Anche nella materia degli infortuni sui lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge” (Cass. 11 novembre 2014, n.23990; conforme Cass. 26 marzo 2015, n. 6105, in un caso in cui la sentenza di merito aveva, con giudizio probabilistico, ritenuto il tabagismo prevalente in punto di efficacia causale della malattia neoplastica polmonare senza dare rilievo all’esposizione lavorativa ai fumi di fonderia di fusione dell’acciaio).
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO
Data pubblicazione: 22/03/2016
Fatto
Con sentenza n. 137/2011, depositata il 29 giugno 2011, la Corte di appello di Perugia confermava la sentenza del Tribunale di Perugia che aveva respinto la domanda di E.B. volta ad ottenere, nei confronti dell’INAIL, l’accertamento del diritto alla rendita ai superstiti ex art. 85 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 in conseguenza del decesso per neoplasia polmonare del coniuge A.C., già bracciante agricolo alle dipendenze di un’azienda gestita dall’Università degli Studi di Perugia.
A sostegno della propria decisione la Corte osservava come il consulente d’ufficio avesse concluso, anche alla luce delle deposizioni testimoniali acquisite in grado di appello, nel senso di una valutazione di mera probabilità concausale tra rischio lavorativo e patologia neoplastica, tenuto conto del passato dì fumatore del A.C., sia pure risalente; inoltre, esaminate le risultanze delle prove testimoniali, rilevava come non fosse stata dimostrata, per tempi e modi della prestazione lavorativa, l’esposizione del lavoratore a sostanze effettivamente cancerogene.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza E.B. con quattro motivi, illustrati da memoria; l’INAIL ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato, inoltre, osservazioni scritte in replica alle conclusioni del Pubblico Ministero.
Diritto
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, quale risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 179/1988, e degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., non avendo la sentenza impugnata tenuto conto di diversi documenti, relativi alla nocività delle lavorazioni svolte dal A.C. per l’impiego di sostanze cancerogene, e dell’opposta valutazione di un caso analogo da parte dell’INAIL, elementi tutti che avrebbero portato, nella specie, al riconoscimento della natura professionale della neoplasia polmonare che aveva determinato il decesso del A.C..
Inoltre la Corte territoriale, pur affermando di condividere le conclusioni cui era giunto il consulente tecnico d’ufficio, anche sulla scorta degli elementi risultanti dalle prove per testi, e cioè che il giudizio circa il nesso eziologico tra rischio lavorativo e malattia non poteva che essere, nella specie, “di mera probabilità concausale”, non aveva poi tratto da tali conclusioni le implicazioni derivanti dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale, in presenza di plurimi fattori causali e alla stregua del principio di equivalenza stabilito dall’art. 41 c.p., attribuisce efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per non avere la Corte preso in considerazione gli stessi elementi già indicati con il primo motivo.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 112, 421 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e connesso vizio di omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per non essersi la Corte pronunciata sull’istanza di ordine di esibizione del fascicolo INAIL relativo al caso di riconoscimento della prestazione a favore di un collega del A.C., che aveva lavorato nello stesso periodo e nello stesso ambiente del defunto e che era stato esposto alle stesse sostanze nocive.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per essere la Corte pervenuta ad escludere l’esposizione al rischio senza tenere conto di decisive risultanze istruttorie di segno contrario.
Sono fondati e devono essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata ha affermato di condividere pienamente le valutazioni del CTU, per il quale il giudizio circa il nesso eziologico tra rischio lavorativo e malattia tumorale “non può che essere di mera probabilità causale”.
A tale conclusione il CTU era pervenuto, anche alla luce delle deposizioni testimoniali, rilevando come fosse indubbia la potenzialità lesiva dei tossici con i quali il A.C. era venuto in contatto per motivi professionali; come pure non potessero esservi dubbi sulla potenziale cancerogenicità del fumo di sigaretta (il A.C. aveva avuto un passato di fumatore, sia pure risalente); come fossero potenzialmente cancerogeni altri tossici ambientali (cfr. sentenza, pag. 5).
Sulla base della consulenza tecnica d’ufficio nonché di una propria rivisitazione critica delle deposizioni testimoniali, la Corte è pervenuta al rigetto dell’appello.
Peraltro la sola condivisione, da parte della Corte territoriale, del giudizio di probabilità concausale formulato dal CTU all’esito delle indagini avrebbe dovuto condurre all’esame di una diversa conclusione.
E’, infatti, consolidato l’orientamento di questa Suprema Corte, per il quale “anche nella materia degli infortuni sui lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge” (Cass. 11 novembre 2014, n. 23990; conforme Cass. 26 marzo 2015, n. 6105, in un caso in cui la sentenza di merito aveva, con giudizio probabilistico, ritenuto il tabagismo prevalente in punto di efficacia causale della malattia neoplastica polmonare senza dare rilievo all’esposizione lavorativa ai fumi di fonderia di fusione dell’acciaio).
Tale principio non risulta applicato nella sentenza impugnata, la quale, aderendo alle conclusioni del CTU e, quindi, riconoscendo l’attitudine lesiva delle sostanze tossiche con cui il lavoratore era venuto in contatto nella sua lunga attività di bracciante agricolo, ha, con ciò solo, dato atto dell’intervenuta dimostrazione di un fattore causale di per sé in grado di concorrere (in termini addirittura probabilistici, nella ricostruzione del CTU) alla determinazione dell’insorgere della malattia; né, sotto altro profilo, la sentenza risulta avere esaminato, o comunque adeguatamente considerato, il materiale documentale, anche di provenienza INAIL, acquisito in giudizio e avente ad oggetto la nocività delle lavorazioni agricole cui era stato lungamente adibito il A.C., esprimendo sul punto, da ritenere senza dubbio decisivo, considerazioni sommarie e generiche.
L’accoglimento del primo e del secondo motivo comporta l’assorbimento degli altri.
La sentenza n. 137/2011 della Corte di appello di Perugia deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 16 dicembre 2015.