Cassazione Penale, Sez. 3, 04 ottobre 2016, n. 41459

Violazioni in materia di sicurezza. Dolo o colpa e continuazione.


Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: GENTILI ANDREA
Data Udienza: 25/02/2016

Fatto

1.1. Il Tribunale di Padova ha condannato Z.L. alla pena di giustizia avendolo riconosciuto responsabile di tre distinte violazioni del dlgs n. 81 del 2008 in materia di igiene e sicurezza del lavoro, ciascuna di esse costituente un autonomo reato contravvenzionale; per ciascuna violazione contestata il Tribunale ha inflitto al Z.L. la pena di 2.000,00 euro di ammenda.

1.2. Ha interposto ricorso per cassazione lo Z.L., tramite il suo difensore, contestando il fatto che il Tribunale, non avendo esaminato la possibilità che i reati commessi dall’imputato fossero caratterizzati dal dolo e non dalla colpa, non aveva riconosciuto la continuazione fra i reati in questione, con la conseguente esclusione del più favorevole trattamento sanzionatorio.

Diritto

2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Rileva, infatti, la Corte che il ricorrente lamenta la circostanza che, non avendo il Tribunale indagato in ordine all’elemento soggettivo che aveva animato la sua condotta, esso aveva trascurato la possibilità di verificare la sussistenza o meno della identità del disegno criminoso fra le varie condotte poste in essere, in tal modo impedendo all’imputato di godere del beneficio in termini di dosimetria della pena derivanti dalla applicazione della disciplina di cui all’art. 81, cpv, cod. pen. in tema di reato continuato.
2.2. Osserva, al riguardo, la Corte che i reati contestati al Z.L. sono indubbiamente contravvenzioni, per le quali, in linea di principio, non vi è ragione di indagare se l’atteggiamento psicologico del suo autore sia riconducibile al dolo ovvero alla colpa, posto che si tratta di reati per i quali la integrazione dell’illecito non è condizionata al fatto che lo stesso sia stato commesso esclusivamente con dolo, essendo la condotta in questione punibile anche nel caso in cui essa sia stata realizzata solo per colpa.
3. Né può ritenersi che il Tribunale patavino avrebbe dovuto verificare ex officio la tipologia di elemento soggettivo attribuibile all’imputato.
3.1. Infatti, sebbene sia principio radicato che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l’elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali (Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 marzo 2013, n. 10235; idem Sezione IV penale, 19 gennaio 2005, n. 1285), osserva tuttavia il Collegio che in assenza di un qualche elemento indiziario, o comunque di un’allegazione difensiva in tal senso, che possa indurre a ritenere l’esistenza dell’unico disegno criminoso, non vi è luogo alla verifica officiosa da parte dell’elemento soggettivo dell’agente, trattandosi di indagine non immediatamente indispensabile ai fini della affermazione o meno della penale responsabilità dell’imputato.
3.2.Va, d’altra parte, osservato che lo stesso ricorrente nel censurare la sentenza emessa dal Tribunale di Padova non ha lamentato la circostanza che il giudicante non abbia rilevato l’esistenza del nesso idoneo a far ritenere l’esistenza del vincolo della continuazione fra i reati contestati, limitandosi a dolersi del fatto che non sia stata indagata la tipologia di elemento soggettivo a lui attribuibile, quasi che l’eventuale accertamento della sussistenza a suo carico del dolo avrebbe automaticamente comportato la ravvisabilità fra le varie condotte da lui poste in essere della identità del disegno criminoso.
3.3. Poiché tale dato non è certamente rispondente al vero in quanto, sebbene, come sopra osservato, sia corretto affermare che in assenza di dolo nelle varie condotte non è ravvisabile il vincolo della continuazione, non è altrettanto corretto sostenere che varie condotte, ancorché coeve e caratterizzate dalla omogeneità dei beni interessi violati, ove siano tutte caratterizzate dalla intenzionalità dell’evento, debbano, solo per questo, essere state realizzate nell’esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
3.4. Sotto il descritto profilo, pertanto, il ricorso dello Z.L. si segnala anche per la sua genericità, posto che non evidenzia alcuna concreta ragione per la quale sarebbe stato opportuno indagare in ordine alla esistenza o meno della continuazione fra i reati a lui contestati.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dello Z.L. al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2016.

Lascia un commento