Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 gennaio 2016, n. 599

Natura professionale della neuropatia alle mani di un artigiano tessile.


Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO
Data pubblicazione: 15/01/2016

Fatto

1. – La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 10 maggio 2010, ha riformato la decisione del Tribunale di Pistoia che aveva condannato l’INAIL ad erogare in favore dell’artigiano tessile S.S. l’indennizzo ex art. 13 del d. lgs. n. 38 del 2000 commisurato ad una invalidità del 15%, riconoscendo la natura professionale della neuropatia alle mani di cui era portatore l’assicurato.
La Corte territoriale ha respinto la domanda del S.S. ritenendo fondata l’eccezione dell’Istituto di prescrizione triennale di cui all’art.112 del d.P.R. n. 1124 del 1965 rispetto ad un ricorso giudiziale proposto il 23 giugno 2006; ha argomentato che l’assistito, sin dal ricorso di primo grado, aveva “dichiarato di avere accusato il disturbo alle mani (causato a suo dire dal contatto con sostanze tossiche usate nella sua attività di artigiano tessile) a metà circa dell’anno 1999”; che era pacifico che il S.S. si era assentato dal lavoro proprio a partire dal 1999 allorché si era sottoposto a visite mediche ed a radiografia della mano sinistra nell’ottobre del 1999; che il consulente del Tribunale aveva dato atto di relazioni mediche e visite specialistiche della prima metà del 2002 che davano inequivocabilmente conto della miopatia e della neuropatia motoria che non potevano “non essere state valutate dallo stesso come direttamente causate dall’attività lavorativa con esposizione a sostanze tossiche”; che anche nella relazione del 1° marzo 2005 il redattore della medesima certificava “di avere riferito il S.S. l’insorgenza del disturbo alle mani già nel 1997-1998: sintomi presenti da oltre 7-8 anni, ossia in un lasso temporale che proprio per la incontestata utilizzazione di numerose sostanze neurotossiche (metalli pesanti, solventi, PVC, etc.) non possono essere stati ignorati dai sanitari che hanno esaminato nel 1999/2000 e negli anni successivi il caso”.
2. – Con ricorso del 4 novembre 2010 S.S. ha domandato la cassazione della sentenza per un unico articolato motivo. Ha resistito con controricorso l’Inail, comunicando memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

3. — Con l’unico mezzo di gravame si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi e controversi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., cui è conseguita violazione di legge in relazione agli art. 115 c.p.c., 2727 e 2729 c.c., 2935 c.c., artt. 112 e 135 d. P.R. n. 1124 del 1965.
Si sostiene che solo con la relazione medica redatta il 1° marzo 2005, posta a conclusione di una lunga serie di indagini specialistiche cui il S.S. si era sottoposto a partire dal 2000 “e che non avevano condotto alla individuazione di alcuna eziologia o avevano diagnosticato una eziologia su base genetica e non indennizzabile”, l’assistito avrebbe avuto contezza del nesso causale tra attività lavorativa e malattia.
Si lamenta che il giudizio della Corte territoriale si sarebbe invece fondato su di “una erronea e contraddittoria interpretazione delle prove …. senza fornire congrua motivazione del percorso logico argomentativo adottato”
4. — Il ricorso non può trovare accoglimento.
Osserva il Collegio che, secondo il più recente e condiviso orientamento della giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 17700 del 2014), la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, può ritenersi verificata, in un equilibrato rilievo tra l’elemento oggettivo della manifestazione e la consapevolezza soggettiva da parte del lavoratore che non frusti lo scopo degli interventi della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 116 del 1969, n. 129 del 1986, n. 206 del 1988, n. 31 del 1991), quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, nonché la diagnosi medica, contemporanea, dalla quale la malattia sia riconoscibile per l’assicurato (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 23457/2009; 14584/2009; 7323/2005; 23418/2004; 23110/2004; 19575/2004; 2625/2004).
Quanto, poi, alla “manifestazione”, quale fatto normativamente previsto dall’indicato art. 112, questa Corte ha già da tempo avuto modo di evidenziare (cfr. Cass. n. 11790 del 2003; n. 16178 del 2004; n. 8249 del 2011, n. 12317 del 2011, n. 14281 del 2011) che essa è la forma oggettiva che assume il fatto, nel suo essere manifesto, e che consente al fatto stesso di essere conosciuto; è, in definitiva, la oggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato, e cioè la sua “conoscibilità”. E tale conoscibilità coinvolge l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità. Si aggiunga che l’elemento della conoscibilità della eziologia professionale della malattia, rappresenta qualcosa di più rispetto alla semplice manifestazione della patologia, ma resta pur sempre in un ambito di oggettività per così dire scientifica. La conoscibilità, dunque, non solo è cosa diversa dalla conoscenza ma altro non è che la possibilità che un determinato elemento (nella fattispecie la origine professionale di una malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento. Non rileva invece (e non potrebbe rilevare, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività) il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia (così Cass. n. 1822 del 2013).
Alla stregua di quanto sopra deve escludersi l’esistenza, nell’impugnata sentenza, del dedotto vizio di legittimità, atteso che l’interpretazione della disposizione in parola fornita dalla Corte territoriale è assolutamente conforme al contenuto normativo della disposizione in questione. Ed invero i giudici di merito, applicando correttamente i principi sopra esposti, hanno ritenuto che la consapevolezza (nel senso, appunto, di conoscibilità come innanzi intesa) dell’esistenza della malattia e della sua origine professionale potesse ragionevolmente presumersi nel S.S. sulla base di una serie di elementi fattuali riportati nello storico della lite.
Trattasi di una valutazione di merito circa l’esistenza di un fatto in relazione alla quale, non riscontrandosi una motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, resta precluso il giudizio in sede di legittimità.
Come noto, infatti, la ricostruzione della vicenda storica e la sua valutazione in fatto costituisce indagine che è monopolio del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità nei ristretti ambiti del vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c..
Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa, contraddittoria o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (per tutte v. Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).
Invero la Corte di cassazione non ha il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. SS.UU. n. 5802 del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006; n. 18119 del 2008).
Nella specie parte ricorrente non individua un “fatto controverso e decisivo”che  sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, in rapporto di causalità tale con la soluzione giuridica della controversia da far ritenere, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, che la sua corretta considerazione avrebbe comportato una decisione diversa. Piuttosto si limita a ribadire il suo assunto, sicché il motivo in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.
5. — Conclusivamente il ricorso va respinto.
Il presente giudizio è stato instaurato vigente l’art. 152 disp. att. c.p.c. nella formulazione introdotta dall’art. 42, d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni nella l. n. 326 del 2003.
Non avendo allegato il ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere assolto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado all’onere autocertificativo di cui alla disposizione citata (Cass. n. 9859 del 2014; Cass. n. 9651 del 2014; Cass. n. 9471 del 2014, Cass. n. 9386 del 2014), le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 17 novembre 2015

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