Malattia a patogenesi multifattoriale.
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: RIVERSO ROBERTO
Data pubblicazione: 21/04/2016
Fatto
Con la sentenza n. 9028/2011, pubblicata il 6.12.2011, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello proposto da G.R. contro la sentenza di primo grado del Tribunale capitolino che aveva respinto la sua domanda volta ad accertare la natura professionale della malattia da egli denunciata all’Inail (laringopatia cronica con formazioni polipoidi e lesioni leucoplastiche) ed ottenere conseguentemente la condanna dell’Istituto alla costituzione di una rendita in misura da accertarsi, previa ctu o in separato giudizio.
In particolare la Corte d’Appello, previa ammissione di ctu sulla natura della malattia, non ammessa in primo grado, respingeva l’appello fondandosi sia sulla approfondite ed articolate motivazioni della relazione peritale; sia sulla confutazione dei rilievi critici formulati dall’appellante nei riguardi della medesima, con il richiamo dei contenuti del supplemento di ctu; atti dai quali risultava che la malattia denunciata dal ricorrente non fosse da riconoscere come correlata eziologicamente alle mansioni lavorative in quanto non era tabellata, si trattava di malattia a patogenesi multifattoriale, era di comune riscontro nella popolazione non esposta a rischi specifici, anche in considerazione del pregresso tabagismo del ricorrente e la sospetta diatesi allergica. Avverso detta sentenza G.R. propone ricorso affidando le proprie censure a due motivi con i quali chiede la cassazione integrale della sentenza.
Resiste INAIL con controricorso.
Diritto
1.- Con il primo motivo il ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.116 in relazione (art. 360 n. 3 e/o n. 5 c.p.c.) ovvero error in iudicando e/o error in procedendo in quanto la sentenza era fondata sulle conclusioni viziate del ctu, su una documentazione di parte INAIL cioè sulle indagini della Ecocontrol s.r.l. nel perìodo novembre 2000-febbrario 2001; su una ricerca del ctu condotta su letteratura anonima e non verificata; su un pregresso tabagismo e su un mero sospetto (la sospetta diatesi allergica).
Il primo motivo è inammissibile, sia perché non rispetta il principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione a tal fine essendo necessario indicare, richiamare e produrre tutti i documenti ai quali si è fatto riferimento nel ricorso. Sia perché si condensa nell’espressione di un mero dissenso diagnostico volto a contestare nel merito la decisione impugnata, attraverso una generalizzata censura formulata in base ad una propria valutazione di parte. Si tratta pertanto di motivo da ritenersi inammissibile siccome per consolidato orientamento di questa Corte la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio può essere contestata in Cassazione soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce appunto un mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice.
2. – Con il secondo motivo il ricorso lamenta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa ulteriori fatti decisivi per il giudizio, ovvero ulteriore violazione o falsa applicazione dell’art.116 c.p.c. (art. 360 n. 3 e/o n. 5 c.p.c.) ovvero error in iudicando e/o error in procedendo, in quanto la sentenza non ha seguito un iter logico ben definito per formare il proprio convincimento, laddove, contraddicendosi la Corte afferma per un verso che presso l’aeroporto di Fiumicino fosse presente un agente potenzialmente lesivo e nel contempo che mancasse il nesso eziologico e che la malattia fosse plurifattoriale. Inoltre la Corte avrebbe reso una motivazione contraddittoria laddove afferma che il ricorrente sarebbe stato licenziato per inidoneità non solo per la malattia di cui si discute, ma anche per una patologia della colonna vertebrale.
Il secondo motivo è da disattendere per infondatezza, posto che non vi è alcuna illogicità, né mancata valutazioni di fatti, nella tesi sostenuta in sentenza laddove la Corte affermerebbe che presso l’aeroporto di Fiumicino dove lavorava il ricorrente fosse presente un agente potenzialmente lesivo e nel contempo che mancasse il nesso eziologico con la sua malattia o che questa fosse plurifattoriale.
Com’è noto, nelle malattia non tabellate il nesso di causa va provato dal lavoratore assicurato. Ma esso non può essere affermato in modo rigidamente deterministico sulla base del solo riscontro della presenza di un fattore di rischio nel luogo di lavoro. Occorre invece sempre la verifica della probabilità logica che rispetto a quella epidemiologica o statistica consente la verifica aggiuntiva dell’attendibilità dell’impiego della legge scientifica al singolo evento, in base al c.d. giudizio controfattuale. Dunque perché l’evento risulti attribuibile ad un agente patogeno partendo da una legge statistica o da una indagine epidemiologica è necessario dimostrare nel singolo caso concreto, in modo razionalmente controllabile che, senza quella esposizione professionale, con un alto grado di probabilità logica, l’evento non si sarebbe verificato. Questa verifica è richiesta sempre, ed in ogni caso, quale che sia il livello statistico della legge di copertura; ergo, per poter reggere alla verifica della probabilità logica, l’evento concreto deve essere sempre fortemente contestualizzato: ossia precisato con molti dettagli circostanziali, perché si possa restringere lo spettro delle sue possibili cause alternative; affinché la consistenza delle frequenze note consenta di individuare con elevata probabilità la causa.
Pertanto la presenza di fattore di rischio non è di per sé solo sufficiente ad accertare il nesso di causa con la singola malattia professionale. Esso può servire ad indicare una mera potenzialità, ai fini della causalità generale ovvero ad indicare l’idoneità, la capacità in generale di una sostanza a provocare malattie professionali; ad indicare il rischio che incombe sulla popolazione indagata. Ma non può servire alla causalità individuale ovvero ad individuare il nesso che lega una attività precisa ad un singolo evento lesivo, che va invece ricostruito secondo il criterio della conditici sine qua non, della causalità necessaria. Soprattutto quando si tratti di malattia multifattoriale e vi è prova dell’esistenza di fattori causali alternativi o di confondimento rispetto a quello professionale. Nel caso di specie la Corte ha affermato che la malattia denunciata è comune, multifattoriale, collegabile anche al pregresso tabagismo ed alla sospetta diatesi allergica del lavoratore ricorrente; mentre la stessa attività lavorativa da egli svolta non era espletata in ambiente confinati in stretto contatto con agenti lesivi, ma prevalentemente all’esterno o in contesti areati.
Si tratta di affermazioni logiche, coerenti con la conclusione presa e con il concetto di nesso causale accolto nel nostro ordinamento secondo l’oramai consolidata giurisprudenza, l’analisi della quale conferma come tutto il ragionamento attorno al nesso causale si muove sul terreno della causalità probabilistica, intesa non in termini puramente quantitativi ma qualitativi secondo il modello della probabilità logica, alla stregua dei comuni canoni di certezza processuale.
3. – Nessun rilievo ha poi ai fini della causa il fatto che il ricorrente sia stato licenziato per inidoneità soltanto per la malattia di cui si discute oppure anche per una patologia della colonna vertebrale; siccome questo non incide in alcun modo sulla natura professionale o meno della medesima malattia.
4. – Il ricorso deve essere quindi rigettato ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità che liquida in € 100 per esborsi ed in € 3000 per compensi professionali , oltre accessori di legge.
così deciso in Roma il 2 febbraio 2016