Cassazione Civile, Sez. Lav., 14 giugno 2016, n. 12198

Infortunio sul lavoro. Responsabilità del direttore dello stabilimento e azione di regresso.


Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO
Data pubblicazione: 14/06/2016

Fatto

Con sentenza n. 427/2006 il Tribunale di Rieti, pronunciando sui ricorsi proposti dall’INAIL e da M.V., accoglieva la domanda di regresso presentata dall’Istituto in relazione alle somme versate ad A.A. in seguito all’Infortunio dallo stesso subito il 13 maggio 1993, mentre era alle dipendenze della Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A. nello stabilimento di Borgorose, di cui il M.V. era direttore, e conseguentemente condannava quest’ultimo e la società, in solido fra loro, al pagamento della somma di euro 140.090,48 oltre accessori; dichiarava, inoltre, il difetto di legittimazione attiva del M.V. nei confronti della compagnia Axa Assicurazioni S.p.A., con la quale la Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A. aveva stipulato una polizza per la responsabilità civile verso terzi e i prestatori di lavoro; il Tribunale, infine, in accoglimento della relativa domanda, peraltro proposta anche nei confronti della Liquidazione Concordatizia dei beni ceduti ai creditori concorrenti della società, condannava la Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A., in liquidazione e in concordato preventivo, a tenere manlevato il M.V. dalle somme che l’Istituto assicuratore gli avesse richiesto in virtù dell’avvenuto accoglimento dell’azione di regresso.

Avverso tale sentenza proponevano appello principale il M.V. e la Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A.; nei giudizi, poi riuniti, si costituivano l’INAIL e la Liquidazione nonché la compagnia assicuratrice, la quale svolgeva appello incidentale.
Con sentenza non definitiva n. 1943/09 la Corte di appello di Roma respingeva l’appello proposto dalla Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A., disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.
Con successiva sentenza n. 4667/2011, depositata il 21 settembre 2011, qui oggetto di impugnazione, la Corte di appello rigettava anche l’appello del M.V., così assorbito l’appello incidentale di Axa Assicurazioni.
A sostegno della propria decisione la Corte rilevava: quanto alla responsabilità del M.V., che la stessa era stata accertata con sentenza penale definitiva della Corte di appello di Roma e, d’altra parte, era rimasto accertato che al tempo del fatto il M.V. rivestisse la qualità di responsabile della sicurezza, circostanza sulla quale peraltro l’appellante non aveva formulato osservazioni specifiche in sede di gravame; quanto alla sussistenza di un concorso di colpa della vittima dell’infortunio e alla corresponsabilità dei responsabili della società, richiamava la propria sentenza non definitiva, la quale aveva confermato la statuizione di accoglimento della domanda di manleva del M.V.; quanto alla mancata prova, da parte dell’INAIL, del pagamento delle somme, di cui era stata richiesta la estinzione con la domanda di regresso, e comunque al difetto di prova del quantum, la Corte di appello osservava che l’Istituto aveva debitamente comprovato gli esborsi effettuati, con l’attestato di credito del 12/10/2005 e con la produzione delle fatture di rimborso delle spese sostenute dall’infortunato, senza che peraltro venissero formulati dall’appellante specifici rilievi circa eventuali inesattezze dei conteggio; quanto al mancato accertamento del danno civile risarcibile, quale limite quantitativo dell’azione di regresso, e alla conseguente mancata determinazione delle somme eventualmente dovute, la Corte, condividendo i rilievi sul punto del giudice di primo grado, osservava come il M.V. avesse svolto, in sede di comparsa di costituzione, deduzioni generiche e confuse e come, in ogni caso, dovesse precisarsi che l’azione di regresso riconosciuta all’INAIL in ordine all’infortunio subito da un lavoratore assicurato, per il quale l’Istituto avesse corrisposto le prestazioni di legge, ha natura diretta ed autonoma, derivando da un rapporto assicurativo, senza che sia possibile alcuna riduzione o riproporzionamento della somma dovuta a titolo di rivalsa; quanto infine al difetto di legittimazione attiva nei confronti della compagnia di assicurazioni Axa, la questione era ritenuta dalla Corte di appello superata in virtù della riconosciuta fondatezza dell’azione di manleva proposta dal M.V. nel confronti della Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A., con la conseguenza che, essendo esclusivamente la società il soggetto assicurato, doveva eventualmente essere quest’ultima ad agire nei confronti della compagnia assicuratrice.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il M.V., affidandosi a nove motivi.
L’INAIL, la Liquidazione dei beni ceduti ai creditori concorrenti del Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A. in liquidazione e in concordato preventivo e la Axa Assicurazioni S.p.A. hanno resistito con controricorso.
Con il medesimo atto Axa Assicurazioni ha proposto ricorso incidentale subordinato, a cui ha resistito a sua volta il M.V. con controricorso.
Il ricorrente, l’INAIL e la Liquidazione Concordatizia hanno depositato memorie.

Diritto

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità assoluta della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 e 359 c.p.c., sul rilievo che la motivazione adottata dalla Corte territoriale, anche mediante meri richiami alla sentenza penale di condanna come fatto puramente storico e richiami formulati in modo apodittico alle motivazioni delle sentenze di primo grado e non definitiva di appello, non aveva dato conto di avere effettivamente e nuovamente rivalutato la controversia alla stregua delle plurime ragioni di gravame sottoposte al suo vaglio.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli arti. 414 n. 5 e 420 c.p.c,, in combinato disposto con gli arti. 153 e 154 c.p.c., nonché erroneità della motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5, sul rilievo della tardività delle produzioni a cui l’INAIL aveva affidato la prova dell’avvenuto pagamento delle somme oggetto dell’azione di regresso e comunque della mancata dimostrazione, da parte dell’Istituto assicuratore, sul quale ricadeva il relativo onere, dell’effettivo pagamento di esse, non risultando idonei a tal fine i documenti (tardivamente) prodotti.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., dell’art. 20 del decreto legislativo n. 81/2008, dell’art. 5 del decreto legislativo n. 626/1994 nonché dell’art. 6 d.P.R. n. 547/1955, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., osservando, da un lato, come l’accertamento dei fatti materiali ad opera della sentenza penale definitiva non escludesse la necessità di operare un’autonoma valutazione di essi in sede civile e, dall’altro, in tale ottica, come la sentenza impugnata avesse trascurato di considerare la qualità di caporeparto rivestita dalla vittima dell’infortunio, la sua lunga esperienza, la circostanza che il luogo di lavoro disponesse di tutti gli strumenti e i mezzi di protezione individuali, comprese le cinture di sicurezza, e che il M.V., il quale aveva comunque raccomandato di eseguire il lavoro utilizzando ponteggi e trabattelli (in luogo della lunga scala a pioli poi effettivamente adoperata dal lavoratore infortunato), era onerato di una molteplicità di compiti, in quanto coordinatore tecnico di tutte le quattordici dipendenze della società dislocate nell’intero territorio nazionale: con la conseguenza che nella specie si era di fronte ad una condotta abnorme del lavoratore, tale da interrompere qualsiasi nesso di causalità con le funzioni del dirigente.
1.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia ex art. 112 c.p.c., avendo la Corte omesso di esaminare l’eccezione di tardività della produzione dell’INAIL e di difformità rispetto all’ordine del primo giudice, già sollevata nel primo grado di giudizio e reiterata espressamente con l’atto di appello.
1.5. Con il quinto motivo viene denunciata carenza di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla prova della debenza e dell’ammontare del rimborso e al fatto che il M.V. non avrebbe contestato di essere il dirigente responsabile della sicurezza.
1.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per difetto di motivazione sul motivo di appello concernente il danno morale subito a causa del mancato azionamento della polizza assicurativa da parte della società, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., e/o per omessa pronuncia sul punto, in violazione dell’art 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., riguardando il motivo, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, non la domanda di manleva spiegata nei confronti della società ma il risarcimento dei danni morali conseguenti all’inerte condotta della stessa.
1.7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia (a) violazione e falsa applicazione delle disposizioni di legge in ordine al danno risarcibile e all’onere della prova ex art. 2697 c.c.; (b) violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.; (c) violazione delle disposizioni di legge in ordine all’incidenza del concorso di colpa del danneggiato in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché erroneità ed illogicità della motivazione con riguardo all’art. 360 n. 5 c.p.c.: il ricorrente lamenta in sostanza che la Corte di appello non abbia escluso dall’ammontare della pretesa restitutoria le somme dovute all’Infortunato a titolo di danno biologico e morale ed inoltre non l’abbia ridotto ulteriormente in ragione del concorso di colpa ascrivibile al lavoratore infortunato.
1.8. Con l’ottavo motivo viene denunciata l’erroneità della motivazione circa l’interpretazione della clausola “N” della polizza assicurativa, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., e/o la violazione di legge, laddove ritiene superata la questione per il riconoscimento della fondatezza dell’azione di manleva verso la società, in relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c.: non aveva la Corte tenuto presente che l’azione nei confronti di Axa era stata svolta ex art. 2900 c.c. in via surrogatoria, stante l’inerzia della società e della Liquidazione, ed inoltre, laddove aveva affermato che la questione era superata, essendo già stato riconosciuto al M.V. il diritto di manleva nei confronti della società, era incorsa in una statuizione contraddittoria e illogica, trascurando di trascurare la insolvibilità della società e quindi l’interesse del M.V. ad invocare la copertura assicurativa.
1.9. Con il nono motivo viene dedotto il vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia con violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) con riferimento all’estensione dell’obbligo di pagamento delle somme pretese dall’lNAIL alla Liquidazione: ciò che aveva formato oggetto di un espresso motivo di gravame, sul quale peraltro la Corte non aveva speso alcuna parola.
2. Sono fondati e devono essere accolti il sesto, il settimo e il nono motivo di ricorso.
2.1. Con riferimento al sesto e al nono motivo, si osserva che la Corte territoriale, così incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha totalmente omesso di pronunciare sulla sussistenza dei danni non patrimoniali che il ricorrente avrebbe riportato per effetto della condotta tenuta dall’azienda, e cioè sul motivo di cui alla lettera L) dell’appello principale (cfr. ricorso, pp. 27-28); e altresì totalmente omesso di pronunciare sull’estensione alla Liquidazione Concordatizia dell’obbligo di pagamento delle somme richieste dall’INAIL al M.V., e cioè sul motivo di cui alla lettera I) dell’appello principale (cfr. ricorso, p. 27).
2.2. Quanto al settimo motivo di ricorso, si deve in primo luogo ribadire il risalente, quanto consolidato, orientamento, secondo il quale, in tema di azione di rivalsa ex artt. 10 e 11 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, costituisce onere del datore di lavoro convenuto fornire la prova del fatto che le erogazioni assicurative, di cui l’INAIL chiede il rimborso, superino il risarcimento del danno conseguibile dal lavoratore infortunato e non già onere dell’Istituto fornire la prova che tale limite non è superato, atteso che quest’ultimo si pone non come fatto costitutivo del diritto di rivalsa dell’INAIL, bensì come fatto impeditivo del diritto azionato dall’ente e, in quanto tale, oggetto di prova a carico del datore di lavoro che lo eccepisca (Cass. 17 gennaio 1987, n. 389).
Ciò premesso, si osserva come la Corte territoriale, dichiarando di condividere, con l’aggiunta di qualche sommaria considerazione, il rilievo di genericità delle deduzioni svolte dal M.V., già formulato dal giudice di primo grado, ha reso una motivazione del tutto insufficiente su un punto decisivo della controversia, in particolare trascurando di valutare se l’appellante avesse o meno offerto un corredo di allegazioni e di prove idoneo a integrare l’assolvimento dell’onere di cui era gravato.
Nell’ambito di tale indagine, ove correttamente e necessariamente espletata, avrebbe dovuto la Corte di appello esaminare talune circostanze dedotte dal M.V., quali il fatto che il lavoratore infortunato, dopo un periodo di inabilità temporanea, era tornato al lavoro, nelle mansioni in precedenza svolte, e che successivamente, come dallo stesso dichiarato in sede di udienza penale, era stato collocato (al pari degli altri dipendenti) in CIGS, percependo i relativi emolumenti.
Vagliate tali circostanze, unitamente alle produzioni documentali suscettibili di offrirne effettivo riscontro, la Corte di appello avrebbe dovuto, quindi, stabilire se procedere ad una consulenza medico-legale (peraltro oggetto di richiesta sia da parte dell’Istituto che del M.V.), volta a determinare l’esistenza e la misura di un eventuale danno civile risarcibile, trattandosi di strumento conoscitivo essenziale nella specifica materia e non eludibile se non in presenza di carenze di allegazione e probatorie tali da affermarne il puro carattere esplorativo.
3. Gli altri motivi di ricorso devono essere respinti.
3.1. Il primo motivo è infondato.
Può, infatti, considerarsi nulla, per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., la sentenza che, diversamente dalla pronuncia impugnata, presenti una mancanza assoluta di motivi o una motivazione apparente e cioè tale da non consentire di individuare in alcun modo la ratio decidendi seguita.
D’altra parte, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è da ritenersi legittima, purché il giudice di appello, nel richiamare le argomentazioni del giudice di primo grado, esprima, sia pure sinteticamente, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, mentre è da ritenersi illegittima allorquando essa si limiti ad un recepimento acritico e puramente adesivo della motivazione di primo grado, non essendo in tal caso idonea ad assolvere alla funzione di revisio priorie instantiae che è propria della sentenza di appello (cfr., fra le altre, Cass. 10 gennaio 2003, n. 196).
3.2. Il secondo, il quarto ed il quinto motivo (nella parte in cui viene denunciata la carenza di motivazione con riferimento alla prova della debenza e dell’ammontare del rimborso richiesto dall’Istituto) possono essere esaminati congiuntamente, in quanto implicano l’esame delle medesime questioni o di questioni connesse.
Anch’essi non possono essere accolti.
E’ infatti consolidato l’orientamento, secondo il quale “in tema di prova della congruità dell’indennità corrisposta dall’INAIL al lavoratore, nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro, poiché l’Istituto svolge la sua azione attraverso atti emanati a conclusione di procedimenti amministrativi, tali atti, come attestati dal direttore della sede erogatrice, sono assistiti dalla presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l’atto in considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento; pertanto, in difetto di contestazioni specifiche, deve ritenersi che la liquidazione delle prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge, e che il credito relativo alle prestazioni erogate sia esattamente indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del direttore della sede” (Cass. 13 maggio 2010, n. 11617, conforme, da ultimo, Cass. 2 febbraio 2015, n. 1841).
Quanto alla tardività della produzione, da parte dell’INAIL, della documentazione relativa al proprio credito, si deve rilevare come la sentenza, pur facendo richiamo al secondo e al quinto motivo di gravame (lettere B ed E dell’atto di appello), ove tale questione è
sollevata, ne abbia, in realtà, ristretto l’esame ai soli temi del difetto di prova in ordine all’avvenuto pagamento e al quantum.
Peraltro le plurime censure svolte sul punto dal ricorrente, anche (con il quarto motivo) per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., devono essere disattese.
Ritiene, in proposito, questa Corte di aderire all’orientamento (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 11 novembre 2014, n. 23989), secondo il quale la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, infatti, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa o apparente, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta.
Ciò premesso in rito, si rileva che le produzioni, di cui si assume la tardività, sono state effettuate dall’INAIL a seguito di ordinanza del giudice di primo grado, che disponeva la integrazione delta documentazione già in atti, e si sono sostanziate, con l’aggiornamento del costo dell’Infortunio alla data dell’1/10/2005, in una mera precisazione del petitum, peraltro consentita anche in grado di appello, per un ammontare superiore a quello indicato con la domanda già posta, e senza necessità di apposito gravame, per effetto di rivalutazione della rendita imposta da un provvedimento sopravvenuto (cfr., fra le altre, Cass. 21 marzo 2003, n. 4193), e comunque da ritenersi consentita in tutti i casi in cui si tratti di allineare la domanda dell’Istituto al maggior debito maturato verso il lavoratore assistito.
Le ulteriori censure relative all’importo del credito risultano inammissibili, sia per quanto già osservato a proposito della motivazione per relationem adottata, sia perché espresse genericamente ed inammissibilmente attraverso il semplice rimando alle considerazioni svolte con l’atto di appello.
3.3. Il terzo e il quinto motivo (nella parte relativa alla responsabilità del M.V.) possono egualmente essere esaminati in via congiunta.
Le censure prospettate con tali motivi risultano inammissibili.
Come più volte ricordato da questa Corte, il vizio di violazione di legge richiede di essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che si assumano in contrasto con le norme che regolano la fattispecie e/o con l’interpretazione che delle stesse viene fornita dalla giurisprudenza di legittimità, e ciò anche, ove necessario, mediante il riferimento a quelle pronunce giudiziali che, in quanto oggetto di richiamo nel corpo della sentenza, vengano ad integrarne in tutto o in parte il percorso motivazionale: indicazione peraltro assente nel ricorso qui in esame, che tende palesemente, quanto inammissibilmente, ad ottenere da questa Corte di legittimità una nuova valutazione del fatto, riservata invece in via esclusiva al giudice del merito.
In particolare, pur avendo la Corte territoriale fatto riferimento, sull’ipotizzato concorso di colpa del lavoratore infortunato, alla propria sentenza non definitiva, non risultano enucleate le proposizioni di questa che sarebbero contrastanti con le richiamate norme di legge, laddove la sussistenza del fatto e la responsabilità del M.V. risultano oggetto di accertamento (definitivo) in sede penale.
3.4. L’ottavo motivo è improcedibile, posto che, nell’Inosservanza dell’art. 369 n. 4 c.p.c., il ricorrente non ha depositato copia della polizza assicurativa, su cui il motivo si fonda, con le relative condizioni e appendici, né ha indicato il luogo preciso in cui essa è stata depositata nei gradi di merito; ed è, inoltre, inammissibile, non specificando il ricorrente, a fronte della deduzione di una erronea interpretazione della clausola “N” della polizza, come e in base a quali procedimenti logici il giudice di merito si sarebbe discostato dalla corretta applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, peraltro neppure sommariamente indicati.
4. Il ricorso incidentale (condizionato) di Axa Assicurazioni S.p.A. è conseguentemente assorbito.
5. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà a pronunciare sulle domande sopra indicate sub 2.1 e a compiere gli accertamenti sopra indicati sub 2.2.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi sesto, settimo e nono del ricorso principale, rigetta gli altri di detto ricorso e dichiara assorbito l’incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Cosi deciso in Roma il 16 marzo 2016, a seguito di riconvocazione della camera di consiglio del 27 gennaio 2016.

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