Lavora in pizzeria durante i periodi di malattia da infortunio. Esclusa l’efficienza causale di tale attività privata nella ritardata guarigione.
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: BERRINO UMBERTO
Data pubblicazione: 23/03/2016
Fatto
Con sentenza del 29.11 – 11.12.2012 la Corte d’appello di Brescia ha respinto l’impugnazione della società Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Bergamo, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 2.3.2009 a S.A. e condannato la predetta società a reintegrarlo nel posto di lavoro col risarcimento dei danni.
La Corte territoriale ha sostanzialmente condiviso il convincimento del primo giudice il quale, all’esito dell’istruttoria, aveva accertato che l’attività lavorativa svolta dal S.A. all’Interno della sua pizzeria non era in contrasto coi suoi doveri di dipendente postale durante il periodo dì malattia da infortunio, essendo stata esclusa un’efficienza causale di tale attività privata nella ritardata guarigione che era, invece, dovuta al fatto che il nuovo infortunio si era inserito in una lesione pregressa.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Poste Italiane s.p.a. con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso S.A..
Diritto
1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli arti. 115, 116 c.p.c. e 2097 c.c., nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, la società si duole del giudizio di genericità formulato dalla Corte d’appello in merito alle censure mosse da essa ricorrente all’utilizzo acritico, da parte del collegio giudicante, delle relazioni dei consulenti tecnici circa la compatibilità delle mansioni svolte dal S.A., al di fuori dell’attività di lavoro subordinato, con l’obiettivo della guarigione sollecita del medesimo dall’infortunio subito sul lavoro.
Sostiene, al riguardo, la ricorrente che le proprie censure alle conclusioni cui erano giunti i periti d’ufficio erano state espresse in modo alquanto preciso e che la Corte territoriale aveva ignorato la continuità dello svolgimento dell’attività extra lavorativa di pizzaiolo da parte del S.A. che era di per sè destinata ad influire sulla rapidità della sua guarigione dai postumi dell’infortunio e ad incidere sulla sua pronta ripresa dell’attività di portalettere comportante un certo impegno fìsico nella consegna della corrispondenza. Aggiunge la ricorrente che la Corte d’appello aveva anche omesso di motivare il diniego della nuova perizia medico-legale, che era stata richiesta per verificare la compatibilità delle attività svolte concretamente nel periodo di malattia dal lavoratore con le sue ordinarie incombenze dei portalettere, così come aveva trascurato la censura tesa ad evidenziare la contraddittorietà di alcuni aspetti delle due perizie d’ufficio e la carenze di valutazione in esse riscontrabili in ordine alla eventuale incidenza della malattia sulla guarigione del lavoratore. Infine, la Corte di merito aveva erroneamente fatto gravare sulla parte datoriale l’onere di indicare il movimento fisico che avrebbe determinato l’incompatibilità dell’attività svolta dal dipendente con la malattia e con la sua tempestiva guarigione.
2. Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2104 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che il dipendente in malattia, il quale Intenda svolgere attività lavorativa per terzi o per conto proprio, avrebbe comunque l’obbligo di offrire al datore di lavoro la prestazione parziale alla quale sia idoneo, in applicazione del principi di correttezza e buona fede, Invece, spiega la ricorrente, il S.A. non aveva mai fatto pervenire alla datrice dì lavoro una tale offerta ed aveva utilizzato le sue residue energie per svolgere, nel lungo periodo di malattia, la più impegnativa attività di pizzaiolo a proprio esclusivo vantaggio, per cui tanto bastava a giustificare la correttezza e la proporzionalità del provvedimento espulsivo in considerazione della evidente violazione, da parte de! dipendente, dei basilari principi di correttezza e buona fede nell’adempimento dei propri obblighi.
3. Con un terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente invoca la richiesta di conversione del licenziamento senza preavviso in quello con preavviso, previa qualificazione del recesso in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, stante il notevole inadempimento del S.A. riconducibile alla contrarietà del suo comportamento agli obblighi contrattuali di servizio impostigli dalle norme di cui agii artt. 2104 e 2105 cod. civ.
Osserva la Corte che i primi due motivi, proposti in via principale, possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
Anzitutto, non può non rilevarsi che in entrambi i motivi i denunziati vizi di violazione di legge sono prospettati come tali solo formalmente nelle relative intestazioni, mentre in realtà essi involgono una pura rivisitazione dei merito delta questione sotto l’apparente censura della falsa applicazione delle summenzionate norme del codice civile e di quello di rito, al punto da essere strettamente connessi alle doglianze aventi ad oggetto la denunzia dei vizi della motivazione per ciò che riguarda la lamentata contrarietà degli obblighi contrattuali del lavoratore ai principi di buona fede, correttezza e diligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. 3, n. 10295 del 7/5/2007) che tra le due relative censure di vizio di violazione di legge e di motivazione deducibili in sede di legittimità non vi possono essere giustapposizioni in quanto il ricorrente non può denunciare contemporaneamente la violazione di norme di diritto e il difetto di motivazione, attribuendo alla decisione impugnata un’errata applicazione delle norme di diritto, senza indicare la diversa prospettazione attraverso la quale si sarebbe giunti ad un giudizio sul fatto diverso da quello contemplato dalla norma di diritto applicata al caso concreto, perché la deduzione di questa deficienza verrebbe, nella realtà, a mascherare una richiesta dì diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Sì è, altresì, precisato (Cass. sez. 1 n. 19443 del 23/9/2011) che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’alt. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.
Egualmente inammissibile è la prospettazione dei vizi di motivazione in quanto svolta in maniera non conforme al nuovo dettato normativo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. Invero, alla luce della nuova versione della norma di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. applicabile “ratione temporis” nella fattispecie, si è statuito (Cass. Sez. 6 – 3, n. 12928 del 9/6/2014) che “in tema di ricorso per cassazione, dopo la modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. cìv. ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensiblli.” Orbene, tali condizioni non sono ravvisabili nel caso in esame, avendo la Corte territoriale vagliato attentamente il materiale istruttorio sottoposto al suo esame nel condividere quanto accertato dal primo giudice circa il fatto che il comportamento del S.A., svolto peraltro all’interno dì un esercizio di pizza ai taglio a lui intestato, non era in contrasto coi doveri di dipendente durante il periodo di malattia, atteso che il consulente d’ufficio aveva escluso espressamente un’efficienza causale delle mansioni svolte nella ritardata guarigione, dovuta, piuttosto, alla circostanza che il nuovo infortunio si era inserito su di una lesione pregressa.
Al riguardo, con apprezzamento di fatto adeguatamente motivato ed immune da rilievi di legittimità, la Corte territoriale ha spiegato che la prima consulenza aveva escluso la simulazione e che la seconda aveva consentito dì appurare che quand’anche il S.A. avesse svolto integralmente l’attività lavorativa, questa, per le sue caratteristiche, non avrebbe potuto influire sulla guarigione della lesione alla spalla. Ne discendeva, secondo il parere del C.T.U., condiviso dalla Corte d’appello, che lo svolgimento dell’attività di pizzaiolo ipoteticamente svolta dal S.A. durante il periodo di malattia, dovuta all’evento occorso in data 28/11/2008, non poteva aver aggravato o reso più difficoltosa la ripresa lavorativa, sia in relazione all’ipotesi di svolgimento continuativo che occasionale delle funzioni stesse.
La accertata inammissibilità dei due motivi principali travolge anche la richiesta, proposta solo in via condizionata col terzo motivo, della conversione del licenziamento intimato senza preavviso in quello con preavviso, previa qualificazione dello stesso come licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 2015