Malattia professionale (ipoacusia).
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE
Data pubblicazione: 25/01/2016
Fatto
G.M. chiedeva nei confronti dell’lnail l’accertamento della natura professionale dell’ipoacusia bilaterale da lui sofferta; il Tribunale di Perugia con sentenza del 24.1.2008 riconosceva che lo stesso era affetto da malattia professionale con un grado di inabilità pari all’11% e condannava l’INAIL al pagamento di una rendita corrispondente. La Corte di appello di Perugia con sentenza del 18.10.2010 accoglieva l’appello dell’INAIL e rigettava la domanda. La Corte di appello, alla stregua della nuova consulenza effettuata in appello, riteneva che effettivamente il G.M. fosse affetto da malattia professionale (ipoacusia) e valutava la sua incidenza invalidante nella sola misura del 3,5% , quindi al di sotto della soglia indennizzabile; dovendosi applicare il metodo concordato nel 1994 tra l’INAIL e le parti sociali (Patronati) e non il metodo Rossi aggiornato, non più utilizzato dall’INAIL da anni al momento in cui era stata denunciata la malattia professionale.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il G.M. con due motivi corredati da memoria; resiste controparte con controricorso.
Diritto
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione di legge- artt. 342 e 434 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia. L’atto di impugnazione dell’INAIL era privo di specificità e consisteva in una mera trascrizione delle note critiche alla consulenza effettuata in primo grado.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto parte ricorrente non comprova il suo assunto attraverso la riproduzione dell’appello dell’INAIL, né attraverso la sua produzione unitamente al ricorso. Non si allega neppure di aver sollevato la questione al Giudice di appello sicché non si vede quale carenza motivazionale sul punto possa essere imputata alla sentenza impugnata.
Con il secondo motivo si allega la violazione degli artt. 3,74, 78 e 79 DPR 30.6.1965, n. 1124; artt. 1362 e 1372 c.c.; artt. 112, 115, 116, 329 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Gli Accordi INAIL Patronati non avevano efficacia obbligatoria; doveva invece seguirsi il metodo Rossi non accolto senza adeguata motivazione da parte dei Giudici di appello. L’INAIL inoltre non aveva censurato la valutazione dei postumi, ma solo l’esposizione a rischio.
Il motivo appare inammissibile circa l’ultima parte in quanto si allega che l’INAIL non avrebbe censurato in sede di appello la valutazione dei postumi, ma solo l’esposizione a rischio, ma non si comprova tale assunto neppure con la riproduzione dell’atto di appello (che non è stato altresì prodotto). Circa la prima doglianza l’accertamento del grado di riduzione dell’attitudine lavorativa, sia che questa sia valutata secondo il metodo Rossi sia alla stregua degli Accordi tra Inail e Patronati costituisce pacificamente non una questione giuridica riservata al giudice ma un giudizio di ordine sanitario demandabile come tale ad un consulente tecnico (cass. Sez. un. n. 6846/1992 e cass. n. 7455/2002). Il sindacato della Corte di cassazione deve limitarsi, quindi, alla verifica della sufficienza e della correttezza della motivazione (cfr. giurisprudenza prima citata); nel caso in esame la Corte di appello ha osservato che gli Accordi si applicavano già da anni per valutare il danno da ipoacusia professionale al momento in cui la malattia è stata denunciata e che applicando tali Accordi si arrivava a conclusioni diverse da quelle raggiunte in primo grado circa il superamento della soglia invalidante. Per contro parte ricorrente non dimostra in alcun modo in che senso gli Accordi costituiscano una violazione di principi scientifici consolidati in materia; il che appare poco probabile visto che sono stati concordati tra INAIL e Patronati e vengono da anni sistematicamente applicati. Pertanto la motivazione appare idonea e logicamente coerente; mentre le censure sono di mero fatto, come tali inammissibili in questa sede.
Si deve quindi rigettare il ricorso; nulla sulle spese stante la data del ricorso introduttivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11.11.2015