episodi di dolore al braccio sn senza alcun riferimento a malori verificatosi nel corso del lavoro; che il ricorrente avesse una situazione coronarica estremamente critica e che la causa dell’infarto era da ricercarsi nell’incapacità del cuore di rispondere con maggiore irrorazione a valle della stenosi al momento della digestione. In conclusione, secondo la Corte territoriale, non sussistevano elementi validi per sostenere che l’attività lavorativa avesse influito sull’evento infartuale.
Avverso detta sentenza C.C. propone ricorso affidando le proprie censure a due motivi con i quali chiede la cassazione della sentenza. Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c.
Resiste INAIL con controricorso.
Diritto
1. – Con il primo motivo il ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 41 c.p,, 2697 c.c., 2 dpr 1124/65 essendo stati violati i principi in ordine all’accertamento del nesso causale o concausale.
In realtà, a prescindere dalla sua formale intestazione, il motivo pretende esclusivamente un riesame di merito – non ammesso in questa sede – in ordine al momento in cui sarebbe iniziato il malore che ha condotto all’episodio infartuale; a tal fine operando la rievocazione di alcune testimonianze, peraltro richiamate in modo parziale e senza rispetto del principio di specificità. Pertanto, sotto le mentite spoglie della violazione di legge, la parte ricorrente domanda alla Corte un riesame del materiale istruttorio a cui ha già provveduto, nell’esercizio dei poteri riservatigli dall’ordinamento, il giudice del merito, e rispetto al quale il controllo potrebbe vertere sulla logicità e sulla completezza ma mai sulla correttezza degli esiti. In questo senso si veda Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006: “In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità” (in termini anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004 ed altre).
2. Il secondo motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in fatto circa punti decisivi della controversia ( art. 360 n. 5 c.p.c.) per aver la sentenza recepito la ctu senza alcuna disamina logica o giuridica dei rilievi critici di parte.
Si tratta di motivo inammissibile sia perché non rispetta il principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione, a tal fine essendo necessario indicare e richiamare nel ricorso e produrre nel giudizio tutti i documenti ai quali si è fatto riferimento nel motivo. Sia perché si condensa nell’espressione di un mero dissenso diagnostico volto a contestare nel merito la decisione impugnata, attraverso una generalizzata censura formulata in base ad una propria valutazione di parte. Si tratta pertanto di motivo da ritenersi inammissibile siccome, per consolidato orientamento di questa Corte, la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio può essere contestata in Cassazione soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce appunto un mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice.
3. – Il ricorso deve essere quindi rigettato ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità che liquida in € 100 per esborsi ed in € 3000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.