Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 aprile 2016, n. 8243

Riconoscimento di malattia (mobbing) di origine professionale. Danno biologico.


Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: RIVERSO ROBERTO
Data pubblicazione: 26/04/2016

Fatto

Con la sentenza n. 1472/2011, pubblicata il 19.1.2012, la Corte d’Appello di Torino respingeva l’appello contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Torino con cui era stata respinta la domanda di C.S. volta ad ottenere il riconoscimento di malattia (mobbing) di origine professionale con condanna dell’INAIL ad erogargli le prestazioni di cui all’art. 13 d.lgs. 38/2000. Il giudizio contro l’INAIL seguiva quello svolto contro l’ex datore di lavoro per risarcimento danni, iniziato con domanda in data 3.5.2005 e concluso, dopo una prima sentenza di rigetto, con condanna in appello del datore (sentenza in data 27 ottobre 2008) al risarcimento pari al 5% di danno biologico, determinato sulla base di ctu. Pure nel giudizio contro INAIL il primo giudice aveva respinto la domanda per prescrizione. La Corte d’Appello affermava invece che il termine di prescrizione non fosse decorso e che tuttavia non sussistessero i presupposti per l’accoglimento della domanda in relazione al quantum, posto che l’entità del danno biologico sarebbe rimasto fissato nella stessa percentuale del 5% – inferiore al minimo richiesto ai fini della tutela INAIL – per come determinata nella causa contro il datore, per non aver il lavoratore contestato, né dedotto di aver impugnato la sentenza e nemmeno di aver subito un aggravamento del danno biologico.
Avverso detta sentenza C.S. propone ricorso affidando le proprie censure ad un unico motivo con il quale chiede la cassazione integrale della sentenza. Resiste INAIL con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

1.- Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 d.lgs. 38/2000 in relazione al Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale pubblicato sulla g.u. 172/2000 (art. 360 n. 3 c.p.c.) e l’omessa motivazione circa un fatto controverso per il giudizio ( art.360 n. 5 c.p.c.) per avere la Corte territoriale respinto la domanda per difetto dei presupposti sotto il profilo del quantum tutelabile.
Il motivo è fondato. Risulta anzitutto dagli atti che nella domanda azionata in giudizio contro l’INAIL il ricorrente avesse chiesto la tutela assicurativa ex art. 13 cit. ovvero la rendita per invalidità superiore al 15% o l’indennizzo per danno biologico superiore al 5%, affermando che la determinazione del danno effettuata in sede civilistica dal ctu con la quantificazione del 5% “non potesse essere condivisa in questa sede in quanto effettuata sotto il diverso profilo civilistico e non in ambito INAIL e chiedendo pure una autonoma determinazione del danno attraverso CTU. E’ evidente pertanto, in primo luogo, che il ricorrente abbia contestato la possibilità di determinare l’entità del danno biologico richiesto ai sensi dell’art. 13 cit. sulla scorta di quella effettuata nella causa risarcitoria contro il datore di lavoro.
In secondo luogo non è corretto affermare che la determinazione del danno biologico, risultante dalla causa risarcitoria contro il datore di lavoro, potesse restare ferma nella causa previdenziale, in difetto di ricorso per Cassazione. Sia perché l’INAIL è terzo rispetto alla prima causa; e sia perché, in ogni caso, la determinazione del danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non si effettua con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica atteso che in sede previdenziale vanno osservate obbligatoriamente le tabelle delle invalidità (“Tabella delle menomazioni”; “Tabella indennizzo danno biologico”; “Tabella dei coefficienti”) di cui al DM 12.7.2000, e successivi aggiornamenti, ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 38/2000; mentre ai fini civilistici si utilizzano baremes facoltativi, secondo tabelle elaborate dalla comunità scientifica. In effetti il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 1, ha stabilito che “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”. In caso di danno biologico, per ì danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l’INAIL nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all’art. 66, comma 1, n. 2), del Testo Unico, eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle apposite disposizioni. In particolare, secondo l’art. 13, 2° comma lett a) del d.lgs. n. 38 le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’Integrità psicofisica di cui al comma 1 sono valutate in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali. L’indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, dal 16 per cento è erogato in rendita, nella misura indicata nell’apposita “tabella indennizzo danno biologico”.
In definitiva, la liquidazione degli indennizzi operata dall’Inail non si effettua secondo i criteri ordinari, ma in base ai parametri, alle tabelle e alle regole proprie stabilite dal sistema assicurativo e per conseguire i fini suoi propri in conformità all’art. 38 Cost.
3.- La sentenza impugnata va quindi cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione la quale, attenendosi ai principi qui espressi, ed accertata la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela, dovrà procedere alla determinazione autonoma delle conseguenze ai sensi dell’art. 13 cit. e delle tabelle allegate al d.lgs. 38/2000. Il giudice di rinvio provvedere altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2016

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