Repertorio Salute

Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 ottobre 2015, n. 21044

Infortunio sul lavoro. Il procedimento di revisione non può essere introdotto per procedere ad una nuova valutazione del danno originario.


 

Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO
Data pubblicazione: 19/10/2015

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Urbino, depositato il 2.6.03, M.G. premetteva che il 12 giugno 1991 aveva subito un infortunio sul lavoro (riportando “perdita anatomica della falange ungueale del primo dito dello mano sx”), per il quale gli erano stati riconosciuti postumi permanenti nella misura del 12%, con costituzione della relativa rendita, confermata in sede di revisione dell’8.11.2001; che avverso tale valutazione (nella quale non si era tenuto conto della circostanza che la perdita della falange aveva interessato l’arto dominante) egli aveva infruttuosamente proposto opposizione (alla revisione) in sede amministrativa in data 24 gennaio 2002; conveniva quindi in giudizio l’INAIL perché fosse condannato alla corresponsione della maggior rendita pari al 15% di inabilità lavorativa, o al diverso grado che fosse risultato di giustizia, con decorrenza dalla data della revisione, oltre interessi legali.
Si costituiva l’Istituto, deducendo che la censura sollevata dal ricorrente avrebbe dovuto essere fatta valere mediante opposizione (prima in sede amministrativa e poi, eventualmente, in sede giudiziaria) all’originario provvedimento di riconoscimento dei postumi permanenti e non invece in sede di procedimento di revisione, il quale ha per oggetto l’accertamento di una modificazione della situazione clinica esistente al momento dell’infortunio, e non poteva dunque sfociare in una nuova valutazione del danno originario.
Il Tribunale, disposta c.t.u., con sentenza del 12.4.05, accoglieva parzialmente la domanda e condannava l’INAIL a corrispondere all’assicurato la maggior rendita pari al 15%, con decorrenza dal gennaio 2002, ritenendo che – fermo restando che in sede di revisione ex art. 83 d.P.R. n. 1124\65 potevano essere valutate esclusivamente le modificazioni delle condizioni fisiche del titolare della rendita, senza potersi procedere ad una nuova valutazione del danno originario – da tale data si era verificato un peggioramento delle condizioni di salute dell’assicurato.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’INAIL; resisteva il M.G..
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 2 maggio 2007, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, respingeva la domanda proposta dal M.G. in primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultimo, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste l’INAIL con controricorso.

Diritto

l.-Con il primo motivo il M.G. denuncia la violazione e falsa applicazione deU’art. 436 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se, a fronte di una sentenza che ha riconosciuto ia sopravvenienza di un aggravamento dei postumi di infortunio, elevando dal 12 a! 15% ii grado di inabilità, l’appellato era tenuto, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. a proporre appello incidentale per ottenere ia conferma dei grado di inabilità riconosciuto in primo grado, anziché limitarsi a chiedere ia semplice conferma della sentenza impugnata, ed ii rigetto dell’appello di controparte.
Il motivo, a prescindere dall’ammissibilità del quesito (non contenente: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, cfr., ex aliis, Cass. 17 luglio 2008 n. 19769), è inammissibile per difetto di interesse, posto che la questione sottoposta non incide sull’esito della sentenza impugnata, che ha respinto la domanda per non essere intervenuto alcun aggravamento rispetto alla situazione clinica accertata al momento del riconoscimento della rendita.
2 – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 d.P.R. n. 1124\65 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Formula il seguente quesito di diritto:” Dica la Corte che, come ritenuto dal Tribunale di Urbino, se è vero che il procedimento di revisione ha per presupposto una modificazione delle condizioni fìsiche del titolare delia rendita, e non può dunque essere introdotto per procedere ad una nuova valutazione del danno originario (arg. ex art. 83 tu. n.1124/1965), è altrettanto vero che nel caso in esame si versa proprio in ipotesi di modificazione (sub specie di aggravamento) dì quelle condizioni, in quanto il consulente ha chiarito che i postumi permanenti sono sopravvenuti, nella misura riscontrata del 15%, solo a far tempo da! 24 gennaio 2002.
Il motivo è inammissibile. A prescindere anche qui dalla ritualità del quesito di diritto (laddove sottopone a questa Corte un nuovo apprezzamento delle risultanze di causa), deve osservarsi che lo stesso ricorrente afferma che “il procedimento di revisione ha per presupposto una modificazione delle condizioni fisiche del titolare della rendita, e non può dunque essere introdotto per procedere ad una nuova valutazione del danno originario (arg. ex art. 83 t.u. n. 1124/1965)”; sostenendo che il c.t.u. avrebbe accertato un successivo aggravamento, senza chiarire, in contrasto col principio di autosufficienza, in qual modo e con quale argomentazione l’ausiliare avrebbe affermato, a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, che il maggior danno (in sostanza derivante dall’originario mancinismo) costituiva un aggravamento dei postumi clinici dell’originario danno.
Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Nulla per le spese, essendo stato il ricorso introduttivo depositato precedentemente al d.i. 30 settembre 2003 n. 269.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 maggio 2015

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