Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 ottobre 2016, n. 21534

Uso della segatrice per il taglio del marmo e formazione.


Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: LORITO MATILDE
Data pubblicazione: 25/10/2016

Fatto

Con sentenza resa pubblica in data 19/10/2010 la Corte d’Appello di Venezia confermava la pronuncia del giudice di prima istanza con cui la E. Costruzioni s.r.l. era stata condannata al pagamento in favore di B.Y., della somma di euro 142.610,09 a titolo di risarcimento danni in relazione all’infortunio occorsogli il 21/6/2001, ed in favore dell’Inail, della somma di euro 110.391,88 a titolo di rimborso per le prestazioni di legge erogate in favore del lavoratore.
Confermava altresì la reiezione delle domande proposte dalla E. Costruzioni s.r.l. nei confronti di B.F., della F. Sud s.p.a. (società che aveva venduto il macchinario dal cui uso erano derivati i danni all’integrità psicofisica del lavoratore), della Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. e del Lloyd Adriatico Assicurazioni s.p.a. (società chiamate in garanzia).
La Corte distrettuale a sostegno del decisum argomentava, per quanto in questa sede rileva, che l’espletata istruttoria non aveva consentito di dimostrare che il dipendente fosse stato adeguatamente istruito sui rischi derivanti dall’uso della segatrice alla quale era addetto per il taglio del marmo rimarcando, sotto altro versante, l’esclusione di un concorso di colpa del lavoratore. In tal senso la responsabilità della parte datoriale rimaneva modulata secondo lo schema dell’art.1218 c.c. con presunzione legale di colpa del debitore che, nello specifico, non risultava superata dal quadro probatorio delineato in prime cure.
La cassazione di tale decisione è domandata dalla E. Costruzioni s.r.l. nei confronti esclusivamente di B.Y. e dell’Inail con ricorso affidato a due motivi. Resiste l’Inail con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Le ulteriori parti intimate B.F. e Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. nei cui confronti è stato notificato il ricorso, non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

Il rilievo potenzialmente assorbente di ogni altra questione induce ad esaminare con priorità, l’eccezione sollevata dall’Inail in relazione alla inammissibilità del ricorso per violazione dei termini di impugnazione sanciti dall’art. 325 c.p.c..
Evidenzia l’Istituto che la società F. Sud aveva notificato la sentenza di appello nei confronti della E. Costruzioni s.r.l. in data 6 dicembre 2010, sicché la stessa avrebbe dovuto provvedere alla rituale notifica del ricorso per cassazione nei confronti delle altre parti, entro il termine di sessanta giorni da tale data, a norma della richiamata disposizione del codice di rito, vigendo la regola della unitarietà del termine di impugnazione.
L’eccezione è priva di pregio.
Questa Corte ha infatti affermato il principio, che va qui ribadito, secondo cui l’art. 326, comma primo, cod. proc. civ. ricollega la decorrenza del termine breve d’impugnazione non già alla conoscenza, sia pure legale, della sentenza, ma al compimento di una formale attività acceleratoria e sollecitatoria, data dalla notificazione della sentenza effettuata nelle forme tipiche del processo di cognizione al procuratore costituito della controparte, secondo la previsione degli artt. 285 e 170 cod. proc. civ. Se la notificazione è eseguita in forma diversa, ed in particolare alla controparte personalmente, essa non vale a far decorrere il termine breve per l’impugnazione non soltanto nei confronti del notificato, ma anche nei confronti del notificante, rispetto al quale non può invocarsi il principio che la parte non può far valere la nullità cui essa stessa ha dato causa (art. 157 cod. proc. civ.), atteso che la notificazione al domicilio reale del soccombente anziché al procuratore costituito non è, per questo solo fatto, inficiata da alcuna nullità, ma realizza soltanto una diversa forma di notificazione rispetto a quella prevista dagli artt. 285 e 170 cod. proc. civ., inidonea a far decorrere il termine d’ impugnazione (vedi per tutte, Cass. 27/4/2010 n. 10026).
Nello specifico emerge ex actis che la sentenza di appello sia stata notificata dalla F. Sud s.p.a. nei confronti della Edìlpiesse Costruzioni s.r.l., non nei confronti del procuratore costituito di quest’ultima avv. Mario C. presso il domiciliatario avv. B., bensì nei confronti del legale rappresentante prò tempore della società datoriale, di guisa che rinviene applicazione il termine annuale di impugnazione sancito dall’art.327 c.p.c. entro il quale il presente ricorso risulta ritualmente notificato.
Il ricorso, per le superiori argomentazioni, supera, quindi, il vaglio di ammissibilità.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si duole che la Corte distrettuale abbia acclarato la responsabilità datoriale in ordine al verificarsi dell’eventus damni, in contrasto con i dati emersi in sede istruttoria, dai quali era desumibile la piena cognizione da parte del lavoratore delle modalità d’uso del macchinario affidatogli e, segnatamente, del divieto di eseguire le operazioni di manutenzione sulla macchina segatrice quando questa era in funzione.
Critica, dunque, la sentenza impugnata per l’omesso completo accertamento delle circostanze inerenti al sinistro, come definite alla stregua del quadro probatorio delineato in prime cure.
Con il secondo motivo si deduce erronea determinazione del danno da invalidità specifica.
Si lamenta che il giudice dell’impugnazione abbia liquidato in favore del lavoratore il risarcimento del danno per il titolo descritto, benché non avesse “indicato un solo elemento di fatto idoneo a valutare un giudizio prognostico” e risultasse dagli atti che in seguito egli fosse stato assunto presso altra ditta con mansioni impiegatizie, percependo un reddito superiore a quello in precedenza a lui erogato.
I motivi sono privi di pregio.
Deve infatti rimarcarsi, con riferimento alla prima censura, che il motivo di ricorso ex art.360, co.l, n.5, c.p.c., non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre Cass. 2/7/2008 n. 18119, Cass. 4/4/2014 n.8008).
In ogni caso, per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine dì confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (fra le tante, Cass. 14/2/2013 n.3668). Nello specifico, si impone, quindi, l’evidenza della inammissibilità del motivo laddove tende a pervenire ad una rinnovata valutazione degli elementi fattuali sottesi alla pretesa azionata, non consentita in sede di legittimità, a fronte di un tessuto motivazionale definito nei termini di un puntuale richiamo ai dati desumibili dalle deposizioni testimoniali raccolte, che si palesa congruo e coerente con le evidenze istruttorie acquisite.
La Corte distrettuale, è infatti pervenuta all’accoglimento del diritto azionato dal B. all’esito dello scrutinio del materiale istruttorio acquisito da cui si evinceva che: a) al momento del verificarsi del sinistro, il B. era stato assunto quale manovale, da soli tre giorni; b) la zona di lavoro era pericolosa; c) era d’uso rimuovere la polvere di marmo che si accumulava nella zona pericolosa con un badile, dopo che la sega era passata, a macchina sia accesa che spenta (teste R.); d) non risultava impartita la necessaria formazione professionale al dipendente né un comportamento qualificabile in termini di responsabilità concorrente a carico di quest’ultimo.
Si tratta di motivazione del tutto congrua sotto il profilo logico ed equilibrata nelle sue componenti, oltre che conforme a diritto, onde resiste alle censure all’esame, anche quanto alla denunciata omessa valutazione di documentazione attestante la formazione del lavoratore sull’uso del macchinario, ed alla determinazione della invalidità in forma specifica nella misura del 40%, censurata con la seconda critica.
Palese, sul punto, è il difetto di autosufficienza che connota la doglianza, non avendo la ricorrente riportato il tenore della documentazione di cui lamenta l’omessa considerazione – che neanche risulta prodotta nella presente sede in coerenza con i dettami di cui all’art.369 comma 2 n.4 codice di rito – né della relazione di consulenza tecnica d’ufficio dalla quale desume i dati inerenti allo svolgimento di attività di lavoro impiegatizio da parte del B. e rilevanti ai fini della liquidazione del risarcimento danni da invalidità in forma specifica.
A tale riguardo, va altresì considerato che la parte è tenuta ad indicare se la relazione cui si fa riferimento sia presente nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito (specificando, in tal caso, gli estremi di reperimento della stessa), ovvero a chiarire alla Corte il diverso modo in cui essa possa essere altrimenti individuata, non potendosi affidare al giudice di legittimità il compito di svolgere un’attività di ricerca della relazione, in sede decisoria, senza garanzia del contraddittorio ed in violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (vedi Cass. 22/2/2010 n.4201). Nello specifico il ricorso si presenta, anche sotto tale aspetto, del tutto carente.
In definitiva, sotto tutti i profili delineati il ricorso va disatteso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono, infine, il principio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti dell’Inail che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Nulla per le spese nei confronti delle altre parti intimate.
Così deciso in Roma il 15 settembre 2016.

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