Amputazione del braccio durante la stiratura con il mangano. Risarcimento del danno.
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: SPENA FRANCESCA
Data pubblicazione: 14/10/2016
Fatto
Con ricorso al Tribunale di Venezia del 18.9.2003 LT.MP., premesso di avere lavorato come dipendente a termine della società SAGA spa nel periodo estivo dell’anno 2001 con mansioni di lavandaia e stiratrice, agiva nei confronti della società per il risarcimento del danno – (calcolato in € 896.524,89 oltre accessori, da cui detrarsi le somme eventualmente riconosciute dall’INAIL ) -subito a seguito dell’infortunio sul lavoro del 14.6.2001, allorquando mentre stirava con una macchina (il mangano) di proprietà del datore di lavoro l’avambraccio destro le rimaneva imprigionato tra i rulli bollenti, sicché l’arto doveva essere amputato.
Deduceva la esclusiva responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio in ragione della violazione delle prescrizioni di sicurezza anche riguardo ai dispositivi di protezione del macchinario.
Su richiesta della società convenuta veniva autorizzata la chiamata in causa della società RAS – Riunione Adriatica di Sicurtà- spa quale società assicuratrice nonché della ditta individuale G. FORNITURE ALBERGHIERE, quale produttrice della macchina.
La Ditta G. veniva ulteriormente autorizzata a chiamare in causa la sua società assicuratrice, ALLIANZ SUBALPINA spa.
Il Giudice del Lavoro, con sentenza non definitiva nr. 565/2006, ritenuta la responsabilità esclusiva della società SAGA spa:
– condannava la società datrice di lavoro al risarcimento dei danni subiti dalla lavoratrice a seguito dell’infortunio, da quantificarsi nel prosieguo del giudizio;
– condannava la società assicuratrice RAS a tenere indenne la assicurata di quanto nel prosieguo condannata a pagare per capitale, interessi e spese, nei limiti del massimale assicurato;
– rigettava la domanda proposta dal datore di lavoro nei confronti della ditta G. Forniture, fornitrice del macchinario e, per l’effetto, la domanda della convenuta G. Forniture nei confronti della sua società assicuratrice, ALLIANZ SUBALPINA spa.
Alla udienza del 28.6.2006 la società SAGA spa formulava riserva di appello avverso la sentenza non definitiva.
Con sentenza definitiva del 21.4.2007- nr. 257/2007- il Giudice del Lavoro quantificava il danno in € 251.401,75 , detratto l’acconto di € 120mila ricevuto in corso di causa, a titolo di danno biologico differenziale, danno biologico temporaneo, danno morale, danno da incapacità lavorativa specìfica, spese mediche, oltre interessi legali ed emetteva le consequenziali statuizioni di condanna.
Con ricorso del 21.4.2008 la società SAGA spa appellava la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva.
L’appellata ditta G. forniture proponeva appello incidentale, a mezzo del quale riproponeva nei confronti di SAGA spa le eccezioni assorbite e nei confronti di Allianz le domande assorbite.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 10.5/29.7.2011 (nr 376/2011):
– Dichiarava inammissibile l’appello proposto da SAGA spa nei confronti di G. Forniture Alberghiere e l’appello incidentale proposto da G. Forniture Alberghiere
– In parziale accoglimento dell’appello principale, riduceva il danno liquidato ad € 173.443,54, già detratto l’acconto di € 120mila, oltre interessi, da calcolare sull’Importo devalutato alla data dell’Infortunio ed anno per anno rivalutato secondo gli indici ISTAT- vita; emetteva le consequenziali statuizioni di condanna e ripristinatorie.
Quanto alla statuizione di inammissibilità, la Corte territoriale rilevava che la sentenza non definitiva (nr. 565/06) aveva in realtà carattere definitivo della lite nei rapporti tra la società SAGA spa, la ditta fornitrice del macchinario, G. FORNITURE ALBERGHIERE e la società assicuratrice di quest’ultima, ALLIANZ ASSICURAZIONI spa, stante il rigetto delle domande e la pronunzia anche in ordine alle spese di lite.
SAGA spa avrebbe dovuto dunque impugnare in via immediata le relative statuizioni; essendo decorso il termine di impugnazione era precluso il riesame dei rapporti tra SAGA Spa, G. FORNITURE ALBERGHIERE e ALLIANZ ASSICURAZIONI.
Restavano in discussione i rapporti con la lavoratrice appellata e con la compagnia assicuratrice RAS spa.
Il giudice dell’appello rigettava i motivi di appello sul punto della esclusiva responsabilità del datore di lavoro per il verificarsi dell’infortunio.
L’evento si era verificato perché il mangano che la lavoratrice adoperava era stato privato della griglia di protezione e dell’ulteriore sistema di sicurezza costituito dal dispositivo a barra – reso inefficace con lo spostamento della barra in avanti- sicché la lavoratrice, ignara del pericolo, aveva potuto accedere con la mano ai rulli del mangano, venendo poi da essi trascinata.
Erano provate la omessa formazione e informazione della lavoratrice, la condotta del datore del lavoro di avallo della prassi dei lavoratori di escludere i dispositivi di protezione, la mancanza nel mangano di un sistema d’arresto di emergenza , la mancata affissione di idonea cartellonistica nelle vicinanze del mangano.
Veniva, altresì, confermata la esclusione di una colpa concorrente della lavoratrice, considerata la sua inesperienza, la mancanza di formazione, la inattendibilità della teste C..
In punto di quantificazione del danno, da individuare nel danno differenziale ex articolo 10 DPR 1124/1965, veniva confermata la liquidazione operata nella sentenza impugnata tanto in punto di danno non patrimoniale che di danno patrimoniale.
Tuttavia, in accoglimento dell’appello sul punto, doveva essere detratto dall’ammontare del danno non solo quanto liquidato dall’INAIL a titolo di indennizzo del danno biologico ma anche quanto indennizzato per conseguenze patrimoniali dell’infortunio – ( complessivi € 145.214,29); tale detrazione andava operata per voci di danno omogenee ovvero separatamente per il danno non-patrimoniale, da un lato ed il danno patrimoniale, dall’altro.
Per la Cassazione della sentenza ricorre la società SAGA spa articolando dieci motivi, tutti relativi ai rapporti con la lavoratrice LT.MP..
Resiste con controricorso LT.MP..
La RAS ASSICURAZIONI è rimasta intimata .
La ricorrente ha depositato memoria
Diritto
1. Con il primo motivo la società SAGA denunzia- ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc- omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo nonché – ai sensi dell’articolo 360 co. l nr.3 cpc.- violazione degli articoli 2727 e 2729 cc.
La censura investe la ricostruzione di fatti effettuata dalla Corte di merito in punto di responsabilità della lavoratrice per la disattivazione dei due dispositivi di sicurezza del macchinario: la griglia superiore di protezione e la barra di arresto dotata di due microinterruttori (che impediva materialmente il trascinamento nel rullo di oggetti più spessi della biancheria e bloccava l’alimentazione elettrica).
Per disattivare detti sistemi l’operatore doveva rimuovere la griglia e successivamente alzare la barra verso di sé.
Il giudice dell’appello aveva omesso di valutare le risultanze probatorie relative al soggetto che aveva sollevato la barra di sicurezza, limitandosi ad affermare che non vi era prova che tale condotta fosse ascrivibile alla lavoratrice; la circostanza non valutata aveva rilievo decisivo, in quanto il verificarsi dell’infortunio era dipeso dalla azione volontaria della dipendente, che aveva sollevato la barra, come poteva ricavarsi dalle dichiarazioni acquisite nella immediatezza ( provenienti dal dipendente OMISSIS e dalla infortunata) e dalla deposizione del teste OMISSIS.
La insufficienza della motivazione viene dedotta in merito all’accertamento del fatto che la griglia superiore fosse già stata asportata all’inizio del turno lavorativo e non fosse stata, invece, rimossa dalla LT.MP. . Tale accertamento , assume la società ricorrente, era in contrasto con le dichiarazioni dei testi OMISSIS e con quanto riferito dalla stessa infortunata in sede di sommarie informazioni il giorno successivo all’infortunio .Gli elementi di fatto valorizzati dalla Corte d’appello (la circostanza che sul luogo dell’infortunio non fossero state rinvenute le viti della griglia di protezione né il cacciavite necessario a rimuoverle) non avevano i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dagli articoli 2727 e 2729 cc., con conseguente insufficienza della motivazione nonché violazione delle suddette norme di legge.
La motivazione era inoltre insufficiente in punto di asserita inattendibilità della teste C..
Il motivo è infondato.
Sotto il profilo metodologico va premesso che, per costante giurisprudenza di legittimità, 1’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ( nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal DL 83/2012, applicabile catione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza d’appello) – non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Ne consegue (ex plurimis Cass. n. 10156 del 2004) che, per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito fatto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia tale da far ritenere che quella circostanza, se considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza; sicché il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base.
La motivazione è invece insufficiente soltanto per l’obiettiva carenza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice del merito, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento e non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato da attribuire agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo in un’inammissibile istanza di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148).
Nella fattispecie di causa il giudice del merito ha affermato che la griglia di protezione era stata già rimossa al momento dell’inizio del turno di lavoro e che non era stato provato che la barra di protezione fosse stata alzata dalla lavoratrice.
A tal fine, con motivazione scevra da vizi logici, ha rilevato che non via era traccia sul luogo dell’Infortunio né delle viti di fissaggio della griglia di protezione né del giravite con cui fossero state eventualmente rimosse.
Gli elementi istruttori di cui si lamenta la omessa valutazione sono riportati soltanto per stralcio e non con la riproduzione del contenuto integrale dei documenti di causa e del verbale della prova, sì da adempiere all’onere di specificità del motivo (articolo 366 nr. 6 cpc) e consentire a questa Corte l’apprezzamento del tenore complessivo delle dichiarazioni.
In ogni caso, le fonti di prova il cui esame sarebbe stato omesso sono prive di decisività. La circostanza che emerge dagli stralci riprodotti- il fatto che la barra di protezione si trovava poggiata all’atto dell’infortunio sull’avambraccio della lavoratrice, trascinato dai rulli- è elemento neutro (e dunque privo di decisività) rispetto al fatto che si vorrebbe dimostrare e cioè che era stata la dipendente stessa a sollevare la protezione.
Del pari privo di decisività è il documento contenente le dichiarazioni rese dalla lavoratrice agli ispettori del lavoro nella giornata successiva ai fatti, ancora una volta riportato per estratto.
Per quanto emerge dallo stralcio trascritto in ricorso, la lavoratrice aveva rimosso manualmente la griglia “facilmente”, il che significa che la griglia non era stata fissata con le (dieci) viti in dotazione ,o comunque, che le viti non erano state adeguatamente fissate, precauzioni di cui era garante il datore di lavoro.
Le dichiarazioni testimoniali ulteriormente riportate in stralcio attengono, poi, al generico funzionamento del mangano.
Non sussiste pertanto il denunziato vizio della motivazione.
I motivi dal numero 2 al numero 5 attengono tutti alla ricostruzione del fatto effettuata in sentenza – ed alla applicazione della normativa – in punto di responsabilità del datore di lavoro per inadempimento agli obblighi di protezione del lavoratore e possono essere congiuntamente esaminati.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc.- violazione dell’articolo 115 cpc, dell’articolo 101 C., dell’articolo 4 DPR 547/1955 nonché – ai sensi dell’articolo 360 co.l nr. 5 cpc- insufficiente motivazione in ordine ad un punto controverso e decisivo del giudizio.
Il motivo investe la affermazione della omessa formazione ed informazione della dipendente sui rischi delle lavorazioni, in violazione dell’articolo 4 DPR 547/1955.
La ricorrente censura la mancata ammissione delle prove richieste in merito – ai punti 1 e 2 della memoria di costituzione nel primo grado- prove ritenute superflue tanto nel primo che nel secondo grado sul presupposto della acquisizione agli atti della prova contraria; il rigetto del mezzo istruttorio aveva impedito la regolare formazione della prova.
Inoltre assume che la Corte di merito aveva omesso di valutare le dichiarazione della teste OMISSIS in ordine alle istruzioni impartite alla LT.MP..
3. Con il terzo motivo la società ricorrente deduce- ai sensi dell’articolo 360 co.l nr. 3 cpc- violazione dell’articolo 2087 ce nonché- ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc- insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio.
La ricorrente censura la affermazione della rilevanza causale nella produzione dell’evento della condotta del datore di lavoro di avallo della prassi dei dipendenti di escludere i sistemi di sicurezza del mangano.
Sul punto la ricorrente rinvia a quanto esposto nel primo motivo e rileva che la condotta addebitata al datore di lavoro avrebbe dovuto essere provata, non potendosi desumere dal mero verificarsi dell’infortunio.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc- violazione dell’articolo 52 c. 3 DPR 547/1955 e degli articoli 115,116, 244 e ss. cpc.
Il motivo attiene alla affermata incidenza causale della assenza nel mangano di un dispositivo di arresto di emergenza, in violazione dell’articolo 52 co. 3 DPR 547/55.
La società ricorrente rileva che la norma evocata richiede che l’attrezzatura di lavoro sia munita del predetto dispositivo solo se ciò sia appropriato e funzionale rispetto ai pericoli dell’attrezzatura; la Corte aveva omesso ogni valutazione sul punto e in fatto tale esigenza non sussisteva, in quanto l’arresto del mangano con il dispositivo ordinario era immediato (come provato dalle stesse dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dalla infortunata) . La Corte territoriale aveva basato il suo convincimento sul giudizio reso dal teste OMISSIS, che, in quanto valutazione soggettiva del teste, era privo di valore probatorio.
5. Con il quinto motivo la ricorrente denunzia- ai sensi dell’articolo 360 co. 1 nr. 5 cpc- insufficiente motivazione in relazione ad un punto controverso e decisivo per il giudizio nonché- ai sensi dell’articolo 360 co. 1 nr. 3 cpc- violazione dell’articolo 2 co. 1 D.Lgs 493/1996.
La società lamenta la insufficienza della motivazione in ordine alla ritenuta assenza di prova della apposizione di idonea cartellonistica; richiama per stralcio le dichiarazioni dei testi OMISSIS.
In punto di violazione di norme di diritto deduce che la segnaletica è imposta soltanto allorquando vi siano rischi non evitabili con i normali sistemi di organizzazione del lavoro; mancava sul punto ogni motivazione e comunque, in fatto, non ricorreva la condizione prevista dalla norma .
Del resto il giudice del merito neppure indicava il tipo di cartellonistica reputato necessario. I motivi sono infondati.
In punto di formazione della lavoratrice infortunata ( secondo motivo di ricorso) i capitoli di prova di cui si lamenta la mancata ammissione sono privi di decisività.
Il capitolo sub 1 della memoria difensiva riguarda le istruzioni fornite alla lavoratrice dalla dipendente C. in ordine al funzionamento ed alle modalità d’uso del mangano; la circostanza è stata presa in esame dal giudice dell’appello, il quale, con motivazione coerente, ha affermato che “l’infortunata venne istruite solamente in relazione ai funzionamento del mangano ed alle modalità per far fonte ad errori di lavorazione del macchinario secondo quanto riferito dalla teste C…” e non anche quanto ai rischi specifici della lavorazione .
La circostanza capitolata al numero 2 (“vero che la signora OMISSIS aveva dato istruzioni alla signorina LT.MP. ad azionare il mangano alla velocità minima consentita”) non è rilevante, in quanto non risulta che la velocità di funzionamento della macchina stiratrice al momento dell’infortunio sia stato un fatto decisivo e neppure che tale velocità fosse oggetto di controversia tra le parti, come richiede l’articolo 360 nr. 5 cpc.
Alla luce della operata ricostruzione del fatto non si ravvisa il vizio di falsa applicazione dell’articolo 4 DPR 547/1955.
Quanto al consenso- almeno implicito – del datore di lavoro alla prassi dei lavoratori di escludere i sistemi di sicurezza del mangano (terzo motivo), la Corte territoriale ha logicamente motivato il suo convincimento con la analisi accurata del contenuto della deposizione della teste C. e valorizzando adeguatamente la circostanza, sulla quale non vengono mossi rilievi, che le viti della griglia di protezione erano ordinariamente tenute allentate.
Alla luce della ricostruzione della condotta del datore di lavoro compiuta in sentenza non ha fondamento alcuno la censura di falsa applicazione dell’articolo 2087 cc.
Il quarto motivo attiene alla falsa applicazione dell’articolo 52 co, 3 DPR 547/1955, norma relativa all’obbligo di dotare i macchinari di un dispositivo di arresto di emergenza.
La Corte territoriale ha ritenuto ricorrere il presupposto di fatto richiesto dalla norma – la funzionalità del dispositivo di emergenza rispetto ai pericoli della lavorazione ed al tempo normale di arresto- affermando che era necessario poter azionare immediatamente un dispositivo di arresto anche con un arto o con entrambi gli arti bloccati. Tale valutazione è coerente alla ricostruzione delle circostanze dell’infortunio e del funzionamento del mangano sicché la norma di sicurezza è stata correttamente applicata in sentenza.
Neppure si ravvisa la denunziata violazione delle regole legali che presiedono alla formazione della prova, in quanto la Corte di merito ha espresso una propria valutazione piuttosto che recepire il giudizio di un teste ( teste OMISSIS).
Resta da considerare la violazione dell’obbligo di affissione di cartellonistica (quinto motivo).
Qui gli elementi istruttori il cui esame si assume omesso, ancora una volta indicati per estratto, sono all’evidenza privi del carattere della decisività, in quanto generici: ambedue i testi indicati in ricorso ( teste OMISSIS) riferivano di non ricordare il contenuto della segnaletica che dichiaravano essere stata affissa.
Né ricorre il vizio di falsa applicazione dell’articolo 2 co. 1 D.Lgs 493/1996 ( norma applicabile radane temporis) in quanto dal funzionamento della macchina e dall’accadimento dei fatti, come ricostruiti in sentenza, risultavano i rischi che imponevano, a tenore della norma citata, il ricorso alla segnaletica di sicurezza.
I motivi sesto e settimo investono la ricostruzione del fatto operata in sentenza in punto di assenza di concorso causale determinante {sesto motivo) o, comunque, concorrente e colposo (settimo motivo) dell’infortunata.
6. Con il sesto motivo la ricorrente denunzia- ai sensi dell’articolo 360 co. 1 nr. 3 cpc- violazione dell’articolo 5 D.Lgs. 626/1994 e dell’ articolo 10 DPR 1124/1965 nonché- ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc.- omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio .
La società ricorrente espone che gli obblighi in materia di sicurezza incombono anche sui dipendenti e che la Corte di merito, in assenza di motivazione, aveva ritenuto a monte insussistente ogni apporto causale dell’infortunata.
Dagli elementi acquisiti al giudizio risultava che la LT.MP. aveva riconosciuto di avere ricevuto una istruzione – quanto meno parziale – sulla funzionalità delle attrezzature esistenti e di avere rimosso la griglia di protezione.
Doveva ritenersi provato che fosse stata lei stessa ad alzare la barra di sicurezza ed ad appoggiare la mano sul rullo.
La Corte di merito aveva omesso qualsiasi motivazione in ordine alla violazione da parte della infortunata dell’artìcolo 5 D.Lgs. 626/1994, condotta costituente causa esclusiva dell’evento di danno.
Nella fattispecie di causa operava pertanto l’esonero da responsabilità di cui all’articolo 10 DPR 1124/1965.
7. Con il settimo motivo la società ricorrente deduce- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc- violazione dell’articolo 1227 co.l cc nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo concerne la statuizione di rigetto del motivo di appello con cui si chiedeva il riconoscimento, in riforma della sentenza impugnata, quanto meno di un concorso di colpa dell’ infortunata .
La società ricorrente richiama a tal fine quanto osservato al motivo di cui precede ed altresì censura la affermazione di inattendibilità della teste C.. La Corte territoriale aveva sui punto valorizzato la circostanza che la dipendente fosse stata istruita su come liberare dal mangano la biancheria inceppata; tale circostanza, tuttavia, deponeva piuttosto che nel senso della inattendibilità della teste (che aveva istruito l’infortunata a non intervenire in caso di inceppamento della biancheria) nel senso della avvenuta formazione della LT.MP..
Il richiamo non era comunque pertinente, in quanto nelle circostanza dell’Infortunio non vi era stato alcun impiglio della biancheria.
In punto di violazione di norme di diritto la ricorrente deduce che la responsabilità datoriale per l’infortunio sul lavoro non ha carattere oggettivo e che non poteva addebitarsi al datore di lavoro la responsabilità di un infortunio ascrivibile ad un comportamento anomalo ed imprevedibile del dipendente, che aveva compiuto una manovra rischiosa.
Assume inoltre la società ricorrente che la violazione di norma di diritto era ravvisabile anche per avere la Corte territoriale ritenuto decisiva ad escludere la corresponsabilità della dipendente la assenza di informazione, la inesperienza ( neppure provata) e la limitata anzianità di servizio.
I motivi sono infondati.
In punto di fatto il giudice dell’appello ha accertato:
-che la griglia di protezione era stata rimossa prima dell’inizio del turno di lavoro della LT.MP.
– che non vi era prova che fosse stata la stessa lavoratrice ad alzare la barra di sicurezza posta sotto la griglia.
Sulla base di questi elementi ha escluso che la condotta della lavoratrice fosse stata causa esclusiva o concorrente dell’Infortunio.
Con il sesto ed il settimo motivo si ripropongono le censure sulla ricostruzione del fatto già esaminate in relazione al primo motivo. Ad esse si aggiunge un assunto vizio della motivazione quanto alla affermata inattendibilità della teste omissis.
E’ sufficiente rinviare a quanto osservato sul primo motivo, aggiungendo che il fatto ulteriore che sarebbe stato indicato dalla teste OMISSIS è privo del carattere della decisività.
Esso ha per oggetto le istruzioni date dalla teste alla lavoratrice quanto alla condotta da tenere in caso di impiglio della biancheria; per quanto afferma la stessa parte nel ricorso, tuttavia, “il richiamo ai metodi per ovviare all’incastro della biancheria è in parte qua, affatto non pertinente,atteso che, si è visto, la sig.ra LT.MP. si è infortunata in assenza di qualsivoglia impiglio della biancheria”.
Così ricostruito il fatto, appare ictu oculi infondata la denunzia di violazione delle norme di diritto .
Il ricorso per cassazione è infatti un mezzo di impugnazione a critica vincolata, il cui oggetto è limitato, da un lato, dalle precise statuizioni della sentenza, dall’altro dagli specifici motivi di impugnazione. Da ciò consegue la inammissibilità di ogni censura che si fondi su una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta in sentenza e, più in generale, su statuizioni non rinvenibili nella decisione.
L’ottavo, il nono ed il decimo motivo investono le statuizioni di quantificazione del danno da risarcire.
8. Con l’ottavo motivo la società ricorrente denunzia – ai sensi dell’articolo 360 co. 1 nr. 3 e 4 cpc- violazione dell’articolo 112 cpc nonché- ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc- omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio.
La società espone che la domanda della lavoratrice era stata espressamente limitata al pagamento delle somme eccedenti quanto riconosciuto dall’INAIL; nelle note autorizzate la ricorrente precisava che dall’importo del danno avrebbero dovuto detrarsi gli importi dell’indennizzo liquidato dall’ INAIL per le conseguenze patrimoniali ( € 145.214,29) e per il danno biologico (€ 161.001,51).
La Corte territoriale aveva accolto solo parzialmente il motivo d’appello avverso la omessa detrazione dell’Indennizzo patrimoniale, non detraendo la intera somma liquidata dall’INAIL; tanto in violazione dell’articolo 112 cpc. atteso che l’infortunata aveva chiesto di detrarre dal danno le somme liquidate dall’INAIL, senza ulteriori specificazioni.
9. Con il nono motivo la società SAGA deduce- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc- violazione degli articoli 10 c. 6 e 7 DPR 1124/1965, 13 D.Lgs. 38/2000, 1223 e segg. cc. nonché – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc- motivazione insufficiente circa un punto decisivo per la controversia .
Assume la insufficienza della motivazione in merito alla detrazione dell’indennizzo INAIL soltanto per voci omogenee, in luogo della considerazione unitaria dell’indennizzo.
Denunzia la violazione dei commi 6 e 7 dell’articolo 10 DPR 1124/1965, ritenendo corretto invece detrarre, in caso di liquidazione di rendita, dall’intero importo del danno l’intero importo capitalizzato della rendita.
I due motivi, in quanto connessi, devono essere trattati congiuntamente.
Deve essere preliminarmente esaminata la questione -posta con il nono motivo- relativa ai criteri con i quali liquidare il danno cd. differenziale ovvero il danno di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei confronti del lavoratore nei casi di copertura assicurativa dell’INAIL; la relativa disciplina, tanto in punto di condizioni che di limiti della suddetta responsabilità civile datoriale, è contenuta nell’articolo 10 DPR 1124/21965, norma relativa agli infortuni sul lavoro ed applicabile anche agli eventi di malattia professionale in ragione del generale rinvio contenuto nell’articolo 131 dello stesso Testo Unico.
Vengono qui in rilievo i commi dal comma sei ai comma otto dell’ articolo 10, a tenore dei quali:
“Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità’ che, per effetto del presente decreto, e’ liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo e’ dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti.
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l’indennità’ d’infortunio e’ rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all’art. 39”.
La questione sottoposta alla Corte consiste più in particolare nello stabilire se “la parte (del danno) che eccede le indennità liquidate” dall’INAIL, di cui al comma sette, vada calcolata separatamente per il danno patrimoniale e per ii danno non patrimoniale, secondo il computo effettuato dal giudice dell’appello o piuttosto detraendo dall’intero e complessivo ammontare del danno il valore capitale della intera rendita liquidata dall’INAIL, come sostenuto dalla società ricorrente, che per tale via vedrebbe ridotto l’ammontare delle somme da risarcire.
Il motivo è infondato.
La questione è stata già esaminata da questa Corte in riferimento alla materia della infortunistica stradale ( Cass., III sezione civile sentenza nr. 13222/2015) con la affermazione del principio di diritto, cui va data in questa sede continuità, secondo cui per calcolare il c.d. “danno biologico differenziale” dall’ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già ii valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico.
Punto di partenza è la considerazione che nel sistema assicurativo INAIL delineato con il d.l.vo 38/2000- art. 13 – è pacificamente compresa la indennizzabilità del danno biologico, con conseguente applicabilità anche per tale voce di danno dell’ esonero da responsabilità civile del datore di lavoro ex art. 10 DPR 1124/1965 ( Cassazione civile , sez. lav., 29 gennaio 2001, n. 1114).
Il predetto decreto legislativo ha innovato i criteri di determinazione dell’Indennizzo per invalidità permanente; i danni vengono valutati in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali, prevista dallo stesso testo normativo e successivamente approvata con DM dei Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del 12 luglio 2000, pubblicato in G.U, del 25-7-2000.
I postumi così determinati :
– se inferiori al 6% sono in franchigia e non danno diritto ad indennizzo ( possono essere eventualmente cumulati con menomazioni provocate da altri eventi infortunistici o malattie professionali);
– se compresi tra il 6% e il 15% vengono considerati danno biologico ed indennizzati in capitale;
– se determinanti menomazioni dal 16% al 100% danno luogo ad erogazione
• di una rendita, nella misura indicata nell’apposita “tabella indennizzo danno biologico”, di cui allo stesso D.M. 12 luglio 2000;
• nonché di un’ulteriore quota di rendita commisurata al grado della menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e al coefficiente di cui all’apposita “tabella dei coefficienti”. Tali coefficienti- dispone il citato articolo 13 D.Lvo 38/2000, comma due lettera b)- “costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali, in relazione alla categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità dello stesso”.
Nei casi di menomazioni indennizzate in rendita, dunque, una quota della rendita indennizza il danno biologico, una quota ulteriore- rapportata alla retribuzione dell’assicurato ed alla sua capacità lavorativa specifica-invece il danno patrimoniale, con liquidazione delle due poste distinta e derivante dalla applicazione di tabelle diverse, rispettivamente la “tabella indennizzo danno biologico” per il danno biologico e la “tabella dei coefficienti” per il danno patrimoniale.
Sicché, come osservato nel precedente di legittimità citato (sentenza nr. 1322/2015), l’indennizzo in forma di rendita ” ha veste unitaria ma duplice contenuto”.
Chiarita la distinzione ai fini dell’indennizzo assicurativo delle voci di danno,si tratta allora di stabilire se tale distinzione debba essere riprodotta nella liquidazione del risarcimento del danno cd. differenziale o piuttosto se, come sostiene la società ricorrente, ai fini risarcitori il danno costituisca una posta unitaria, comprensiva sia dei pregiudizi patrimoniali che di quelli non patrimoniali.
A tale alternativa deve fornirsi risposta nel primo dei sensi prospettati.
A partire dalle sentenze “gemelle” di questa Corte dell’anno 2003 (n. 8827 e n. 8828/2003) si è delineato nel nostro ordinamento, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod.civ., un sistema “bipolare” di risarcimento del danno.
Tale sistema ha trovato riconoscimento in successive pronunzie di questa Corte {sentenze n. 15760/2006, n. 23918/2006, n. 9510/2006, n. 9514/2007, n. 14846/2007) nonché definitivo chiarimento e consacrazione nella sentenza a Sezioni Unite 11 novembre 2008 nr. 26972, nella quale si è affermato che la rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.)
Sul piano della struttura dell’illecito le due ipotesi risarcitone si differenziano in punto di evento dannoso giacché il danno patrimoniale “ingiusto”, di cui all’art. 2043 c.c., deriva dalla lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante laddove la risarcibilità del danno non-patrimoniale è connotata da tipicità. L’articolo
danno è risarcibile nei soli casi determinati dalla legge, nei quali, in conformità agli indirizzi giurisprudenziali sopra citati, vanno compresi gli eventi di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, necessariamente presidiati, alla stregua della costituzione, dalla minima tutela risarcitoria (Cass., sent. SU 26972/2008).
Per il danno non patrimoniale vi è dunque una selezione degli interessi dalla cui lesione consegue la risarcibilità o a livello normativo (allorché è la legge a prevedere la risarcibilità del danno non patrimoniale) o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato a verificare la lesione, alla stregua dei parametri costituzionali, di uno specifico diritto inviolabile della persona.
Le ulteriori sottocategorie enucleate dalla giurisprudenza nell’ambito del danno non patrimoniale ( danno biologico, danno esistenziale, danno morale, danno da perdita del rapporto parentale ed altre) hanno invece valenza puramente descrittiva del danno- conseguenza risarcito ma non individuano autonome categorie di danno.
La configurazione bipolare del danno seppure enucleata dalla disciplina dell’illecito aquiliano rappresenta un sistema di carattere generale, riferibile anche alla responsabilità contrattuale: non si rinvengono disposizioni contrarie negli articoli 1218 e seguenti del codice civile, cui deve essere assicurata una lettura costituzionalmente orientata.
Nella richiamata sentenza delle S.U. di questa Corte ( nr. 26972/2008) si è affermato che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. consente di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali nei casi in cui gli interessi compresi nell’area del contratto presentino (anche) carattere non patrimoniale e siano presidiati da diritti inviolabili della persona.
Dal bipolarismo del danno sin qui argomentato deriva quale corollario la necessità di una distinzione delle poste anche nella liquidazione del danno-conseguenza; pertanto non appare corretta la pretesa della società ricorrente di vedere sottratto ai fini del computo del danno cd. differenziale dall’Importo del danno non patrimoniale/biologico (anche) quanto indennizzato dall’INAIL alla lavoratrice per le conseguenze patrimoniali dell’infortunio. Correttamente la Corte di merito, determinato il valore capitale della rendita, ha dunque distinto la quota-capitale relativa nel sistema assicurativo al danno biologico da quella inerente al danno patrimoniale ed ha liquidato il danno differenziale per poste omogenee, rispettivamente non-patrimoniale e patrimoniale.
Da quanto esposto consegue il rigetto anche dell’ottavo motivo di ricorso, in quanto i criteri di liquidazione del danno differenziale derivano dalla applicazione di norme di legge (articolo 10 DPR 1124/1965 in rapporto con gli articoli 2043 e 2059 c.c.) al cui rispetto il giudice è tenuto, senza essere condizionato da una domanda di parte.
10. Con il decimo motivo la ricorrente denunzia- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc- violazione degli articoli 2729 e 2697 cc nonché- ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc- insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.
Il motivo concerne la quantificazione del danno patrimoniale.
In punto di motivazione – assume la società ricorrente – era omessa la indicazione della attività professionale specifica dell’infortunata, che neppure era stata provata, posto che la attività di lavandaia- stiratrice, sulla cui base era stata determinata la percentuale di invalidità, era oggetto di un impiego stagionale ; lo stesso ctu dava atto che la ricorrente era diplomata presso un Istituto Professionale e svolgeva attività di operatrice ecologica. Sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte al ctu vi era dunque prova del reperimento di altra attività lavorativa .
La Corte territoriale aveva confuso il danno patrimoniale con quello biologico.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Il giudice del merito non ha liquidato alcun importo a titolo di danno differenziale patrimoniale, ritenendo non sussistere un danno superiore a quello indennizzato dall’ INAIL; l’indennizzo assicurativo è risultato anzi superiore al danno patrimoniale riconosciuto in sede di merito, tanto da indurre la parte ricorrente a prospettare, con il nono motivo, la sua detraibilità dal danno biologico.
Pertanto alcun risultato utile deriverebbe alla parte dalla cassazione sul punto della sentenza.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita.Si rileva sul punto che il controricorso è stato proposto tempestivamente, dovendosi tenere conto della disposizione dell’articolo 6 comma 4 del DL 74/2012, sulla sospensione dei termini processuali al 25.5.2012 al 31.12.2012 per i soggetti che alla data del 20 maggio 2012 erano residenti nei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 .
Poiché la parte controricorrente è residente nella provincia di Modena ed il ricorso per cassazione è stato notificato durante il suddetto periodo di sospensione, il termine per la notifica del controricorso deve calcolarsi a decorrere dall’l gennaio 2013, a norma della disposizione citata (“Ove il decorso abbia inizio durante if periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo”), con conseguente tempestività della notifica dei 21.1.2013.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese nei confronti di LT.MP., che liquida in € 100 per spese ed € 7.000 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti di RAS – RIUIONE ADRIATICA DI SICURTÀ’ spa.
Così deciso in Roma, in data 12.5.2016