Cassazione Penale, Sez. 3, 21 dicembre 2015, n. 50047

Rimedio straordinario ex art. 625-bis c.p.p.: inammissibile. Evidente la posizione di garanzia del direttore generale.


Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO
Data Udienza: 28/10/2015

Fatto

1. M.J. ricorre per cassazione azionando, con ricorso depositato il 26 giugno 2015, il rimedio straordinario previsto dall’articolo 625-bis del codice di procedura penale nei confronti della sentenza n. 248 del 2015 pronunciata dalla quarta Sezione penale della Corte Suprema di cassazione all’udienza pubblica del 5 febbraio 2015, depositata il 20 febbraio 2015.
2. Per la correzione dell’impugnata sentenza il ricorrente articola, tramite il difensore, un unico motivo di “gravame”, con il quale deduce che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in errore di fatto determinante ai fini della decisione, poiché incidente sulla corretta applicazione della legge penale sostanziale e processuale di cui agli articoli 43 codice penale e 530 e seguenti codice di procedura penale con riguardo all’erronea applicazione dei principi in tema di prevedibilità dell’evento e di esigibilità in relazione alla condotta dell’agente, nonché, quantomeno, con riguardo alla corretta valutazione dell’elemento soggettivo del reato e dalla più adeguata applicazione della regola di giudizio normativamente prevista.
Assume il ricorrente come appaiano evidenti almeno due errori in fatto in cui sarebbe incorso il giudice di legittimità.
Il primo errore sarebbe radicato a pagina 5 della sentenza impugnata laddove, da un lato, si parla di “prassi tollerata” con riguardo all’uso della gru da parte dei non specialisti (quali gli operai che causarono il sinistro mortale) e, dall’altro, si addebita al ricorrente di aver trascurato di adottare le necessarie precauzioni al fine di escludere ogni possibile interferenza tra l’attività di detta gru e la scala di accesso alla nave in costruzione. A questo proposito si afferma che il ricorrente non aveva esitato ad intervenire fino a fermare il cantiere; lo stesso aveva subito imposto, per un immediato riconoscimento di verifica delle specifiche specialità di ogni singolo lavoratore, dei cartellini colorati; la scala su cui si trovava la vittima era una “scala di cantiere” attivata su ordine del comproprietario del cantiere stesso (che aveva patteggiato la pena) e montata pochi giorni prima dell’infortunio. Ne consegue che, alla luce di dati obiettivi sopra richiamati, il giudice di legittimità sarebbe incorso in un evidente errore di fatto nel momento in cui non avrebbe considerato quegli stessi fatti sotto il profilo della non colpevole imprevedibilità dell’evento in capo al ricorrente.
Il secondo errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione si assume radicato sempre a pagina 5 della sentenza nella parte in cui si afferma che “… La Corte territoriale ha evidenziato l’assoluta irrilevanza del coinvolgimento di un consulente esterno (o di eventuali altri soggetti) nella gestione della materia antinfortunistica, non valendo detta collaborazione
accessoria ad esonerare l’imputato, quale responsabile aziendale per la sicurezza, del dovere di vigilare sui luoghi di lavoro, segnatamente in presenza di situazioni di pericolo agevolmente percepibili e di fatto facilmente rimediabili”. Secondo il ricorrente, l’equivoco in cui sarebbe erroneamente caduta la Corte di cassazione è di aver valutato il “consulente esterno” quale soggetto che avesse l’incarico di “sostituire” il ricorrente nella propria funzione di responsabile della sicurezza aziendale, quasi fosse stato delegato ad un tale scopo. Siccome così non era, in ciò si anniderebbe l’errore denunciato.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza rilevabile ictu oculi e pertanto va deciso de plano.
2. Il ricorrente aziona infatti lo speciale mezzo di impugnazione per dedurre esclusivamente presunti errori valutativi o di giudizio, come si evince, con tutta evidenza, dal contenuto delle censure sollevate.
Sul punto, va preliminarmente chiarito che la fisionomia del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. è compatibile solo con una disciplina finalizzata a porre riparo a mere sviste o errori di percezione nei quali sia incorso il giudice di legittimità e non anche per introdurre un ulteriore grado di giudizio, ciò che si porrebbe, del resto, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Sez. V, n. 37725 del 17/10/2005, Avignone, Rv. 232313).
E’ il caso di rimarcare come dal testo della sentenza impugnata emerga con tutta evidenza la posizione di garanzia rivestita dal ricorrente, avendo lo M.J. esercitato, oltre alle funzioni di direttore generale, anche quelle di delegato al settore della sicurezza (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata): prerogative che, come si legge nella motivazione, hanno trovato piena corrispondenza in termini concreti, avendo tutti i testi richiamati dai giudici del merito confermato come l’imputato fosse generalmente riconosciuto come l’organo di vertice per tutte le problematiche inerenti la materia della sicurezza e della prevenzione degli infortuni sul lavoro; attività che lo M.J. esercitava mediante una continuativa presenza in azienda e all’Interno del cantiere. Tali circostanze, inoltre, hanno trovato una conferma documentale nella corrispondenza elettronica acquisita agli atti del giudizio e nella documentazione concernente il c.d. ‘piano di sicurezza e igiene’ direttamente approvato dal ricorrente e contenente la valutazione dei rischi e le prescrizioni in materia di sicurezza e di prevenzioni degli infortuni sul lavoro relative alle varie attività svolte all’Interno del cantiere. “Lo stesso M.J., del resto, non ha mai contestato l’effettività di tali funzioni, limitandosi unicamente a contestarne gli specifici contenuti ad esse correlati (cfr. pag. 14 sent. appello)”.
Perciò, il primo rilievo formulato dal ricorrente non si traduce affatto in un errore percettivo ed il secondo non riveste, all’evidenza, alcuna importanza decisiva nell’economia della motivazione in quanto l’errore di fatto deve risolversi in una carenza che influisce sul processo formativo della volontà produttiva di un esito decisionale diverso da quello che sarebbe stato adottato in assenza dell’errore stesso, situazione nella specie del tutto insussistente.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28/10/2015

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