Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 febbraio 2016, n. 3069

Non devono computarsi nel periodo di comporto le assenze determinate da infortunio, quando l’evento trovi causa nella violazione degli obblighi di sicurezza che gravano sul datore di lavoro.


Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO
Data pubblicazione: 17/02/2016

Fatto

Con sentenza n. 741/2012, depositata il 16 agosto 2012, la Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza del Tribunale di Savona, respingeva il ricorso di F.M. volto a ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli da Polimeri Sud s.r.l. per superamento del periodo di comporto.
La Corte territoriale richiamava, in primo luogo, il consolidato orientamento di legittimità, già sostanzialmente fatto proprio anche dal giudice di primo grado, secondo il quale non devono computarsi nel periodo di comporto le assenze determinate da infortunio, quando l’evento trovi causa nella violazione degli obblighi di sicurezza che gravano sul datore di lavoro in forza dell’art. 2087 c.c.; osservava, quindi, come l’infortunio dedotto in giudizio, dal quale soltanto dipendeva il superamento o meno del periodo di comporto, non potesse ascriversi ad inadempimento del datore di lavoro, ai sensi di detta norma: sia perché, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, non poteva attribuirsi valore confessorio alla denuncia ex art. 53 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; sia perché il primo giudice aveva del tutto trascurato, sulla base di un sommario giudizio di lacunosità e scarsa attendibilità, le risultanze delle prove orali, le quali avevano invece coerentemente smentito la versione del ricorrente e, in particolare, escluso che l’evento denunciato dal collega (e cioè la caduta di un mobile durante operazioni di trasporto) si fosse verificato con le modalità proposte, con la precisazione che il F.M. aveva terminato il proprio turno di lavoro senza lamentarsi di alcunché.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza F.M., affidandosi ad unico motivo; ha resistito Polimeri Sud s.r.l. in liquidazione con controricorso.

Diritto

Con unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli arti. 1218 e 2087 c.c, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c, e manifesta illogicità della motivazione.
In sostanza, il ricorrente censura la sentenza impugnata: (a) per avere omesso di valutare la denuncia di infortunio presentata all’INAIL dalla società datrice di lavoro, osservando come tale documento, per i requisiti di contenuto prescritti dall’art. 53 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, costituisse prova effettiva non solo del verificarsi dell’evento ma anche delle relative modalità e delle cause che lo avevano determinato, così da implicare l’assunzione, da parte della società, di responsabilità per i fatti nel medesimo descritti e da escludere la necessità di ulteriori accertamenti in fatto; (b) per avere omesso di prendere in esame le prove, dalle quali emergeva la responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell’Infortunio, fondando invece il proprio giudizio sulle sole testimonianze favorevoli alla società e senza peraltro motivare tale scelta; (c) per non avere infine considerato in alcun modo le risultanze della consulenza tecnica di ufficio, senza motivare l’esclusione di esse dal materiale conoscitivo oggetto di indagine e valutazione.
Il ricorso non può essere accolto.
Esso, infatti, si pone in radicale contrasto, e sotto plurimi profili, con le previsioni di cui all’art. 366, comma primo, nn. 4 e 6 c.p.c. e con la giurisprudenza di legittimità che su di esse si è formata.
In primo luogo, sì deve osservare come il motivo non contenga, nella realtà, una censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., pur richiamati nella rubrica, non evidenziando alcuna erronea applicazione, da parte del giudice di appello, delle regole che presiedono in materia al riparto dell’onere della prova e sostanziandosi, invece, in una critica della valutazione delle risultanze probatorie, documentali e orali, dal medesimo operata.
Al riguardo, è consolidato l’orientamento, per il quale “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, anche prima della riforma introdotta con il d. lgs. n. 40 del 2006, assume una funzione ideritificativa condizionata dalia sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito” (cfr., fra le molte altre, Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; conforme, per un caso in cui, proposto ricorso ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente si doleva, in realtà, di un vizio di motivazione della sentenza, Cass. 16 settembre 2013, n. 21099).
Inoltre, e ancora con riferimento al requisito di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 c.p.c., si osserva che il ricorso non può limitarsi a contenere generiche censure che richiamino l’erroneità o l’inadeguatezza della motivazione, ma deve indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali il controllo di logicità e di adeguatezza della motivazione viqne sollecitato.
Ne consegue, in particolare, che, quando si alleghi che il vizio di motivazione deriva dalla mancata o erronea valutazione di risultanze istruttorie (come nel caso concreto, in cui il ricorrente lamenta l’omessa valutazione da parte del giudice di secondo grado della denuncia di infortunio, di parte delle risultanze delle prove testimoniali e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio), il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente ogni prova che asserisce essere stata non valutata o mal valutata dal giudice del merito, chiarendo le ragioni che la rendono decisiva.
Su tali premesse è, pertanto, necessario, secondo costante giurisprudenza, che il ricorso riporti la trascrizione (integrale o anche sintetica ma esauriente) del contenuto della prova, quanto meno con riferimento alle parti che si ritengono erroneamente disattese o inesattamente valutate, e che siano formulate critiche concrete e puntuali alla valutazione che si contesta: quanto alle prove documentali, si richiamano, fra le altre, Cass. 7 febbraio 2011, n. 2966; quanto alle prove testimoniali, Cass. 12 giugno 2006, n. 13556; quanto alla consulenza tecnica di ufficio, Cass. 6 settembre 2007, n. 18688.)
A tale onere si è sottratto il ricorrente, non indicando il contenuto della denuncia di infortunio presentata all’INAIL dal datore di lavoro in relazione all’evento dedotto in giudizio ma esclusivamente sottolineando i requisiti che, in generale, tale documento deve possedere in conformità alle previsioni dell’art. 53 del d.P.R. n. 1124/1965; ed inoltre non riportando né il contenuto delle prove testimoniali, che assume a sé favorevoli, né le risultanze della consulenza tecnica di ufficio.
Deve in ogni caso essere confermato il costante Orientamento che, nel definire i limiti del controllo di legittimità sulla motivazione, ribadisce che compete in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere dal complesso delle risultanze acquisite quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr, fra le molte Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R, n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 2 dicembre 2015.

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