Infortunio in itinere.
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BOGHETICH ELENA
Data pubblicazione: 29/02/2016
Fatto
1. Con sentenza depositata il 9.4.2014 la Corte di appello di Perugia, in sede di rinvio, ha confermato la sentenza del Tribunale di Perugia ed ha respinto la domanda proposta da G.CH. nei confronti dell’INAIL per il riconoscimento del diritto a rendita per infortunio in itinere occorso il 18.6.1991.
2. Con la sentenza di questa Corte n. 21249 del 2012 era stata annullata la statuizione del giudice del gravame, per essere mancata, da parte del giudice di merito, una puntuale verifica della ricorrenza degli estremi del c.d. rischio elettivo, essendo carente una specifica indagine sulla condotta personale di G.CH. durante il sinistro stradale subito mentre si recava sul posto di lavoro, considerato che lo stesso risultava trasportato sul furgone guidato dal fratello M.CH.. Questa Corte aveva rilevato che la decisione di rigetto adottata dalla Corte territoriale si fondava sulla ricostruzione degli eventi relativi alla dinamica dell’incidente stradale così come emersa a seguito delle deposizioni dei testi escussi, nelle quali, peraltro, non emergeva alcun elemento in ordine alla condotta di G.CH..
2.1. Il giudice del rinvio, sul presupposto della formazione del giudicato in ordine all’ulteriore domanda, avanzata da G.CH., di risarcimento del danno non patrimoniale asseritamente sofferto in ragione dell’accusa di truffa a suo tempo mossa dall’INAIL riguardo alla natura del sinistro stradale (procedimento penale che si era concluso con l’assoluzione del lavoratore per insussistenza del fatto), ha confermato la sentenza di rigetto del Tribunale di Perugia. La Corte adita ha rilevato che, come emerso dalla sentenza annullata da questa Corte nel 2012, il veicolo guidato da M.CH. aveva inseguito quello di G.C. e doveva, pertanto, ritenersi interrotto il nesso causale tra attività lavorativa ed evento lesivo; ha, inoltre, aggiunto che la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. a carico di entrambi i fratelli CH. per il reato di danneggiamento della vettura del G.C. era idonea – considerata l’ammissione di colpevolezza degli imputati che tale esito presupponeva – a dimostrare che anche G.CH. aveva concorso a determinare il sinistro stradale. Aggiungeva, infine, che l’esito degli ulteriori due procedimenti penali concernenti i fratelli CH. e il G.C. (sentenza di condanna del G.C. per lesioni subite da G.CH. e assoluzione di G.CH. per il reato di truffa a danno dell’INAIL) non era incompatibile con la corresponsabilità del lavoratore nella determinazione del sinistro, posto che era stato accertato che la responsabilità dell’incidente, effettivamente verificatosi, era ascrivibile in parti uguali ai due conducenti e che G.CH. non era stato estraneo ai fatti.
3. Avverso detta sentenza il soccombente propone ricorso affidato ad un motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso l’INAIL.
Diritto
1. In via preliminare, deve osservarsi che non si ravvisano profili di incompatibilità nei confronti di alcuni componenti del collegio che hanno esaminato il precedente ricorso per Cassazione nell’ambito del medesimo giudizio (sentenza n 21249/2012).
Come hanno avuto modo di sottolineare le Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio di legittimità non si riferisce direttamente alla domanda proposta dall’attore, bensì alla decisione già assunta su tale domanda al fine di verificarne, appunto, la correttezza; pertanto, “Qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice.” (sentenza n. 24148/2013).
Le Sezioni Unite hanno, invero, ritenuto che non sussiste la concreta possibilità che il giudice che abbia partecipato al precedente giudizio di legittimità sia meno libero di decidere o sia condizionato dalla volontà di “difendere” la precedente decisione di legittimità.
2. Con l’unico motivo, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (artt. 444, 652, 654 c.p.p., 2697 c.c., 384 c.p.c., 1 e 2 D.P.R. n. 1124/1965), il ricorrente adduce che la Corte territoriale lo ha ritenuto corresponsabile dell’incidente stradale nonostante le diverse statuizioni del giudice penale che ha riconosciuto il concorso di colpa dei conducenti (e non del lavoratore trasportato) nella determinazione del sinistro ed ha, inoltre, assolto lo stesso lavoratore dal reato di truffa a danno dell’ente previdenziale, dovendo essere, invece, ritenuta del tutto secondaria la sentenza di applicazione della pena (ex art. 444 c.p.p.) a carico di G.CH. per il reato di danneggiamento della vettura del G.C..
3. – Il ricorrente chiede, pertanto, al giudice di legittimità di esaminare il contenuto delle sentenze penali che hanno riguardato le parti coinvolte nel sinistro stradale e di verificare l’esistenza di fatti decisivi (la determinazione del sinistro esclusivamente da parte dei conducenti) sui quali la motivazione è mancata.
Va, peraltro, rilevato che le norme (art. 2697 ss. c.c.) poste dal Libro VI, Titolo II, del codice civile regolano le materie: a) dell’onere della prova; b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere.
La materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, è, viceversa, disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’erroneità su tali profili ridonda quale vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (ex multis, Cass. 2707/2004). L’illustrazione delle doglianze sull’apprezzamento delle risultanze giudiziarie si risolve, dunque, nella proposizione di un mezzo d’impugnazione, ex art. 360 n.5, c.p.c., inammissibile alla stregua della riforma operata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. “decreto crescita”) convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, riforma applicabile ai ricorsi contro le sentenze depositate, come nella specie, dopo il giorno 11 settembre 2012.
Trova, dunque, applicazione il nuovo testo dell’ art.360, secondo comma, n. 5, cod. proc. civ., come sostituito dall’alt 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per Cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo peri il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’. L’intervento di modifica del n. 5 dell’alt 360 cod. proc. civ., come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.
Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’alt 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Dunque, per le fattispecie ricadenti, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge.
La legge, in questo caso, è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.
Perché la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”. Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
3.1. La citata sentenza n. 8053/14 delle Sezioni Unite di questa Corte ha chiarito, riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una questio facti, che il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
In proposito, è stato altresì chiarito che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. cit. ).
Costituisce principio consolidato, quello secondo cui la valutazione delle risultanze delle prove come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (v., fra le altre, v. Cass. n. 11511/2014; 12988/2013). Tanto più dopo la predetta novella dell’art. 360 n. 5, c.p.c., nella già richiamata interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità.
Ebbene, anche sotto questo profilo, va rilevato che il giudizio di rinvio è stato svolto entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e la Corte territoriale non ha omesso bensì ha concentrato la propria indagine sulla condotta personale del lavoratore trasportato sull’autoveicolo, riscontrando l’interruzione del nesso di causalità tra attività lavorativa ed evento lesivo desunto dall’ammissione di colpevolezza presupposta dal giudice penale in sede di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.
4. – La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (patteggiamento) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, a prescindere dalla sua qualificazione come sentenza di condanna, presuppone pur sempre un’ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall’onere della prova (Sezioni Unite 31.07.06 n. 17289; in senso analogo Cass. 21/04/2008, n. 10280). Non è, quindi, sindacabile dal giudice di legittimità la sentenza della Corte di appello che ha tratto elementi confermativi della responsabilità dalla sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., atteso che essa, pur non determinando un accertamento insuperabile di responsabilità nel giudizio civile, costituisce pur sempre un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito e, sebbene sia priva di efficacia automatica in ordine ai fatti accertati, implica tuttavia l’insussistenza di elementi atti a legittimare l’assoluzione dell’imputato e, quindi, può essere valutata dal giudice al pari degli altri elementi di giudizio.
Il giudice del rinvio ha, altresì, preso in considerazione sia la sentenza di condanna di G.C. per lesioni provocate a G.CH. a seguito del sinistro sia la sentenza di assoluzione (perché il fatto non sussiste) di G.CH. per il reato di truffa ai danni dell’INAIL, concludendo nel senso che la prima non ha specificamente indagato sul comportamento del lavoratore e che la seconda è stata determinata dalla (mera) constatazione della ricorrenza effettiva di un sinistro nel percorso tra sede aziendale e luogo di lavoro.
Il ricorso va, quindi, respinto.
5. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità, regolate dall’art. 152 disp.att. c.p.c. nel testo precedente alla modifica apportata dall’art. 42 del decreto legge 30.9.2003, n. 269 (convertito nella legge 24.11.2003, n. 326), trattandosi di causa previdenziale instaurata prima del 2.10.2003 (data di entrata in vigore della novella legislativa). Le spese del giudizio di merito restano regolate come da sentenza impugnata, non essendo stata proposta alcuna impugnazione del relativo capo di sentenza.
6. – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’alt 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 dicembre 2015.