Infarto sul posto di lavoro e rendita ai superstiti.
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO
Data pubblicazione: 15/01/2016
Fatto
1. – La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 4 dicembre 2009, ha riformato la decisione del Tribunale di Sulmona che aveva accolto il ricorso proposto in data 28 luglio 2004 da M.P.F. diretto al riconoscimento nei confronti dell’INAIL della rendita ai superstiti a seguito del decesso del coniuge colto da infarto sul posto di lavoro in data 7 marzo 1998.
La Corte territoriale ha respinto la domanda della M.P.F. ritenendo fondata l’eccezione dell’Istituto di prescrizione triennale ex art.112 del d.P.R. n. 1124 del 1965 rispetto ad un ricorso giudiziale proposto il 28 luglio 2004; ha argomentato che la superstite avesse conoscenza che la morte dell’assistito fosse stata causata dalla malattia professionale sin dalla data del decesso, non essendo intervenuto successivamente alcun fatto nuovo che potesse rendere edotta la M.P.F. e considerando che proprio all’epoca del decesso costei aveva richiesto alle Poste Italiane, datrice di lavoro del de cuius, il riconoscimento della causa di servizio.
2. — Con ricorso del 26 ottobre 2010 M.P.F. ha domandato la cassazione della sentenza per un unico articolato motivo. Ha resistito con controricorso rinati, depositando poi memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
3. — Con l’unico mezzo di gravame parte istante denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965 e dell’art. 2697 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo ai fini della controversia.
Si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il familiare dell’assicurato deceduto avesse consapevolezza della derivazione causale della morte di costui dalla malattia professionale sin dall’epoca del decesso.
Si lamenta poi che i giudici di appello non abbiano ritenuto sospeso il termine di prescrizione per tutta la durata del procedimento amministrativo a mente dell’art. 111 del d.P.R. n. 1124 del 1965 per il periodo intercorrente dalla presentazione dell’istanza in data 15 aprile 1998 ed il momento in cui la medesima era stata respinta dall’INAIL il 26 settembre 2003.
4. — Il ricorso è infondato.
Osserva il Collegio che, secondo il più recente e condiviso orientamento della giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 17700 del 2014), la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, può ritenersi verificata, in un equilibrato rilievo tra l’elemento oggettivo della manifestazione e la consapevolezza soggettiva da parte del lavoratore che non frusti lo scopo degli interventi della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 116 del 1969, n. 129 del 1986, n. 206 del 1988, n. 31 del 1991), quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, nonché la diagnosi medica, contemporanea, dalla quale la malattia sia riconoscibile per l’assicurato (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 23457/2009; 14584/2009; 7323/2005; 23418/2004; 23110/2004; 19575/2004; 2625/2004).
Quanto, poi, alla “manifestazione”, quale fatto normativamente previsto dall’indicato art. 112, questa Corte ha già da tempo avuto modo di evidenziare (cfr. Cass. n. 11790 del 2003; n. 16178 del 2004; n. 8249 del 2011, n. 12317 del 2011, n. 14281 del 2011) che essa è la forma oggettiva che assume il fatto, nel suo essere manifesto, e che consente al fatto stesso di essere conosciuto; è, in definitiva, la oggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato, e cioè la sua “conoscibilità”. E tale conoscibilità coinvolge l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità. Si aggiunga che l’elemento della conoscibilità della eziologia professionale della malattia, rappresenta qualcosa di più rispetto alla semplice manifestazione della patologia, ma resta pur sempre in un ambito di oggettività per così dire scientifica. La conoscibilità, dunque, non solo è cosa diversa dalla conoscenza ma altro non è che la possibilità che un determinato elemento (nella fattispecie la origine professionale di una malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento. Non rileva invece (e non potrebbe rilevare, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività) il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia (così Cass. n. 1822 del 2013).
Alla stregua di quanto sopra deve escludersi l’esistenza, nell’impugnata sentenza, del dedotto vizio di legittimità, atteso che l’interpretazione della disposizione in parola fornita dalla Corte territoriale è assolutamente conforme al contenuto normativo della disposizione in questione. Ed invero i giudici di merito, applicando correttamente i principi sopra esposti, hanno ritenuto che la consapevolezza (nel senso, appunto, di conoscibilità come innanzi intesa) dell’esistenza della malattia e della sua origine professionale potesse ragionevolmente presumersi nell’avente causa dal de cuius in base al fatto noto dell’avvenuta presentazione di una richiesta di riconoscimento di causa di servizio presentata nel 1998 alle Poste Italiane dalla M.P.F., “il che dimostra – secondo la Corte territoriale – che la stessa era ben consapevole della possibile derivazione della malattia e del decesso del P. dall’attività di lavoro svolto (sia pure sotto il diverso profilo della causa di servizio)”.
Trattasi di una valutazione di merito circa l’esistenza di un fatto in relazione alla quale, non riscontrandosi una motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, resta precluso il sindacato in sede di legittimità.
Per quanto riguarda la doglianza circa la pretesa sospensione del termine di prescrizione per l’intero periodo che va dalla presentazione dell’istanza amministrativa (15 aprile 1998) sino alla sua espressa reiezione (26 settembre 2003) è sufficiente richiamare il principio di diritto di recente espresso da questa Corte (Cass. n. 211 del 2015) ed integralmente qui condiviso secondo cui:
“La sospensione della prescrizione triennale dell’azione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali, di cui all’articolo 111, co. 2, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, opera limitatamente al decorso dei 150 giorni previsti per la liquidazione amministrativa delle indennità dal terzo comma della stessa disposizione: la mancata pronuncia definitiva dell’INAIL entro il suddetto termine configura una ipotesi di “silenzio significativo della reiezione dell’istanza dell’assicurato e comporta, quindi, l’esaurimento del procedimento amministrativo e, con esso, la cessazione della sospensione della prescrizione”.
5. — Conclusivamente il ricorso va respinto.
Il presente giudizio è stato instaurato vigente l’art. 152 disp. att. c.p.c. nella formulazione introdotta dall’art. 42, d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni nella l. n. 326 del 2003 (art. 152 disp. att. c.p.c. applicabile anche alle controversie aventi ad oggetto la richiesta di rendita INAIL ai superstiti: v. Cass. n. 19136 del 2005).
Non avendo allegato la ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere assolto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado all’onere autocertificativo di cui alla disposizione citata (Cass. n. 9859 del 2014; Cass. n. 9651 del 2014; Cass. n. 9471 del 2014, Cass. n. 9386 del 2014), le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 17 novembre 2015