Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 luglio 2016, n. 14628

Riconoscimento del diritto all’indennizzo per malattia professionale (rachipatia). Mancata rinnovazione della consulenza tecnica.


Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: DORONZO ADRIANA
Data pubblicazione: 18/07/2016

Fatto

1. Il Tribunale di Chieti ha rigettato la domanda proposta da F.D’A., volta ad ottenere il riconoscimento del diritto all’indennizzo per malattia professionale (rachipatia), contratta nel corso dell’attività lavorativa.
2. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza depositata in data 23 giugno 2010, che ha condiviso il ragionamento espresso dal primo giudice sulla base della consulenza tecnica d’ufficio disposta in quel grado e ritenendo non necessaria una nuova consulenza tecnica, stante la chiarezza e la logicità della prima.
3. Contro la sentenza, il F.D’A. propone ricorso per cassazione sostenuto da un unico motivo, sintetizzato in due quesiti di diritto (quantunque non richiesti stante l’intervenuta abrogazione dell’art. 366 bis cod.proc.civ.), cui resiste l’INAIL con controricorso.

Diritto

1.- Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza per omessa e/o insufficiente motivazione sulle specifiche censure mosse alla sentenza di primo grado e, in particolare, per la mancata rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, necessaria alla luce delle gravi carenze riscontrate nella consulenza tecnica d’ufficio con riguardo all’anamnesi lavorativa, alla sua esposizione al rischio e alla tipicità della malattia professionale, costituita da una osteopatia da postura. A conclusione dell’illustrazione del motivo, chiede se, in materia di prestazioni previdenziali, a fronte di specifici motivi di appello suffragati da note mediche controperitali il giudice di merito sia tenuto a motivare il diniego di rinnovo della c.t.u. o, quantomeno, ad esaminare le critiche specifiche; e se a fronte di malattia tabellata con elevata origine professionale ai sensi del DM 14 gennaio 2008 il giudice di merito debba valutare e motivare se i criteri medico-legali adottati dal c.t.u. siano o meno in linea con i canoni fondamentali della scienza e quale sia l’onere della prova.
4. Il motivo è fondato nei limiti di cui si dirà.
5. La sentenza resa dalla Corte d’appello, nella sua laconicità, non dà conto delle ragioni per le quali ha ritenuto “chiaro e convincente” il parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio e ciò nonostante le puntuali osservazioni critiche svolte dal consulente di parte del lavoratore, poste a base dei motivi di appello e puntualmente riportate nel ricorso per cassazione, e le dichiarazioni rese dai testimoni escussi nel giudizio di primo grado (anch’esse riportate nel ricorso per cassazione nel rispetto del principio di autosufficienza) i quali hanno confermato che per circa trent’anni il ricorrente ha svolto lavori che hanno comportato movimentazioni di pesi notevoli in posizioni incongrue. Nello stesso ricorso in appello, il ricorrente ha sottolineato come studi scientifici abbiano correlato affezioni muscolo scheletriche ad alcuni fattori di rischio, tipici dell’attività lavorativa in edilizia, come la movimentazione manuale dì carichi pesanti e il mantenimento protratto di posture incongrue.
6. L’opportunità del rinnovo della consulenza è stata quindi dedotta sia sul presupposto che la relazione del c.t.u. non aveva tenuto conto delle specifiche mansioni svolte, come descritte dai testimoni escussi, sia sotto il profilo dell’inadeguata, illogica ed immotivata adesione del Tribunale alle conclusioni del consulente a fronte dei rilievi critici del consulente di parte.
7. Ora, è noto che la consulenza tecnica d’ufficio ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede e che non è destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova previsti dall’alt. 2697 c.c. (Cass. 3 maggio 2007, n. 10182; 5 ottobre 2006, n. 21412).
8. In particolare, relativamente al rinnovo della c.t.u. va osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte allorquando si richieda in appello la rinnovazione della consulenza contestando non i dati tecnico – storici accertati ma le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, da un lato l’istanza è ammissibile in quanto non si versa nell’ipotesi di richiesta di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e dall’altro il giudice non ha un obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito. Egli tuttavia deve prendere in considerazione i rilievi tecnico-valutativi mossi dall’appellante alle valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata (Cass.,17 dicembre 2010, n.25569). La decisione, anche implicita, di non disporre una nuova indagine non è sindacabile in sede di legittimità qualora gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione della consulenza formulata da una delle parti siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice con valutazione immune da vizi logici e giuridici.
9. Nei caso di specie, la estrema sinteticità della motivazione, con cui la Corte si limita a richiamare il giudizio del Tribunale e gli argomenti “logici ed incontrovertibili” del c.t.u. senza esplicitare né l’uno né gli altri, e ad escludere l’origine professionale della malattia in mancanza di “un solo elemento che consenta… di ritenere fondata la tesi deill’appellante”, senza prendere in esame i rilievi posti nel ricorso in appello, e in particolare le osservazioni del tecnico di fiducia del ricorrente e l’anamnesi lavorativa come desumibile dalle testimonianze acquisite nel corso del giudizio, non soddisfa il parametro della sufficienza della motivazione ed impone la cassazione della sentenza (v. Cass., 27 aprile 2011, n. 9379; Cass., 2 agosto 2004, n. 14775). Resta assorbito l’ulteriore profilo dì censura riguardante la natura tabellata della malattia, rientrando nel potere-dovere del giudice di accertare, nel quadro della sintomatologia allegata e relativa alla lavorazione dedotta, l’effettiva sussistenza della tecnopatia e la sua eventuale riconducibilità ad una delle lavorazioni tabellate evincibili dagli elementi anamnestici in atti (cfr. Cass., 19 maggio 2003, n. 7854). In definitiva, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altro giudice di appello, che riesaminerà la controversia alla luce delle su esposte considerazioni e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione.
Roma, 21 aprile 2016

 

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