Domanda di regresso dell’Inail nei confronti del datore di lavoro di una vittima di infortunio sul lavoro.
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: RIVERSO ROBERTO
Data pubblicazione: 23/06/2016
Fatto
Con la sentenza n. 503/2010, pubblicata il 24.11.2010, la Corte d’Appello di Caltanisetta rigettava l’appello proposto dall’INAIL contro la sentenza del Tribunale locale con cui era stata respinta la domanda di regresso ex artt. 10 e 11 dpr 1124/65 esercitata dall’Istituto nei confronti di D.A.F., datore di lavoro di C.I. deceduto per infortunio sul lavoro il 30 gennaio 1991, allo scopo di recuperare le prestazioni erogate alla madre di questi a titolo di rendita ai superstiti e rimborso spese funerarie.
Il primo giudice aveva respinto la domanda sul rilievo dell’insussistenza del requisito della vivenza a carico del defunto da parte della madre beneficiaria delle prestazioni erogate dall’INAIL La Corte d’Appello affermava che correttamente il giudice di primo grado avesse esaminato l’eccezione concernente il rapporto assicurativo in quanto nell’azione dì regresso a differenza che in quella di surrogazione ex art. 1916 c.c. rivolta contro il terzo responsabile, il datore di lavoro è legittimato ad opporre all’assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto assicurativo. Nel merito confermava che non sussistesse il requisito della vivenza a carico che è presupposto per l’attribuzione del diritto alla rendita per infortunio sul lavoro in favore dei superstiti ex artt. 85 e 106 d.p.r. 1124/65; così come per le somme erogate a titolo di rimborso spese funerarie, quando effettuate a favore del medesimi superstiti (in mancanza del coniuge e di figli) .
Avverso detta sentenza l’INAIL propone ricorso affidando le proprie censure ad un unico motivo con il quale chiede la cassazione integrale della sentenza. L’intimato non ha svolto attività difensiva. L’Inail ha depositato memoria al sensi dell’art 385 c.p.c.
Diritto
1. – Con un unico motivo di ricorso l’INAIL deduce la violazione e falsa applicazione degli art.10 e 11 dpr 1124/65 (art. 360 n.3 c.p.c.) in quanto il datore in sede di regresso non potrebbe sindacare l’operato dell’Istituto sulla ricorrenza della vivenza a carico, posto che il destinatario dell’azione di rivalsa, sia essa surroga o regresso, non può sollevare eccezioni che riguardano il rapporto assicurativo che lega il lavoratore all’INAIL ; né tantomero il giudice di merito può respingere l’azione di rivalsa perché l’istituto non avrebbe dovuto erogare le prestazioni di legge. E ciò sia perché il datore di lavoro è estraneo al rapporto tra infortunato ed ente assicuratore, sia perché essendo in ogni caso l’obbligo di rivalsa contenuto nei limiti del risarcimento del danno dovuto all’infortunato dal datore è escluso che “l’Indebita maggiore liquidazione si risolva a danno del medesimo”.
2. – Il motivo è Infondato. L’azione di regresso dell’INAIL è una speciale azione, di natura contrattuale (Cass. sent. 10529/2008, 16141/2007) che compete all’INAIL iure proprio nel confronti delle persone civilmente responsabili ed è regolata dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. 1124/1965. In base alle stesse norme risulta anzitutto che il datore di lavoro, soggetto obbligato all’assicurazione ai sensi del D.P.R. 1124/1965, sia esonerato dalla responsabilità civile (art. 10, 1° comma; “l’assicurazione a norma dei presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sui lavoro”). A seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale sul regime della responsabilità datoriale prevista dal t.u. sull’assicurazione per Infortuni e malattie professionali (v. Corte cost., sent. n. 102 del 1981, n. 118 del 1986 e n. 372 del 1988), il datore di lavoro rimane comunque responsabile nei confronti del lavoratore per il c.d. danno differenziale e nei confronti dell’INAIL che agisca in regresso, quando esista l’illiceità penale del fatto (accertabile anche Incidentalmente in sede civile) e si tratti di lesioni perseguibili d’ufficio (Ca SS.2138/2005, 11988/2010, 10950/2000). L’Inail può esercitare il regresso soltanto in relazione alle “indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti” (art.10, cui rinvia pure l’art. 11 dpr 1124/65).
3. – Con la recente sentenza n. 5160 del 2015 le Sezioni Unite, pronunciando sulla natura del termine stabilito dall’art. 112 del dpr 1124/65 per l’esercizio dell’azione di regresso nei confronti dei datore di lavoro, ove non sia iniziato alcun procedimento penale, hanno osservato che l’INAIL, con l’azione di regresso prevista dal D.P.R. n. 1124, artt. 10 ed 11 cit., agendo contro il datore di lavoro dell’assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo (v., fra le altre, Cass. 2-4-1992 n. 4015, Cass, 18-10- 1994 n, 8467, Cass. S O. 16-4-1997 n, 3288, Cass. 21-1-2004 n. 970, Cass. 18-8-2004 n. 16141, Cass. 7-3-2008 n. 6212, Cass. 28-3-2008 n. 8136), spiegando un’azione nei confronti del datore dì lavoro, che ha violato la normativa sulla sicurezza sul lavoro, In qualche misura assimilabile ad un’azione di risarcimento danni promossa dall’Infortunato, tanto che il diritto viene esercitato entro i limiti dei complessivo danno civilistico ed è funzionalizzato a sanzionare il datore di lavoro, consentendo contestualmente all’Istituto assicuratore di recuperare quanto corrisposto al danneggiato (v. fra le altre Cass. 20-8-1996 n. 7669, Cass. 16-6-2000 n. 8196, Cass. 9-8-2006 n. 17960).
4. – Risulta dunque in base al D.P.R. 1124/65, anzitutto che il datore di lavoro è uno dei soggetti del rapporto trilaterale che si instaura in virtù dell’assicurazione sociale INAIL e che pertanto non possa essere considerato “terzo estraneo” al rapporto assicurativo o al rapporto che si instaura tra infortunato ed ente assicuratore, come sostiene l’INAIL richiamando alcune sentenze di questa Corte; nelle quali però si fa per lo più riferimento alla diversa fattispecie dell’azione di surrogazione esercitata dall’INAIL nei confronti del terzo responsabile dei danno, ai sensi dell’art. 1916 c.c., al di fuori di qualsivoglia rapporto assicurativo di carattere pubblicistico (su cui da ultimo Cass. SU 8620/2015). Peraltro, le pronunce (Cass. sentenza n. 7772 del 07/08/1998, n. 17960 del 09/08/2006), in cui la supposta situazione di estraneità rispetto al rapporto assicurativo è stata riferita anche al datore di lavoro (ma in relazione alla percentuale di invalidità individuata in sede previdenziale), ammettono comunque che lo stesso datore possa sempre eccepire all’INAIL il superamento del quantum della responsabilità civile accertabile secondo le regole generali dei danni, che costituisce il limite massimo invalicabile della propria responsabilità nei confronti dell’INAIL, quale che sia l’entità delle prestazioni assicurative erogate.
5. – Inoltre, va pure considerato che questa Corte ha affermato che nell’accertamento e nella liquidazione delle prestazioni infortunistiche, l’I.N.A.I.L è vincolato a rigorosi parametri ed a criteri legali che non lasciano adito a valutazioni discrezionali. E che se, in ipotesi, accada che siano state riconosciute ed erogate prestazioni illegittime perché non spettanti ovvero eccedenti, il datore di lavoro può sempre dimostrare la stessa illegittimità da rapportare necessariamente alla mancanza dei presupposti di fatto e alla violazione dei criteri vincolanti posti dalla legge (Cass. n.9329/1994 e 1894/1998).
Si tratta di un orientamento al quale il collegio intende dare continuità perché, per le ragioni anzidette, risulta maggiormente aderente al sistema in cui si innesta la speciale azione in discorso ed al principio di legalità cui deve soggiace l’attività amministrativa svolta dall’INAIL. Va pertanto affermato che il datore di lavoro convenuto in sede di regresso dall’INAIL possa sottrarsi alla pretesa recuperatela provando che al lavoratore o ai propri eredi siano state liquidate prestazioni indebite, con riguardo alle condizioni di erogabilità previste dalla legge.
6, Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare il ricorso promosso dall’INAIL avverso la sentenza impugnata che ha fatto buon governo delle regole di diritto applicabili alla fattispecie. Nessuna pronuncia deve essere emessa sulle spese processuali non avendo l’intimata esercitato attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 6.4.2016.