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Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 novembre 2015, n. 23793

Rapina all’ufficio postale e mancanza di misure di sicurezza. Richiesta di risarcimento danni.


Fatto

Con sentenza depositata l’1.11.09 il Tribunale di Perugia condannava Poste Italiane S.p.A. a pagare alla dipendente C.B. il risarcimento dei danni da lei patiti in occasione d’una rapina, avvenuta il 9.11.01, ai danni dell’ufficio postale di Borgo Cerreto presso il quale lavorava.
Con sentenza depositata il 19.5.11 la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, riduceva a complessivi euro 9.119,15 il risarcimento spettante ex art. 2087 c.c. – per il solo danno biologico, con esclusione di quello morale – alla predetta lavoratrice, che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a due motivi.
Poste Italiane S.p.A. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale basato su tre motivi, cui a sua volta resiste con controricorso la C.B..

Diritto

1- Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi perché aventi ad oggetto la medesima sentenza.
2- Il ricorso principale
Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli arti. 2087, 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c.p., nonché vizio di motivazione, nella parte in cui la gravata pronuncia ha escluso la risarcibilità del danno morale sull’erroneo presupposto della sua confìgurabilità solo in via extracontrattuale e in presenza di reato.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sulla domanda subordinata proposta dalla C.B., che aveva chiesto anche in via extracontrattuale il risarcimento del danno morale (oltre a quello biologico).
3- Il ricorso incidentale
Il primo motivo prospetta violazione dell’art. 2087 c.c. e vizio di motivazione per non avere i giudici di merito individuato quale misura di sicurezza dovesse in concreto esigersi dalla società, a tal fine non bastando un generico rinvio ad ogni cautela possibile e innominata diretta a prevenire l’evento dannoso (la rapina, nel caso di specie).
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione per non essere stata raggiunta la prova che l’infortunio di cui era rimasta vittima la lavoratrice (che, con la pistola di uno dei rapinatori puntatale contro, era stata rinchiusa per almeno venti minuti in un bagno) fosse dipeso proprio dalla mancata osservanza di norme di sicurezza da parte del datore di lavoro.
Il terzo motivo lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 414, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata basato il riconoscimento del danno biologico patito dalla C.B. su una CTU che non aveva fornito alcuna prova rigorosa, in termini di nesso causale, tra la rapina e l’asserita omissione di misure di sicurezza da parte della società, da un lato, e – dall’altro – i disturbi di carattere psichico lamentati dalla lavoratrice.
4- Per esigenze di ordine espositivo è opportuno esaminare dapprima i motivi del ricorso incidentale, che investono l’esistenza stessa d’una responsabilità risarcitoria di Poste Italiane S.p.A.
Il primo motivo è infondato.
Come anche di recente questa Corte Suprema ha avuto modo di statuire proprio in riferimento ad una rapina ad un ufficio postale (cfr., da ultimo, Cass. n. 7405/15), l’art. 2087 c.c. rende necessario l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell’integrità fisiopsichica dei lavoratori nei confronti dell’attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale. Nello specifico, questa Corte ha cassato la sentenza che aveva negato il nesso causale tra la verificazione degli eventi criminosi e la mancata adozione di qualsivoglia misura specificamente diretta ad impedire, prevenire o comunque rendere più difficoltoso il realizzarsi di rapine ai danni di un ufficio postale di ridotte dimensioni, presso il quale non vi era alcun sistema di allarme rivolto all’esterno, ma solo ima protezione del banco cassa con vetro antisfondamento.
Analoga è la situazione che è stata accertata dai giudici di merito nella vicenda in esame, nel senso che gli unici accorgimenti contro il rischio di rapine erano costituiti da sbarre alle finestre, pareti esterne a spessore rinforzato ed istruzioni affinché il personale dell’ufficio non opponesse resistenza alcuna.
Ciò premesso, va ribadito che è dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa di riferimento o comunque esigibili secondo la tecnologia del momento, il che non significa che tali mezzi debbano essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi siano idonei, secondo criteri di comune esperienza, a svolgere una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva.
Inoltre, se è vero che dall’art. 2087 c.c. non può evincersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni qual volta si verifichi un danno (cfr., ad esempio, Cass. n. 12863/04), nondimeno nel caso di specie i giudici di merito hanno in concreto individuato (v. pag. 5 della sentenza impugnata) svariati accorgimenti suggeriti dalla tecnica al giorno d’oggi disponibile al fine di prevenire il rischio di rapine, evidenziando che nessuno di essi era stato adottato presso l’ufficio postale di Borgo Cerreto.
5- Ancora infondati sono il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale, da esaminarsi congiuntamente perché entrambi aventi ad oggetto la prova del nesso causale tra la patologia sviluppata dalla lavoratrice e la rapina di cui è stata vittima.
Come si legge nella gravata pronuncia, tale nesso causale è stato specificamente accertato dall’espletata CTU, condivisa dai giudici di merito anche in base al rilievo che prima della rapina in discorso la ricorrente non aveva manifestato nessuno dei disturbi psichici poi riscontratile subito dopo.
Quanto all’asserita mancanza di allegazione – a monte – del nesso eziologico da parte della ricorrente, si tratta di censura comunque non autosufficiente perché non trascrive né allega l’atto introduttivo di lite che, secondo Poste Italiane S.p.A., sarebbe risultato carente.
6- Il primo motivo del ricorso principale va disatteso.
È pur vero che, secondo Cass. S.U. n. 26972/08, il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale.
Tuttavia – sempre alla luce della citata pronuncia delle S.U., che qui si condivide – il danno morale non costituisce un’autonoma posta di danno diversa da quella relativa al c.d. danno biologico, entrambi essendo riconducibili al più ampio concetto di danno non patrimoniale.
Ed è significativo, ad esempio, che anche la più recente giurisprudenza (cfr. Cass. n. 11851/15, che qui si condivide) che, in sostanziale contrario avviso rispetto a Cass. S.U. n. 26972/08, ammette un’autonoma risarcibilità del danno morale – ove ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato – distinto da quello biologico, lo fa soltanto in ipotesi di lesioni di non lieve entità e, dunque, al di fuori dell’ambito applicativo delle lesioni c.d. micro permanenti di cui all’art. 139 del d.lgs. 7.9.05 n. 209 (il cui co. 3° consente soltanto, previo equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, un aumento dell’importo liquidato per il danno biologico in misura non superiore ad un quinto).
A ciò si aggiunga che nel caso in oggetto la ricorrente principale – che ha riportato un’inabilità permanente pari al 5% (come si legge nella gravata pronuncia), ossia una micro permanente – non ha allegato in cosa sia consistito il danno morale al di là di quello biologico già inteso nella sua dimensione dinamica, il che dimostra la non decisività della doglianza.
Ciò assorbe la disamina del secondo motivo del ricorso principale.
7- In conclusione, entrambi r ricorsi vanno rigettati, il che consiglia di compensare per intero le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,
riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa per intero le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, in data 7.10.15.

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