Repertorio Salute

Cassazione Penale, Sez. 1, 5 agosto 2015, n. 34208

Numero di avventori della discoteca oltre il limite. Pericolo incendi, ingombro alla vie di fuga e varie irregolarità nella normativa di sicurezza. Esclusa la non punibilità per tenuità del fatto.


 

Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA
Data Udienza: 15/04/2015

Fatto

l. Con sentenza in data 17 aprile 2014 la Corte di Appello di Milano riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Milano del 31 gennaio 2012 resa nei confronti dell’imputato G.T. e, riconosciuta quanto al reato di cui al capo e) la circostanza attenuante di cui all’art. 62 nr. 6 cod. pen., riduceva la pena a giorni sei di arresto ed euro 70,00 di ammenda per tale imputazione ed a giorni nove di arresto ed euro 105,00 di ammenda per ciascuna delle altre contravvenzioni di cui ai capi a) e b), contestategli come quella sub e) ai sensi degli artt. 681 cod. pen. e 80 TULPS per avere egli violato le prescrizioni inerenti la sicurezza pubblica dettate dalla pubblica autorità in riferimento al numero di avventori consentito all’interno della discoteca “N.”, risultato superiore al limite imposto, ed all’omesso mantenimento in efficienza ed in condizioni di praticabilità delle uscite di emergenza. Revocava le statuizioni civili e confermava nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale ne chiede l’annullamento per:
a) manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di Appello ripetuto l’esito degli accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria e risolto la questione col rilievo della non incidenza di eventuali errori di conteggio dei presenti all’interno della discoteca in occasione dei due controlli effettuati, senza considerare, invece, che quanti usciti dal locale momentaneamente potevano essere rientrati e conteggiati nuovamente, che il controllo visivo poteva non essere attendibile per la scarsa illuminazione e l’affollamento, causa dell’eventuale inclusione nel numero degli avventori anche dei dipendenti, pari a 15 unità, che la verifica condotta nella prima occasione era stata rapida e non superiore ai trenta minuti, oltre che non percepita dai clienti.
b) Mancanza di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità quanto al reato di cui al capo e); a fronte di motivo di appello col quale si era dedotto come l’istruttoria dibattimentale non avesse chiarito se l’addebito contestato fosse sussistente o meno, la Corte di Appello si è limitata ad affrontare il solo profilo dell’inapplicabilità del principio di specialità, omettendo di offrire alcuna risposta sulla reale commissione del fatto.
c) Violazione della legge in relazione al principio di specialità di cui all’art. 15 cod.pen. che avrebbe dovuto comportare l’assorbimento della fattispecie di cui al capo e) in quella di cui al capo e) e dei reati di cui ai capi a) e b) in quella di cui al capo d), questione risolta dalla Corte di Appello con motivazione censurabile: non si è tenuto conto del fatto che la condotta è unitaria e perfettamente sovrapponibile e consiste, quanto al capo e), nel non aver mantenuto libere le vie di fuga e nell’aver adibito il locale tecnico a deposito di vivande col concreto rischio di incendi e, quanto ai restanti capi d’imputazione, nello stesso comportamento contestato al punto di) così che le due categorie di reati non si pongono in successione temporale e non realizzano illeciti autonomi, né violano beni giuridici diversi. Pertanto, avrebbe dovuto ritenersi ravvisabili i soli reati capi d) ed e).
d) Mancanza di motivazione in relazione alla mancata conversione della pena irrogata che avrebbe dovuto essere valutata alla stregua dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen..
e) Si è quindi chiesta la restituzione nel termine per poter ottenere la sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen., istituto che ha natura sostanziale per la sua portata afflittiva e per l’idoneità a determinare l’estinzione del reato e quindi è soggetto alle regole di cui all’art. 2 cod. pen.; in caso di mancata condivisione di tale impostazione, si è sollevata eccezione d’incostituzionalità della legge nr. 67 del 2014 nella parte in cui, non contemplando una disciplina transitoria, la norma ha escluso dall’applicazione dell’istituto gli imputati già sottoposti a procedimento penale iniziato prima dell’entrata in vigore della legge stessa e chiamati a rispondere degli stessi reati di quanti possano accedere al beneficio.

Diritto

Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti in seguito specificati.
1. Il primo motivo censura il giudizio di responsabilità confermato dai giudici di appello, riproponendo obiezioni sul metodo di computo degli avventori presenti nella discoteca del ricorrente la sera dei due controlli operati il 6 febbraio ed il 17 aprile 2010, che sono state già valutate e disattese con motivazione ampiamente illustrativa e razionale.
1.1 Sul punto la Corte distrettuale, conducendo l’apprezzamento di merito dei dati fattuali che le appartiene, ha giudicato che le risultanze delle testimonianze rese dagli autori dei controlli fossero attendibili per la correttezza del procedimento seguito, di cui ha offerto concreta descrizione: ha dunque esposto che il giorno 6 febbraio si era proceduto al calcolo all’ingresso del locale di coloro che vi stavano entrando, quindi, al superamento del limite di capienza prescritto, se ne era disposta la chiusura con la ripetizione del conteggio dei clienti, risultati in numero pari a 223 unità; il 17 aprile, invece, dapprima si erano contati i presenti all’interno della discoteca, quindi, bloccato l’accesso ai nuovi avventori, si era ripetuto il calcolo ad uno ad uno di quanti all’interno, che venivano fatti defluire verso l’esterno. Ha dunque concluso con ineccepibile logicità che l’intervenuta interdizione dell’accesso al locale prima del conteggio con la ripetizione della verifica consentiva di escludere la possibile duplicazione del conteggio dei presenti e l’inclusione dei dipendenti, i quali avevano collaborato nell’occasione con gli operanti senza avere sollevato alcuna obiezione sul metodo seguito per il controllo.
Infine, soltanto quale rilievo conclusivo ed introdotto “ad abundantiam” la Corte di merito ha aggiunto che qualora, pur con le cautele adottate, si fosse verificato un errore, lo stesso avrebbe avuto un’incidenza minima sull’esito dei controlli, tale da non compromettere la validità del risultato conseguito per il notevole divario tra il numero accertato dei presenti ed il limite consentito, con una differenza in eccesso rispettivamente di 83 e di 49 unità.
1.2 Ebbene, la difesa insiste nel prospettare possibili errori ed incertezze negli esiti acquisiti, adducendo il particolare frangente in cui le ispezioni furono condotte, la scarsa illuminazione, la calca, la rapidità del controllo, il possibile conteggio dei dipendenti, ossia evenienze che non hanno trovato riscontro probatorio, che del resto non viene nemmeno indicato in ricorso, e la cui prospettazione resta compromessa nella sua capacità persuasiva in quanto fondata su mere congetture e smentita dal riferito posizionamento degli operatori di p.g. all’ingresso del locale e dal calcolo ad uno ad uno degli avventori, oltre che dall’identificazione come tali dei dipendenti, il cui erroneo inserimento nel novero dei clienti, per il loro numero limitato a quindici unità, non avrebbe comunque potuto modificare l’esito raggiunto.
2. Quanto al secondo motivo di ricorso, risponde al vero che la sentenza impugnata non ha esaminato in modo specifico la doglianza con la quale si era contestata la sussistenza del reato di cui al capo e), ma ha implicitamente rinviato alla ricostruzione probatoria esposta nella sentenza di primo grado, laddove si era evidenziato come dalle testimonianze escusse al dibattimento e dal verbale di accertamento fossero emersi profili di responsabilità esclusivamente in merito alla violazione della disciplina sulla prevenzione incendi per le modalità di gestione del locale, la cui constatazione aveva dato luogo all’impartizione di specifiche prescrizioni, che l’imputato aveva provveduto a rispettare con interventi di adeguamento. Inoltre, si era rimarcato che il G.T. aveva anche provveduto alla definizione amministrativa degli illeciti riguardanti la violazione della sicurezza dei lavoratori dipendenti sul luogo di lavoro, con ciò determinando l’estinzione dei reati capi d) ed e) ai sensi dell’art. 24 D.Lgs. nr. 785/94.
2.1 Pertanto, deve escludersi che la sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella impugnata, non abbia risolto in modo chiaro e non controverso il quesito sulla sussistenza del reato di cui al capo e), ravvisato limitatamente ai profili fattuali riguardanti la gestione del locale per la presenza di materiale ingombrante i corridoi ed i percorsi di esodo che conducono alle uscite di sicurezza e per il mantenimento non in condizioni di efficienza dell’impianto di sicurezza in conseguenza della destinazione dell’ambiente tecnico, posto al secondo piano interrato, a deposito di bevande alcoliche con elevato rischio di incendi. Per contro, si è esclusa la responsabilità per gli addebiti riguardanti le caratteristiche strutturali del locale quanto alla sussistenza delle vie di esodo degli avventori con percorsi non conformi alla normativa di sicurezza, come specificato a pag. 12 della motivazione della sentenza di primo grado e nel relativo dispositivo, dal che la palese infondatezza della doglianza sull’irrisolta incertezza circa la sussistenza effettiva, o solo ipotizzata, della contravvenzione contestata al capo e).
3. Quanto ai rapporti tra i reati per i quali si è confermato il giudizio di responsabilità e le ulteriori contravvenzioni dichiarate estinte, di cui ai capi d) ed e), la sentenza impugnata ha escluso la possibilità dell’assorbimento dei primi nelle seconde e ha giustificato tale statuizione in ragione del fatto che la stessa condotta materiale nel caso specifico trasgredisce precetti differenti, diretti ad imporre accorgimenti finalizzati a tutelare, da un lato la sicurezza pubblica nei locali di pubblico ritrovo, dall’altro la sicurezza dei luoghi di lavoro.
3.1 Al riguardo va detto che, ferma restando la già disposta esclusione della responsabilità quanto al capo e) per le violazioni relative agli aspetti strutturali, la descrizione delle condotte ascritte al G.T. in tale imputazione non coincide totalmente con quella di cui al capo e), in quanto gli è stato ascritto, non soltanto di avere mantenuto oggetti ingombranti sui corridoi e sui percorsi di esodo conducenti alle uscite di sicurezza, tali da impedire il libero deflusso di persone, ma anche di non avere mantenuto in costanti condizioni di efficienza l’impianto di sicurezza -luci di emergenza, mezzi antincendio- e di avere adibito il locale di secondo piano interrato a deposito di bevande con la creazione di una situazione di elevato rischio di incendio, comportamenti non riprodotti nell’accusa mossa al capo e), ove si descrive soltanto la presenza di ingombri sulle vie di fuga e il mantenimento in esercizio di estintori a servizio della sala e dei depositi non idonei rispetto all’attività esercitata. Pertanto, l’unico profilo di effettiva coincidenza è ravvisabile in merito alla presenza di imgombri ed ostacoli lungo le vie di fuga, mentre in merito ai dispositivi di sicurezza al capo e) si addebita la mancanza di efficienza di tutto l’impianto di sicurezza anche per la presenza di alcolici in locale inidoneo ed al capo e) l’inidoneità degli estintori in funzione della classe di incendio verificabile. Il confronto tra le fattispecie induce a confermare la ravvisabilità di un’autonomia di comportamenti materiali, descritti al capo e), che impedisce di ravvisare il dedotto rapporto di specialità e di procedere al richiesto assorbimento.
Relativamente al rapporto tra i reati capi a) e b) e quello sub d), per i quali le condotte materiali ascritte coincidono, laddove si è contestato il consentito ingresso di un numero di avventori superiore al limite prescritto nella licenza e nel certificato di prevenzione incendi, deve rilevarsi che, secondo la stessa impostazione difensiva della tematica, tra le due fattispecie, incriminate rispettivamente dall’art. 681 cod. pen. e dall’art. 46 del D.lgs. nr. 81/2008, sia ravvisabile il rapporto di specialità bilaterale per specificazione, contenendo reciprocamente l’una elementi peculiari e specializzanti rispetto all’altra. Ebbene, proprio la considerazione di tale situazione in base ai criteri interpretativi suggeriti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia nr. 1963 del 28/10/2010, Di Lorenzo, rv. 248722, induce a confermare la corretta applicazione al caso di entrambe le disposizioni di legge concorrenti, sia perché volte a tutelare beni giuridici diversi, sia perché, qualora tale considerazione non fosse ritenuta decisiva, non è dato ravvisare alcun criterio normativamente disciplinato per individuare quella prevalente sull’altra.
Premesso che, come puntualmente osservato dalle Sezioni Unite, l’art. 15 cod. pen., nel prevedere l’operatività del principio di specialità, postula il presupposto che le norme concorrenti siano riferite alla “stessa materia” senza offrirne però alcuna definizione, tale concetto è stato dalla giurisprudenza di legittimità riferito alla “stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l’ipotesi di reato” (Sez. U. nr. 16568 del 19/4/2007, Carchivi, rv. 235962), ravvisabile “nel caso di specialità unilaterale per specificazione perché l’ipotesi speciale è ricompresa in quella generale” ma “anche nel caso di specialità reciproca per specificazione (si veda per es. il rapporto tra 581 e 572 cod. pen.) ed è compatibile anche con la specialità unilaterale per aggiunta (per es. 605 e 630) e con la specialità reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta (641 cod. pen. e 218 legge fall.)”, dovendosi escludere soltanto “nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all’altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo”.
E’ stata altresì dettata la nozione di specialità, che qualifica la situazione in cui la fattispecie “speciale” contiene tutti gli elementi di altra, quella “generale”, ma non li esaurisce, presentandone di ulteriori, sicché si realizza l’ipotesi del concorso apparente di norme, da risolversi con l’applicazione della fattispecie speciale, sempre che “i reati abbiano la stessa obiettività giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare tutti la medesima materia ed avere identità di struttura”. Nella diversa situazione in cui due o più norme siano in rapporto di specialità reciproca, le stesse presentano elementi caratteristici e specializzanti in modo vicendevole, per cui è maggiore la difficoltà di individuare quella prevalente; talvolta è il legislatore direttamente ad offrire soluzione al tema mediante la previsione di clausole di riserva che indicano quale sia l’ordine di priorità nell’applicazione della norma incriminatrice, riferibile al caso. In mancanza di tali clausole e nell’impossibilità di assegnare preferenza ad una piuttosto che all’altra disposizione va ravvisato il concorso formale tra norme, da applicarsi contestualmente.
Ebbene, è quanto si verifica nel caso in esame, nel quale la considerazione delle fattispecie astratte come delineate dall’art. 681 cod. pen. e dagli artt. 46 e 55 D.Lgs. nr. 81/2008 induce a ritenere che le stesse differiscano per: a) soggetto attivo, in un caso il titolare o gestore, anche occasionale, del locale pubblico, nell’altro il datore di lavoro; b) beni aggrediti, la pubblica incolumità, piuttosto che la sicurezza dei lavoratori nello svolgimento della prestazione lavorativa; c) luogo di commissione del reato, un locale adibito a sede di trattenimenti danzanti rispetto al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa; d) fonte dell’obbligo trasgredito, nel primo caso la licenza per esercizio di attività commerciali nel settore del pubblico spettacolo, nell’altro le prescrizioni antincendio dettate dalla specifica disciplina di cui all’art. 46 citato.
La riscontrata diversità di elementi costitutivi delle fattispecie e la loro specialità bilaterale non consentono l’applicazione al caso del principio sancito dall’art. 15 cod. pen., ma rende configurabile il concorso formale di norme, il che impedisce l’invocato assorbimento dei reati di cui ai capi a) e b) in quello sub d), come del resto ritenuto dai giudici di merito. La diversa opinione, espressa in ricorso, sulla natura plurioffensiva dei reati in comparazione ed in particolare della contravvenzione di cui all’art. 46 specie non ha alcun riscontro nella struttura delle fattispecie e non tiene conto che, per costante insegnamento di questa Corte, la contravvenzione di cui all’art. 681 cod. pen. è volta a proteggere l’incolumità del pubblico che assiste allo spettacolo (Cass. sez. 1, n. 3128 del 29/09/2011, Pennarola, rv. 251843; sez. 1, n. 13055 del 24/03/2005, P.M. in proc. Luperini, rv. 231599), mentre il reato di cui agli artt. 46 e 55 D.Lgs. nr. 81/2008 persegue lo scopo di prevenire gli incendi e tutelare la sicurezza dei lavoratori anche a prescindere dalla confluenza o meno nel locale di un pubblico di avventori.
4. In riferimento al quarto motivo deve rilevarsi che la conversione della pena detentiva nella corrispondente sanzione pecuniaria non era stata richiesta, né nel giudizio di primo grado e nemmeno con l’appello, sicché alcun addebito al riguardo può muoversi alla sentenza impugnata, che quindi è incensurabile sul punto; invero, nell’appello si era soltanto contestata la quantificazione della pena in ragione del mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 nr. 6 cod. pen. in ragione dell’avvenuta eliminazione delle conseguenze pericolose della condotta e si era censurata anche la mancata considerazione dell’incensuratezza, della lievità dei fatti e del corretto comportamento processuale elementi che avrebbero giustificato la determinazione di pena base di gran lunga inferiore.
5. Infine, risulta infondato anche il quinto motivo di ricorso.
5.1 Questa Corte ha già affermato in plurime pronunce che la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato, introdotto dalla legge nr. 67 del 28 aprile 2014, che ha adattato al processo a carico dei maggiori di età analogo istituto valevole per i minori, non può essere applicato ai processi pendenti al momento della sua entrata in vigore quando sia già decorso il termine previsto dall’art. 464-bis cod. proc. pen., comma 2, il quale prescrive che la richiesta “può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio”. Pertanto, l’accesso al beneficio, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non può essere invocato nel giudizio di legittimità con una richiesta di applicazione in detta fase e nemmeno con la sollecitazione all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito perché si proceda in quella sede. In tal senso si è già espressa questa Corte con orientamento che si condivide e riafferma, secondo il quale “nel giudizio di cassazione l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168-bis cod. pen., né può altrimenti sollecitare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, per l’incompatibilità del nuovo istituto con il sistema delle impugnazioni e per la mancanza di una specifica disciplina transitoria” (Cass. sez. F, n. 35717 del 31/07/2014, Ceccaroni, rv. 259935).
6. Del pari priva di fondamento si rivela la richiesta, articolata soltanto all’udienza di discussione, volta ad ottenere l’applicazione del disposto dell’art. 131-bis cod. pen., coma introdotto dalla legge nr. 28/2015, che prevede quale causa di non punibilità la speciale tenuità del fatto; il provvedimento normativo che ha introdotto tale istituto non prevede una disciplina transitoria, ma la natura sostanziale dell’istituto ed i suoi effetti favorevoli per il reo inducono a ravvisarne l’applicabilità astratta anche con effetto retroattivo a fattispecie concrete di reato, commesse prima dell’entrata in vigore della disposizione che lo regola, secondo la previsione generale dell’art. 2 cod. pen., comma 4. Inoltre, a norma dell’art. 609 cod. proc. pen., comma 2, poiché l’introduzione nell’ordinamento di tale causa di non punibilità è avvenuta in momento successivo alla celebrazione del giudizio di appello, il che ne ha precluso materialmente ogni possibilità di deduzione nella più appropriata sede di merito, deve ritenersi che la stessa sia applicabile, nella sussistenza dei relativi presupposti, anche nel giudizio di legittimità.
6.1 Al riguardo, non può prescindersi dalla considerazione del circoscritto perimetro dei poteri cognitivi, propri del giudizio di cassazione, nel quale non sono consentiti accertamenti di fatto; pertanto, il riconoscimento della non punibilità per speciale tenuità del fatto postula la verifica dell’astratta applicabilità dell’istituto al caso concreto alla stregua dei presupposti dettati dal parametro normativo di riferimento e, in caso di esito positivo, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito perché proceda alla relativa declaratoria sulla scorta dell’apprezzamento in concreto dell’effettiva gravità della fattispecie. In tal senso risulta essersi pronunciata questa Corte sez. 3 con la sentenza nr. 15449 del 15 aprile 2015, alle cui affermazioni di principio si ritiene di dover dare continuità per la loro piena condivisione.
6.2 Tanto premesso, esclusa dunque l’astratta incompatibilità dell’istituto col giudizio di cassazione, nel caso di specie la considerazione in questa sede conducibile alla stregua delle valutazioni espresse dai giudici di merito ai fini della commisurazione del trattamento sanzionatorio e dell’accusa come formulata nei capi d’imputazione induce ad escluderne l’applicabilità: sotto il primo profilo l’imputato non risulta condannato alla pena minima edittale, il che significa che l’apprezzamento delle caratteristiche specifiche della vicenda ha giustificato punizione a tale soglia superiore. Quanto all’altro aspetto in considerazione, le condotte antigiuridiche ascritte al ricorrente risultano essere state plurime e reiterate nel tempo, il che contrasta con il disposto dell’art. 131-bis cod. pen., terzo comma, il quale esclude esplicitamente la causa di esenzione dalla pena quando i reati ” abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, configurando in tal modo un’espressa condizione ostativa all’ammissione al beneficio.
Deve piuttosto rilevarsi che al momento attuale la contravvenzione di cui al capo a) è estinta per prescrizione e ciò, anche tenendo conto del periodo di sospensione del procedimento dal 18.11.2011 al 13.1.2012 per astensione dei difensori dalle udienze il che ha determinato la proroga del termine di prescrizione dal 6/2/2015 al 3/4/2015.
In definitiva la sentenza impugnata va annullata senza rinvio quanto al predetto reato con eliminazione della relativa pena di giorni nove di arresto ed euro 105,00 di ammenda, mentre nel resto il ricorso va respinto.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a) della rubrica perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di giorni nove di arresto ed euro 105,00 di ammenda. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 15 aprile 2015.

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